[…] Ma proprio perché la Rai e Sanremo sono il paese – si dice così, per spiegare l’importanza dell’evento, e della partecipazione del «Re degli ignoranti» – perché non si trova mai un cantante o un calciatore che invece di fare il bel gesto di elargire in beneficenza rinuncia alla parcella per amore del servizio pubblico? Perché la Rai non merita atti di liberalità? Certo, la gente capisce meglio che è beneficenza quella di donare a un ospedale o a una famiglia povera, ma che peccato: invece di accodarsi ai tanti che han fatto come lui, che prima han chiesto soldi e poi sono tornati sui propri passi quando han rischiato di apparire esosi, Celentano avrebbe potuto essere davvero originale: dare più valore al servizio pubblico che al suo gesto privato, ed esibirsi gratis. […]
Invito a leggere tutto l’articolo di Massimo Adinolfi.
5 febbraio 2012 alle 11:13
Ci sono esempi di artisti che hanno rinunciato al proprio compenso – anche in questi ultimi periodi. Lo stesso Celentano a volte è andato in televisione senza compenso – come una volta da Pippo Baudo.
5 febbraio 2012 alle 11:59
Non sono d’accordo. Dare valore a un servizio pubblico come il nostro, cioè a un servizio pubblico già da tempo inesistente e nelle mani di manager spietati e completamente inetti sul piano culturale, significherebbe solo una cosa: cambiarlo. Lavorare gratis per un servizio pubblico del genere mi pare controproducente.
5 febbraio 2012 alle 14:44
Mi spiegavano, una volta, che il compenso dell’artista è solo una parte del compenso totale, col quale si paga anche lo staff dell’artista. Quindi, quando l’artista dice che devolverà in beneficenza il suo compenso, rinuncia solo a parte del totale. Non so se sia pure il caso di Celentano. Magari no. Ma se fosse, potrebbe essere la spiegazione (anche se dubito che sia questa la risposta che Adinolfi andava cercando)
5 febbraio 2012 alle 15:07
Aggiornamento. Celentano comunica che s’accollerà personalmente ogni spesa per andare a Sanremo (immagino: viaggio, albergo, vitto, argent de poche, taxi, trucco, parrucco, ecc.).
Devolverà il 100% del compenso, quindi.
Quindi è buono.
6 febbraio 2012 alle 00:49
Saccà che sdivanava le sue compiacenti soubrettucole per poi far fare loro qualche schifida, ma remuneratissima, comparsata a spese nostre, i bidè umani del potente di turno messi là a cifre esose solo per la loro capacità di difendere il proprio mecenate ad oltranza e contro ogni senso del ridicolo, le caterve di soldi sprecati per porcate tipo “L’isola dei cisposi” o il mega-flop di Littorio Sgarbi, quelle baracconate di fiction scritte col c..o e recitate col c…o, e poi arriva la più bella voce italiana, uno dei più grandi personaggi dello showbiz nostrano, uno che veramente sa fare qualcosa e, anzi, la fa benissimo, cioè in pratica ‘un’eccelenza’ e, tra tanti orridi cretini strapagati, alla fine della fiera quello che dovrebbe lavorare gratis è proprio lui? Ma dico, qui allora si è definitivamente ribaltata la logica del mondo…
6 febbraio 2012 alle 08:28
Ribaltata. Ecco la parola giusta.
6 febbraio 2012 alle 09:22
Faccio notare che l’articolo di Adinolfi parla d’altro.
6 febbraio 2012 alle 10:20
“Celentano avrebbe potuto essere davvero originale: dare più valore al servizio pubblico che al suo gesto privato, ed esibirsi gratis”: a me pare che parli proprio di questo.
6 febbraio 2012 alle 15:27
L’articolo parla ANCHE d’altro, è vero, ma mi pare una generica critica al molleggiato e ai suoi atteggiamenti, oltre a un certo mercato globale che tali atteggiamenti evidenzia e sfrutta nei modi che in fondo conosciamo tutti. Personalmente non credo certo che Adriano Celentano sia chissà che profeta. Dice cose che molti, intellettuali e non, potrebbero tranquillamente dire, e per giunta dicono. Le dice in una modalità che poteva essere — ed era — originalissima una quindicina d’anni or sono, ma ora suona un po’ stantìa, un po’ fuori posto, anche se ancora dotata di un certo fascino “alla Celentano”, appunto. Le dice, però, con un TALENTO TELEVISIVO che è lontano anni luce dal girotondo di giornalisti d’assalto e veline senza scrupoli che è diventata la nostra televisione oggi. E il suo talento viene — giustamente — riconosciuto come quello di un professionista di parecchio distanziato da tutti gli altri; un professionista che, non per niente, può permettersi di stare anni senza far nulla.
Ma quella frase — Perché la Rai non merita atti di liberalità? — mi sembra, da sola, l’unica degna di essere da un lato sottolineata, e dall’altro, almeno per quel che riguarda me e quelli che come me la pensano, rifiutata. La Rai è l’ultimo ente che oggi meriterebbe qualcosa di liberale. La Rai ha cacciato grandi professionisti (andatevi un po’ a vedere cosa ne pensa Luciano Rispoli della Rai) per vendersi a manager culturalmente scoloriti, con competenze e atteggiamenti del tutto avulsi da qualunque cosa possa anche lontanamente definirsi servizio pubblico.
Il servizio pubblico televisivo, in Italia, è vacante da almeno vent’anni. E questa Rai dovrebbe esimersi dal pagare Celentano, continuando a pagare i furbi che l’hanno sottratta agli italiani? Direi che non ci siamo.
7 febbraio 2012 alle 08:11
“…da qualunque cosa possa anche lontanamente definirsi servizio pubblico”.
Ecco, ecco. Che cosa è il “servizio pubblico”?
7 febbraio 2012 alle 10:39
Secondo me il servizio pubblico (televisivo) altro non è che il parallelo (appunto, televisivo) di qualsiasi altro servizio pubblico avente a che fare con informazione, istruzione e cultura.
L’esempio banale è quello della scuola pubblica. A scuola cosa si studia? Letteratura Italiana, per esempio. L’equivalente della Letteratura Italiana, in un servizio pubblico televisivo, potrebbe essere la messa in onda di film di Fellini, Antonioni, De Sica, Pasolini e via discorrendo. Mi sapete dire se da quanto tempo non vedete cose del genere in Rai? Quando io frequentavo le elementari, queste cose le vedevo, assieme peraltro a molte altre che non vedo più.
Oggi la Rai è un servizio privato – privato nei contenuti, nelle forme, nei riferimenti culturali – pagato per metà con soldi pubblici.
Insomma, diciamocelo. Un servizio è pubblico quando sta fuori dal mercato, esattamente come la scuola pubblica sta fuori dal mercato dell’audience degli alunni. A scuola non si studia quello che dicono le classi. A scuola si studia quello che l’intellettualità di una nazione ha DECRETATO, su basi estetiche, culturali, filosofiche, sociali, scientifiche ed etiche, come GIUSTO per quegli alunni, dal primo all’ultimo, indipendentemente dalle differenze.
Tornando alla definizione, una (qualsiasi) cosa pubblica deve essere gestita da “grandi autorità intellettuali” attraverso l’uso di un gettito fiscale equo ed efficiente. Le autorità intellettuali sono quelle che (a) porgono un curriculum in linea con le funzioni e gli argomenti che andranno a rappresentare, e (b) hanno espresso attraverso le loro “gesta”, e indipendentemente dal titolo, la capacità di far compiere oggettivi avanzamenti (appunto) “pubblici e collettivi” nei campi di loro interesse e competenza.
Se la Rai oggi viene descritta come ente da sovvenzionare tramite gesti di liberalità, significa solo una cosa: che la Rai deve essere abbattuta e ricostruita da capo.
7 febbraio 2012 alle 10:53
Questa la so. Un programma televisivo di Michele Santoro.
http://www.google.it/search?source=ig&hl=it&rlz=&q=%22cos%27%C3%A8+il+servizio+pubblico%22&oq=%22cos%27%C3%A8+il+servizio+pubblico%22&aq=f&aqi=g-C1&aql=&gs_sm=3&gs_upl=1538l7429l0l8116l28l27l0l0l0l0l559l5944l4.7.9.3.1.2l26l0
7 febbraio 2012 alle 13:43
Consiglio sull’argomento il libro di Gilberto Squizzato La tv che non c’è (minimum fax). Libro nel quale si riflette attentamente su che cosa significhi, appunto, per la Rai, l’essere servizio pubblico.
Qui un’intervista a Squizzato.
7 febbraio 2012 alle 15:30
Nel libro e nell’intervista saranno contenuti concetti e auspici certamente pregevoli, alti, condivisibili. Ma la Rai resta lì tale e quale.
Se devo indignarmi, preferisco farlo senza materiali di supporto. Mi basta e avanza ciò che mi circonda.
(In ogni caso, grazie del riferimento.)