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This entry was posted on 3 Maggio 2012 at 06:48 and is filed under Archivio giulio mozzi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.
3 Maggio 2012 alle 08:34
legge: FERMATA – APS -11 – BUS. guarda per un attimo in fondo alla via. aspetta. aspetta. aspetta, con gli occhi fissi a terra sulla striscia – asfalto – striscia
3 Maggio 2012 alle 08:40
L’uniformita’ e la gradazione del grigio in questa immagine sono caratteristiche, e anzi si identificano, con la prima periferia di Padova all’inizio della giornata.
3 Maggio 2012 alle 08:49
Non si può dire che la mattina il nostro scrittore venga
baciato dal sole. Che brutto clima da quelle parti…
3 Maggio 2012 alle 08:56
“Che nebbia! debbo pensare ad un racconto allegro altrimenti non mi levo più la malinconia di dosso…..”
3 Maggio 2012 alle 09:36
Come può, un’immagine così non ispirargli un racconto o addirittura un plot per un romanzo?
3 Maggio 2012 alle 09:45
@aquanive:
no. secondo me al massimo si gratta un po’ perchè l’umidità gli pizzica la pelle che in qualche punto ha del sapone secco. è uscito dalla doccia troppo in fretta. temeva di perdere l’autobus. vita, insomma.
3 Maggio 2012 alle 11:25
Fa tesoro dei suggerimenti presenti in una istantanea inviata con una email da un anonimo: una foto che suggerisce olte alla banale realtà, letture differenti e parole, che nei pochi rimandi presenti, devono essere prese per altri versi e che sicuramente nascondono anche altri misteriosi sensi, un piccolo giallo da risolvere (o da scrivere).
La sua attenzione viene richiamata da sigle che possono essere lette in senso opposto, così come sa anche che quella nebbia non è lì per nascondere ma per sottolineare altri sensi letterari. Parole impresse sull’asfalto e su una tabella gialla, come: palindromi, bifronti, prefissi…
“Forse l’utente misterioso da scoprire è un «SUB» incaricato da una «SPA» locale, che è legata allo strano commercio di chiocciole «AT» (@ commerciale?) nascoste in «11» grandi scatole durante il trasporto di aiuti umanitari all’«AMREF» (African Medical and Research Foundation), forse …
3 Maggio 2012 alle 11:51
Manuali di educazione stradale, antropizzazione spinta del territorio, dolce e timido ritrarsi dell’elemento naturale, segnali sulla terra e svettanti, uno specchio di spalle, su un palo, linee spezzate e linee continue, siepi, case basse (addirittura cascinali?), nessun soggetto ravvisabile, a quell’ora, un’attesa piccola o un’attesa lunga? Chi ha scattato la fotografia? Cosa voleva dirci, quale orizzonte ci indica? La direzione del suo viaggio? Il suo più prossimo “oltre”? Avrà stretto nella mano una delle foglie toniche della siepe alla sua destra? O guardato l’orologio per controllare la sua posizione del Tempo rispetto alla posizione medesima del Bus?
3 Maggio 2012 alle 11:57
risolvere sarà come capire l’uomo e la sua musica (vir sol re)
3 Maggio 2012 alle 22:15
torna a letto a sognare le prossime pagine…
4 Maggio 2012 alle 09:22
Io pensavo avessi preso un pennello e un barattolo di vernicia gialla.
4 Maggio 2012 alle 11:37
Scrive. Cos’altro può fare se al mondo, a quell’ora, sembra che esista solo lui. Scrive e fuma.
4 Maggio 2012 alle 16:25
Non so perchè ma questa foto mi ricorda molto Biancade, il paese dove vive mia Zia… Mi mette un po’ di tristezza, sia quel paese, sia questa foto.
Mat
5 Maggio 2012 alle 01:28
Ormai sono calcolati da anni: diciassette passi dal portone al cancelletto e ventitré a destra dal cancelletto alla fermata dell’autobus. Alle 6 e 50 l’undici arriva puntuale come sempre, venticinque minuti per raggiungere la stazione e alle 7 e 25 lo scrittore sarà sul Frecciaqualcosa che lo porterà a Milano.
Sa che ripetersi mentalmente ogni tipo di numero è una forma maniacale di occupazione del pensiero – qualcuno gliel’ha detto o forse l’ha letto da qualche parte – ma lo fa, consapevolmente, proprio la mattina presto, per prendere tempo, per non entrare subito negli impegni della giornata.
Nell’autobus ci sono ancora pochi passeggeri, ma lo scrittore sa per esperienza che si riempirà lungo il tragitto e arriverà alla stazione pieno soprattutto di studenti e lavoratori pendolari.
Seduta di fronte all’entrata c’è una tipa sui quarant’anni col cellulare all’orecchio che lo ha squadrato a lungo mentre saliva, lo ha esaminato con attenzione passandogli sopra con lo sguardo più volte: prima in volto, guardandolo con insistenza e senza alcun imbarazzo dritto negli occhi, poi scendendo e allo scrittore era sembrato che si soffermasse un po’ di più sulle sue ascelle, la sinistra prima e poi anche la destra, infine aveva scrutato con attenzione anche le sue gambe, dalle ginocchia alle caviglie, cominciando anche con loro dalla sinistra. Era poi ripassata velocemente sugli occhi e con una leggera smorfia delle labbra, un appena percepibile ripiegamento in giù degli angoli, aveva distolto l’attenzione dallo scrittore ed era tornata alla sua telefonata.
Lo scrittore, che nel frattempo ha raggiunto un sedile libero sul lato opposto e una fila indietro rispetto alla tizia, si chiede se quell’esame accurato dipenda dal colore dei suoi pantaloni che era stato oggetto di discussione una sera a cena da sua sorella. Lei diceva fucsia, lui amaranto, la nipote di quindici anni dopo aver cercato su Wikipedia aveva risolto con il magenta: “ E’ magenta, zio, magenta inchiostro per la precisione. E poi, zio, per favore, non ci mettere più su la camicia gialla e la giacca cammello, ti prego. Con i colori decisi e particolari ci vanno solo il bianco e il nero, e il nero solo se non sono troppo scuri, sennò nemmeno quello, solo il bianco”. Ora ha una camicia bianca su quei pantaloni, aveva seguito il consiglio.
La tipa non sembra avere problemi di look, tailleur pantalone grigio scuro con una camicetta bianca, poggiato sullo gambe uno spolverino panna vicino a una borsa portadocumenti che ha l’aria di essere molto piena e alla sua borsa personale grande e piena anch’essa. Con la sinistra serra forte i manici di entrambe.
“…sì, tutt’e quattro tagliate, i delinquenti non ci sono mica solo giù da me…” sente che dice al cellulare con una forte cadenza meridionale “…dieci giorni fa i tergicristalli, anche quello posteriore, prima ancora gli specchietti, tutt’e due….” calabrese? pugliese? lo scrittore non ha molta familiarità con le cadenze del sud, non riesce a distinguerle “…ma quale vandalismo, è mirato, sanno qual è la mia macchina e fanno a lei ciò che vorrebbero fare a me…” lo scrittore comincia a incuriosirsi “…sì, ce li ho io, ho tutto con me…” così dicendo aggiusta le due borse sulle gambe, la mano sinistra ormai livida per quanto stringe i manici “…perché sono in sciopero, sennò certo che prendevo un taxi, non l’hai sentito ieri al telegiornale che oggi sono in sciopero?…” in effetti non sembra abituata agli autobus, anche seduta dà l’idea di essere instabile, di perdere l’equilibrio a ogni scossone ed è chiaro che non le piace non avere il pieno controllo di tutto “…senti, scendo al capolinea…sì alla stazione, è quello il capolinea…fatti trovare subito che non ho nessuna voglia di aspettare…dieci minuti, tra dieci minuti devi essere lì, vedi tu come vuoi fare.” Fine della telefonata.
Uno scossone più forte le fa scivolare lo spolverino dalle gambe, lei si china per raccoglierlo, la giacca del tailleur si tende sulla schiena e per un attimo disegna sotto l’ascella destra la sagoma di una pistola, l’impugnatura si distingue chiaramente, il resto meno perché è nel fodero, ma lo scrittore non ha dubbi: la tizia ha una pistola ed è mancina.
Lei si volta, valuta che l’unico che, per posizione, potrebbe aver visto qualcosa è il tipo con i pantaloni sgargianti che non le era sembrato pericoloso, lo scruta, sembra tranquillo, uno sguardo veloce anche allo zaino poggiato a terra tra le gambe, rigirandosi pensa “chissà che lavoro fa un tipo così”.
Lo scrittore ha ormai capito che è una sbirra, una di quelli privati per di più, non quelli pagati poco e male dallo Stato per difendere tutti, ma quelli pagati bene da società e privati per tutelare solo i loro affari e i loro patrimoni. E pensa che è assolutamente fuori posto su quell’autobus, non c’entra niente con le persone che continuano a salire ad ogni fermata, studenti e lavoratori perlopiù, sui quali la tipa non si sofferma molto. Il controllo visivo faccia, ascelle e gambe scatta quando non riesce a individuare subito una categoria nella quale incasellare i nuovi passeggeri. “Paranoica” pensa lo scrittore “paranoica ed egotista, crede veramente che il mondo intero sia interessato alla sua stupida valigetta portadocumenti”.
“E magari nel mio zaino c’è qualcosa di più prezioso di ciò che hai tu nella tua valigetta” sembra dirle con uno sguardo di sfida quando le cede il passo alla discesa davanti alla stazione. La perde volentieri nella folla, attraversato il piazzale la rivede per un attimo mentre entra in un’Audi nera.
Il treno parte puntuale alle 7 e 25, lo scrittore ha già tirato fuori dallo zaino la macchinetta leggera con la quale legge i dattiloscritti che molti aspiranti scrittori gli inviano, perché lo scrittore è anche consulente editoriale. Nelle due ore che servono per arrivare a Milano di solito riesce a farsi un’idea di due o tre opere, non di più, è un tipo coscienzioso, legge almeno una trentina di pagine prima di decidere che quel che ha letto è impubblicabile. Se questa soglia viene superata significa che il testo è dignitoso, più o meno perfettibile, e che può valere la pena cercare di farlo pubblicare.
Beve un sorso d’acqua dalla bottiglietta da mezzo litro e comincia: “La mia vita sarebbe tutta diversa se sarei nata in un’altra famiglia”. Lo scrittore pensa che il suo lavoro non richiede meno coraggio di quello della tipa con la pistola. “Mi hanno chiamata Soledad perché già da bambina i miei capelli brillavano come il sole nel cielo”. Peccato che Soledad significhi solitudine – pensa – e con il sole non c’entra proprio niente. “Già all’età di cinque anni avevo capito che dovevo diventare una famosa cantante lirica”. Avrebbe proprio bisogno di una sigaretta. “E fu così che invece accettai di sposare il figlio del gioielliere, era quello che voleva la mia famiglia”.
Spegne la macchinetta leggera. Per il momento vale più la valigetta della tizia. Decide di appisolarsi un po’, in fondo è ancora mattina presto.
5 Maggio 2012 alle 06:46
Ambra: la fermata è proprio davanti al cancelletto. Il treno è, di solito, quello delle 6.47. Vado in stazione con il 3 che parte alle 6.10 e passa dieci/dodici minuti dopo per via D’Acquapendente; non con l’11, che a quell’ora ancora non gira (e che, comunque, non porta alla stazione; bisogna cambiare a metà strada).
5 Maggio 2012 alle 15:54
La mia era solo un’immaginazione, Giulio, mi sono divertita a inventare.
Non volevo né infilarmi nella tua vita né – in alcun modo – essere offensiva.
Spero di non averlo fatto.
5 Maggio 2012 alle 16:03
Così come, circa un anno fa, ho immaginato un passato e un presente per la ragazza di “Who’s that girl?”, niente più di questo.
5 Maggio 2012 alle 17:18
Mat, a me invece questa foto ricorda il paese dove vive mia cugina.