Laudatio funebre di Andrea Zanzotto

by

di Stefano Dal Bianco

[Questa è la «Laudatio funebre di Andrea Zanzotto» pronunciata da Stefano Dal Bianco il 21 ottobre scorso nel Duomo di Pieve di Soligo (Tv)].

Andrea Zanzotto era uno che ti metteva di fronte al fatto evidente, incontrovertibile, che noi non siamo tutti uguali. Non siamo uguali nella vita, perché ognuno ha ricevuto i suoi talenti specifici, in quantità e in qualità, e non lo siamo davanti alla morte, perché qualcuno si è impegnato più di altri per farli fruttare, i suoi talenti.
A fronte di un corredo straordinario di talenti, Andrea Zanzotto si era assunto in pieno la responsabilità di farlo fruttare, questo corredo.
Ed è evidente che la sua non è stata una passeggiata, e quanto abbia dovuto pagare quotidianamente il suo impegno in questo senso.
Non era uno che si assecondava. Non era uno che si dava credito. Era uno che in tutti i giorni della sua vita – in quello che ha fatto, in quello che ha detto, in quello che ha scritto – si è posto sempre, prima di tutto, contro se stesso.
Non so se sia mai esistito un grande poeta che non abbia questa disposizione come fondamento della sua grandezza.

Ci chiediamo tutti dove possa essere Andrea Zanzotto in questo momento, e la risposta forse non è tanto complicata: credo che sia dove è sempre stato, e cioè un po’ qui e un po’ non qui.
Quelli che l’hanno conosciuto, o anche solo incontrato una volta, sanno bene a che cosa mi riferisco: Andrea è sempre stato un po’ «non qui».
Non potevi mai averlo «tutto per te», né lui né la sua poesia.
Era impossibile. Perché lui, come la sua poesia, doveva fare i conti con tutto, doveva inglobare tutto, doveva costantemente misurarsi con le cause prime. E il messaggio che ti mandava, il messaggio che emanava dalla sua persona era sempre qualcosa come: «Ricorda che chi non ha capito tutto non ha capito niente».

Che cosa aveva capito, Andrea Zanzotto.
Lui che fino agli ultimi giorni insisteva nell’annettersi alla schiera di coloro che non hanno capito niente, come tutti noi.

Negli ultimi dieci anni aveva trovato una sua serenità di fondo, e negli ultimi due libri che ha scritto (Sovrimpressioni e Conglomerati) questo si vede bene perché lui passa di là, passa dall’altra parte. Dà del tu agli dèi che sono nel paesaggio. Parla dell’esistenza di un’altra razionalità, parla di «altre ragioni» in seno alla Natura.

A un certo punto, nelle poesie (siamo nel 2001), il suo ‘personaggio’ si dà per morto, assieme alla Natura. Cioè: il soggetto che scrive e la Natura si trovano assunti in una stessa morte reciproca.
Poi – in Conglomerati – qualcun altro si trova a girare per i versi e in una Natura ormai del tutto plastificata.
Questo personaggio si presenta come il Doppio di se stesso redivivo, come un perispirito, come un corpo lunare, o anche come un «povero cristo» risorto e plastificato a sua volta.
Poi, sempre in Conglomerati, ancora succede che questo Doppio muore di nuovo, incontra il suo Inferno specifico. Ma comunque continua a esistere: come dice lui stesso: si mette «tre volte invano sul chi vive». Attraversa anche il Purgatorio nelle sue fasi, il Paradiso Terrestre, il Paradiso con tutti i cieli ed esce fuori. Esce fuori dal Paradiso: quindi è al cospetto di Dio – del Dio dei poeti, che è lo stesso Dio degli scienziati – e gli dice: «Ci siamo ehi! pari pari».
È così che si apre l’ultima sezione di Conglomerati, che si intitola Versi casalinghi.
Cioè: questo uscire fuori, dopo tutte queste avventure trascendenti, questo trovarsi al cospetto di Dio, è chiamato casa. E infatti questo uscire fuori non è altro che trovarsi a passeggiare nel solito sentiero di Solighetto. È un essere qui, fra di noi, come non mai. È anche finalmente quindi un abitare la Terra…
Ma ormai questo luogo del fuori è un luogo così aperto che, pur nella sua familiarità, nel suo essere casa, è al limite dell’inesistenza, assume i tratti di un paradosso: è un luogo che sta nella piena, accettata, irrazionalità del suo stesso esistere.
Questo luogo, ovviamente, è la poesia di Andrea Zanzotto, e nessuno ce la toglie.

Mentre adesso questo signore, questo povero cristo dove si è incarnata la coscienza occidentale per sessant’anni, vorrebbe farci credere che se n’è andato per davvero.
Chi se la beve, Andrea!

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5 Risposte to “Laudatio funebre di Andrea Zanzotto”

  1. enrico Says:

    in un luogo della memoria c’è la stanza con vetrata con chiostra di monti azzurrini da cui Zanzotto con voce impossibile cerca di dire quel sentimento indefinibile dell’essere… e curiosamente questa lingua inizia ad avere una cadenza, e l’intero universo si ferma ad ascoltarla. Io penso che Andrea Zanzotto sorridesse allora di felicità.

  2. Giovanni Accardo Says:

    Leggendo questa bellissima laudatio, ho pensato che dovremmo portare i poeti in parlamento, cacciando nelle asprezze della vita quotidiana quegli ultimi della classe di cui è affollata la politica italiana oggi.

  3. nadia breda Says:

    anni anni anni fa fa zanzotto a un convegno aveva proposto i poeti al posto dei geometri… era il tempo in cui si strutturava la megalopoli….sì, sono d’accordo con giovanni accardo; i poeti in parlamento, vogliamo uomini di cultura in parlamento….

  4. Alberto Cellotto Says:

    Grazie per aver pubblicato questa laudatio. A Pieve di Soligo, venerdì 21, non c’ero. Ma leggere questo testo di Stefano Dal Bianco è stato oltremodo toccante. Dal Bianco sta portando avanti egregiamente, quasi in solitudine, il non facile compito di “spiegare” e traghettare, quantomeno da un punto di vista critico, la poesia di Zanzotto in Italia. Non prendete in senso scolastico il verbo messo tra apici. In molti hanno liquidato in fretta come ardua e difficile la poesia di Zanzotto. Sono convinto che i contributi critici di Dal Bianco, recentemente apparsi in rete e nell’ultimo Oscar con tutte le poesie, costituiscano un punto di partenza per il futuro della ricezione di Zanzotto.

  5. Anna Maria Ercilli Says:

    La necessità di capire la commistione del poeta fra presenza e natura, il visibile e il lascito del suo dire senza tempo. La passeggiata con la sua parola nel paesaggio rinnovato dal poeta. Grazie

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