Condividere risorse per l’insegnamento della scrittura e della narrazione (eventualmente, una proposta per Tq)

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L'Orto de' semplici a Padova

di giuliomozzi

Da qualche giorno mi gira per la testa un’ideuzza. Un amico mi ha fatto notare che potrebbe essere un’ideuzza di un qualche interesse per il gruppo Generazione Tq. In effetti, nei gruppi di lavoro di Tq dei quali ho notizia (da qui) non mi pare sia contemplata la faccenda della didattica della scrittura e della narrazione: benché parecchi di loro la pratichino, e a mio avviso anche ad alto livello. Ma può essere una semplice dimenticanza, e poi non si può pretendere che i Tq pensino a tutto.
Peraltro, sia chiaro, la proposta che qui espongo non è rivolta ai soli Tq: è rivolta a chiunque abbia voglia di mettercisi, competenze specifiche, e tempo da perdere.
Se poi ciò che propongo di fare c’è già, e io non lo sapevo, qualcuno mi avvisi.

In poche parole

La proposta è: perché non creare un archivio aperto di risorse didattiche per l’insegnamento della scrittura e della narrazione? (O: della retorica; della teoria e tecnica della produzione di testi argomentativi, narrativi e poetici;, della scrittura creativa; del creative writing; delle tecniche di narrazione: sul nome ci si metterà d’accordo).

In più parole

Ho in mente qualcosa di molto semplice: a una persona (a me, per esempio) viene chiesto di fare una lezione sul dialogo nella narrativa; nel peparare la lezione questa persona (io, per esempio), tra le varie cose che fa (rileggersi qualche romanzo fondamentale, ripassare qualche pagina di manuale, comperare e leggere il bel saggio di Adelino Cattani Botta e risposta, consultarsi con un collega, stare un paio d’ore alla scrivania per farsi venire in mente delle idee), decide anche di dare un’occhiata a un sito che si chiama qualcosa come Risorse per l’insegnamento della scrittura e della narrazione. Fa una ricerca col motore interno, trova un paio di materiali, li scarica, decide che uno è interessante e l’altro no.
Questa stessa persona, pealtro, quando ben avrà eseguita la sua lezione – nella quale il materiale reperito nel sito Risorse ecc. è stato utilizzato e rifuso – troverà un paio d’ore per mettere per iscritto la lezione stessa, o mezz’ora per compilarne uno schema; tornerà a visitare il sito Risorse ecc. e, a fianco dei due materiali sul dialogo già prsenti, pubblicherà anche il proprio.
Punto. Tutto qui.

Origini dell’idea

L’idea non è nuova. Da almeno cinque anni esiste il progetto Sloop, Sharing Learning Objects in an Open Perspective, che è esattamente ciò che il suo nome dice. E tutti noi siamo abituati, in realtà, a cercare in rete (e non sempre trovare) qualunque cosa di cui abbiamo bisogno. Ci sono anche soggetti che da tempo pubblicano materiali utilissimi (mi vengono in mente, al volo, Luisa Carrada e L’Oblique, tanto per fare due esempi). Da un paio d’anni io stesso lavoro, presso l’Iprase di Trento, in un progetto (ideato da Amedeo Savoia) che ha tra i propri scopi anche la sperimentazione della condivisione di risorse didattiche. Le videolezioni che ho riproposte nelle settimane scorse qui in vibrisse sono uno degli esiti di questo progetto.

Scuola pubblica

Non penso a un archivio di risorse aperto solo a chi, avendo pubblicato qualche operea letteraria, tenta di campare vendendo le proprie competenze. Penso a un archivo che raccolga anche, e soprattutto, materiali utilizzabili nella scuola pubblica; e che raccolta materiali dai professionisti che nella scuola pubblica lavorano: gli insegnanti.

Articolo di fede

La democrazia è quel sistema di governo nel quale ciascuno ha il diritto di prendere la parola e di essere ascoltato da tutti. La formalità di questo diritto è garantita dalla legge, ma perché esso abbia sostanza è necessario che ciascuno sia capace di prendere la parola ed esprimersi con chiarezza, completezza, pertinenza, efficacia: e magari anche con bellezza.
A questo serve la professionalità dell’insegnante di scrittura e narrazione; a questo serve la professionalità degli insegnanti: a dare sostanza a un diritto.
E per questo mi pare che dotarsi di strumenti per la condivisione delle risorse didattiche sia una cosa giusta e civile.

Guadagno privato

Sia chiaro che, a fare questa cosa, ci si guadagna. Non penso sia sensato creare un archivio con accesso a pagamento (o nel quale si paghi per prelevare integralmente un materiale del quale si ha potuto vedere un assaggio o una scheda descrittiva). A fare questa cosa ci si guadagna perché si dà visibilità al proprio lavoro e alle proprie competenze. Di più: considerato che l’insegnamento della “scrittura creativa” (espressione che suona affatto diversa da creative writing, e che cerco di usare il meno possibile) gode di non buonissima stampa; considerato che fa una gran fatica a passare l’idea che gli aspetti tecnici della scrittura possano essere insegnati così come vengono insegnati gli aspetti tecnici di qualunque cosa (dalla pallavolo alla grafica, dalla ristorazione alla psicoterapia eccetera); considerato che non esiste ancora, in Italia, una figura riconosciuta di “insegnante di scrittura”; eccetera; considerato tutto questo, penso che un archivio ben fatto, ricco di materiali utili, agevole da consultare e gratuito possa solo far bene e tornare utile alla categoria.

Come si fa a farlo?

Non ne ho la minima idea. Al massimo riesco a concepire un sito sulla piattaforma gratuita di WordPress, con una home page organizzata a mo’ di indice ad albero. Non vado più in là.

Come si fa a cominciare?

Ci vogliono una piccola squadra e un piccolo investimento, presumo.

La prima e la seconda cosa da fare

La prima cosa da fare, una volta messa in piedi la struttura dell’archivio, è raccogliere il materiale esistente in rete (ricaricandolo nel sito, non semplicemente rinviando alla collocazione originale: perché oggi in YouTube c’è un filmato che è una bomba, ma domani chissà se ci sarà ancora).
La seconda cosa da fare è che la piccola squadra – che io immagino composta almeno in parte da persone che esercitano la nobile professione dell’insegnante di scrittura – generi e pubblichi materiali originali.

La terza e la quarta cosa da fare

La terza cosa da fare è preparare una campagna di comunicazione, perché un archivio non serve a niente se non c’è chi lo adopera.
La quarta cosa da fare è inventare un modo per mantenere i contatti con gli utenti dell’archivio, e convincerli a essere non solo utilizzatori, ma anche produttori di materiali.

La quinta e la sesta cosa da fare

No, fin là non ci arrivo. Mi fermo qui.

La cosa interessa a qualcuno?

Se sì, possiamo discuterne nei commenti. Grazie per l’attenzione.

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85 Risposte to “Condividere risorse per l’insegnamento della scrittura e della narrazione (eventualmente, una proposta per Tq)”

  1. Filippo Albertin Says:

    L’ideuzza che proponi è oggettivamente molto, molto interessante, e anche (per quel che ne so, cioè poco) inedita. A mio modesto avviso penso che una cosa del genere, però, qui da noi, dovrebbe in qualche misura essere affiancata ad alcune attività ulteriori, di corredo, integrative e sinergiche. Non so, ma vista così, isolatamente, non riesco a visualizzarla del tutto. Tu dici “una campagna di comunicazione”, certo, ma tale campagna dovrebbe innestarsi in un interesse tale da giustificare l’intera idea. Che pubblico avrebbe questa proposta? Chi cliccherebbe? Perché?

    A parte questo, ribadisco, una bella proposta. Da approfondire.

  2. demetrio Says:

    la mia risposta è sì (poi però mi viene da dire ma io che competenze ho), ma rimango per il sì.

  3. F. Says:

    Mi sembra un’idea “squisita”. Io utilizzerei sicuramente l’archivio come strumento di studio. Ma, non essendo qualificato – neppure in maniera informale – a insegnare alcunché, posso solo limitarmi a dare qualche suggerimento sul progetto. Ad esempio, per ragioni di semplicità/efficienza, potrebbe essere interessante lo sviluppo dell’archivio su piattaforma wiki – magari con limitazione alle modifiche della pagina alla sola accoppiata autore/amministratori – e un’eventuale risorsa per l’hosting del materiale video (anche un semplice account youtube/google video su cui duplicare i materiali). Ovviamente, a differenza delle wiki classiche, qui sarebbe prevista la presenza della firma in testa o in coda all’articolo. Semplice, efficiente, economico.

    Puoi contare su di me per la parte informatica. 🙂

    Francesco

  4. Filippo Albertin Says:

    Sul piano strettamente tecnico non mi pare ci siano particolari complicazioni. Non mi è però del tutto chiara la “portata” del progetto. Per esempio: ci si vuole limitare ai soli materiali in lingua italiana? Una scelta del genere è logicamente molto determinante. In materia di scrittura, infatti, i testi in lingua inglese sono incredibilmente più numerosi rispetto a quelli in italiano. Per dirne una.

    Detta così, questa idea sembrerebbe più che altro un “portale di documenti”, una sorta di grande wiki (anzi, potrebbe esattamente essere un wiki) sulla scrittura creativa (chiamiamola ormai così, dai, che ci si capisce).

    Una cosa del genere, anche se molto meno specifica, la uso già, banalmente, per postare i miei scritti in alternativa al classico cassetto. Si chiama Protagonize (www.protagonize.com), ed è un grande social network dedicato alla scrittura creativa. Si possono postare racconti, poesie, capitoli di romanzi, anche nell’ottica di scritture a più mani, ma anche non-fiction, trattati, esercizi, e logicamente “materiali” di ogni sorta, come articoli, lezioni e tutorial. Per ispirarvi, datevi uno sguardo.

  5. Andrea Says:

    Butto là.
    La struttura della piataforma potrebbe assomigliare a quella della formazione dei docenti: http://for.indire.it/docenti/login/index.php?Msg=
    Uno si iscrive, inserisce il suo nome utente, la sua password ed entra in un ambiente in cui sono scaricabili materiali utilizzati da altri docenti e messi da loro a disposizione, in cui può inserire i suoi di materiali, in cui ci sono un forum e un blog attivi dove i docenti si possono confrontare sulle esperienze, sull’utilizzo dei materiali, sull’efficacia di una particolare strategia di insegnamento, su una tecnica di scrittura, sulla validità dei materiali utilizzati, in cui si possono scambiare consigli di lettura e, magari, testi via e-book, creare lezioni in rete per realizzare un testo collaborativo composto da più classi coordinate da un team di docenti che lavorano in rete, etc…
    Un bel casino da organizzare, ma diventerebbe interessante. Ovviamente ci dovrebbe essere un team a gestire e coordinare la piattaforma e un “collegio di docenti”, diciamo accreditati, che tengono i corsi e buttano dentro i materiali.
    Pubblicazioni in e-book per i corsisti e così via.
    Forse ci si potrebbe fare anche qualche soldino sopra, in effetti. Ma bisogna avere tempo.

  6. Filippo Albertin Says:

    Mah. MI vengono in mente due cose:

    1. L’idea di un vero “collegio docenti” funzionerebbe nel caso di una materia completamente strutturata all’interno di un percorso di studi altrettanto strutturato. Cosa che in Italia non solo non esiste, ma appare piuttosto difficile da realizzare. Quanto all’accreditamento, fatico a credere che ci si possa accreditare al di fuori della maturazione di un’autorevolezza “de facto”, che peraltro non è neppure condizione sufficiente a decretare una qualità d’insegnamento.

    2. Una “roccaforte di insegnanti di scrittura creativa” che eroga servizi in forma di e-book scaricabili mi pare troppo simile a una succursale web di iniziative già presenti, tipo la Holden, e mi sembra allontanarsi dall’originaria idea del Mozzi, che è, se ho ben capito, un luogo di reperimento documentale condiviso sull’argomento “insegnamento della scrittura”.

    Secondo me la difficoltà organizzativa non è nei termini di una opportuna piattaforma; di architetture social network adattabili alla cosa ce ne sono mille, e tutte perfettamente adatte allo scopo. Piuttosto, non capisco in che modo, e in capo a chi, rendere questa struttura “proprietaria”.

    Mi vien da dire: accorpiamo ‘sta roba in Vibrisse, direttamente e brutalmente. Sarebbe più credibile, oltre alle ovvie economie di scala.

  7. Lucio Angelini Says:

    Trovo che tu voglia volare molto basso, confinandoti nel mero orticello della scrittura. Sii più audace: allarga gli orizzonti istituendo specifici archivi anche per la scultura creativa, la pittura creativa, l’architettura creativa, la danza creativa, la composizione musicale creativa… e chi più ne ha, più ne metta.

  8. Filippo Albertin Says:

    @Lucio — Le acque in cui navighi mi affascinano, ma hai una pallida idea della loro pericolosità?

    In ogni caso, stiamo a sentire la reazione.

  9. Giulio Mozzi Says:

    Grazie. Qualche risposta al volo.

    Filippo: “…una cosa del genere, … dovrebbe in qualche misura essere affiancata ad alcune attività ulteriori, di corredo, integrative e sinergiche”. Be’: se una cosa del genere la facessi io, sarebbe fin dal principio dimmersa in una rete di attività integrative e sinergiche. Se la facessimo in un gruppo di professionisti, idem. Se la “adottasse” Tq, o un gruppo di Tq, idem. Se la “adottasse” un ente di formazione, idem.

    Francesco (F.): “Semplice, efficiente, economico”. Proprio le tre parole che speravo di sentirmi dire.

    Andrea: sì. L’ideuzza mia è così poco originale che è proprio ispirata alle forme di collaborazione di cui tu parli. Però io vorrei creare una faccenda un poco più aperta (fa’ conto che, non essendo io “un docente in servizio o un incaricato annuale delle scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado”, non posso accedere alla piattaforma Indire: e tuttavia lavoro per la scuola pubblica, presso un ente pubblico, proprio in un progetto di condivisione…).
    Inoltre ho il sospetto che mentre la condivisione di materiali è un risultato abbastanza semplice da ottenere, tutte le altre cose – ossia la collaborazione online – siano da considerare un passo successivo. Sono tanti e tanti anni che gli insegnanti lavorano da soli con la loro classe, e non si cambiano abitudini e mentalità da un giorno all’altro.

    Ancora Filippo: “non capisco in che modo, e in capo a chi, rendere questa struttura “proprietaria””. Non ho capito.

  10. Filippo Albertin Says:

    Mi spiego meglio. A me pare di aver capito che tu intenda un “portale collaborativo”, chiamiamolo così, del tutto autonomo, gestito da Caio e Sempronio ma non identificato in Caio e Sempronio. Un marchio, un acronimo, con un logo, insomma: qualcosa di identificabile. Ora, questa identificabilità come te la immagini? Come un sito/blog personale di un qualsiasi appassionato che raccoglie minuziosamente materiali e li propone nel Web? Non credo. Cioè, potrebbe essere; non c’è nulla di male, anzi.

    Se non è così — cioè, se la parola “proprietà” non ha alcun senso e la tua attenzione è solo al risultato — la cosa si può fare da subito senza alcun dispendio. Che so, su Google Sites è possibile mettere in rete un sito modulare, dove tutti possono agevolmente collaborare attraverso Google Docs.

  11. Giulio Mozzi Says:

    Ho capito.
    Be’, se la cosa la facessi o la avviassi io non sarebbe “un sito/blog personale di un qualsiasi appassionato” ma, come minimo, “un archivio aperto di uno dei più prestigiosi professionisti”.
    A naso: direi che ci vorrebbero un bel nome, un bel logo, un piccolo gruppo di “fondatori” (e gestori) che garantisca la qualità della faccenda.
    Ho il sospetto che un wiki sarebbe più pratico di uno spazio in Google Sites. Ma sono incompetente.

  12. Filippo Albertin Says:

    Appunto. Era esattamente quello che proponevo io: una costola di Vibrisse, piuttosto che una costola tua, che mi pare sia quasi la stessa cosa, visto che la voce principale e primaria di Vibrisse sei tu.

    Google Sites è praticamente un wiki, ma la piattaforma non è un problema. Molto grazioso è Ning, per esempio. Anche se un’interfaccia più simile a Wikipedia, in effetti, come suggerisci tu, sarebbe più coerente con la tematica: un bel foglio bianco da scrivere.

    Si tratta di decidere:

    (a) un sito personale di un prestigioso professionista coadiuvato da soggetti da definire;
    (b) un wiki impersonale gestito da uno/più prestigiosi professionisti in vari campi, coerentemente orientati a un risultato comune e condiviso.

  13. Giulio Mozzi Says:

    Filippo: no, non “si tratta di decidere”.
    Ho pubblicato questa proposta da ventiquattr’ore scarse. Un po’ di calma.

  14. Filippo Albertin Says:

    Ma sì, ovvio. Ho detto “si tratta di decidere”, e non “si tratta di decidere ora”. Identificavo cioè alcune direttrici tecniche, alcune decisioni a monte. Ma il grosso è altrove, riguarda i contenuti, le possibili vie di sviluppo, il carattere della documentazione, il suo orientamento, la sua articolazione formale (lezioni? letture critiche? inediti? appunti? sbobinature?), etc…

    Se sono così intrippato è solo perché già me lo vedo, questo spazio.

  15. Giulio Mozzi Says:

    Visto che sei in Tq, Filippo, potresti far discutere della cosa lì dentro.

  16. Giulio Mozzi Says:

    Esempi.

    In A tutta scuola.

    Adriano Colombo.

    Oblique.

    Il mestiere di scrivere.

    Le audiolezioni del prof. Gaudio.

    Quaderni di didattica della scrittura.

    Liceo Fermi di Bologna.

    Graphein.

    Libera università di Anghiari.

    Videoscrittura e didattica della scrittura.

    Immagini di scrittura.

    Recursos para el escritor.

    Tarbyia, numero speciale.

    Lettura, scrittura, letteratura in Venezuela.

    Ecriture creative et plaisir d’apprendere.

    Les ateliers d’écriture.

    Ecc.
    C’è di tutto, del bello e del brutto.

  17. Carola Susani Says:

    L’idea mi sembra bella e necessaria. Sarò molto contenta di condividere i materiali e di ragionare insieme del progetto.

  18. Filippo Albertin Says:

    Annoto i tuoi fertili collegamenti, e mi studio un post nel forum TQ. Poi se la cosa germoglia torno qui e faccio rapporto.

  19. enrico Says:

    gentilissimi
    insegno scrittura creativa a Milano (a Cusano, a Cinisello) – e a volte sento il senso di isolatezza del mio lavoro – tante sono le cose sperimentate che mi piacerebbe “mettere insieme” e collegare – sono un entusiasta di questo lavoro!
    Per qualsiasi iniziativa di scambio e di coordinamento, di formazione comune, di “messa in rete” io ci sono (sottolineavo anch’io tempo fa l’assenza tra le riflessioni dei Tq del tema “formazione” e scambio di conoscenze).
    Mi piacerebbe pensare anche a una “piattaforma” sull’editoria più in genere: per esempio, chi insegna a correggere bozze? A me ancor oggi pare un campo interessante e bello, per nulla meccanico, professionalmente negletto… l’editing non ha forse bisogno di elaborazione teorica e di riflessioni “pragmatiche”, di esemplificazioni ecc.? Fatemi sapere come “entrare nel gioco”!!
    Enrico Ernst
    PS ci siamo conosciuti, Giulio, sul set del fotoromanzo…

  20. Emanuela Cocco Says:

    Ciao a tutti. Insegno in un laboratorio di drammaturgia a Roma. Forse insegno è una parola grossa, diciamo che smonto le scene teatrali, a volte anche racconti o sceneggiature della serialità televisiva americana e ci ragiono sopra. L’idea mi piace molto. Mi piacerebbe condividere delle lezioni sulla drammaturgia che mi sono riuscite bene. Ci sono, anche per il piccolo investimento, se siamo in molti potrebbe diventare un investimento consistente. Detto questo come si potrebbe iniziare? Ognuno potrebbe iniziare a condividere una lezione?

  21. Giulio Mozzi Says:

    Grazie per le disponibilità.
    Per cominciare a condividere, bisogna prima creare una piattaforma: almeno una versione di prova.
    Ci vorrà qualche tempo (non tanto, credo). Aspetto anche di sentire se dal gruppo Tq viene un segnale di interesse (ne sarei molto felice, ma credo abbiano molte cose per la testa e per le mani, in queste settimane).

  22. vbinaghi Says:

    Più che condividere insegnamenti, in questo momento della storia della (video) scrittura mi sentirei di condividere un dubbio, con chi lavora per espanderne la portata.
    Lo esprimo con le parole di Carlo Formenti:

    “A contare non è che cosa si pubblica bensì la facilità con cui chiunque, anche soggetti privi di ogni competenza culturale e tecnologica, viene messo in condizione di pubblicare. Prima di celebrare quest’evoluzione come un passo sulla via della «democratizzazione della comunicazione», tuttavia, occorre rispondere al seguente interrogativo: chi «possiede» i contenuti «autoprodotti» dall’utente comune, chi detiene il controllo sui loro effetti politici ed economici?
    È l’interrogativo da cui parte Andrew Keen in un libro ferocemente polemico nei confronti, sia della pessima qualità dei contenuti amatoriali, sia dell’uso che ne viene fatto da parte delle imprese del Web 2.0. Lo scenario descritto da Keen è quello dell’ascesa di nuovi padroni che – sfruttando le smanie di apparire, di «esserci», di milioni di produttori amatoriali di news, musica, video, testi letterari ecc. – vanno all’assalto della vecchia industria culturale. I profeti del Web 2.0, scrive Keen, hanno costruito il mito della democratizzazione sfruttando tre ingredienti ideologici: l’antiautoritarismo delle controculture degli anni Sessanta, il liberismo economico degli anni Ottanta e le infatuazioni tecnomistiche degli anni Novanta. Questa miscela ha funzionato alla grande nel legittimare l’ascesa delle imprese che sfruttano i contenuti amatoriali come «semilavorati» dei propri processi di valorizzazione. Che poi la qualità di questi semilavorati sia pessima non è un problema. Al contrario: la qualità, il vero talento, costano cari, richiedono investimenti che erano giustificati quando l’industria culturale si fondava sulla standardizzazione/duplicazione di originali di qualità elevata prodotti da artisti/artigiani; ora che è possibile creare nuovi prodotti remixando prodotti precedenti, un lavoro che può essere affidato a milioni di prosu-mer che lo svolgono gratuitamente, non ha senso buttare soldi per assumere forza lavoro qualificata. Ecco perché l’impresa che incarna meglio di ogni altra il nuovo modello di business non produce cultura ma eroga un servizio: l’archetipo del nuovo padrone è Google, un «parassita» che non crea nulla ma si limita ad aggregare quello che producono gli altri.”

    Si può leggere l’intero articoplo qui:
    http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/1342-carlo-formenti-i-guru-pentiti-rileggono-mcluhan.html

  23. Giulio Mozzi Says:

    Giusto, Valter.
    L’operazione che propongo va infatti nella direzione opposta: reperire, schedare, rivedere, commentare “risorse didattiche” significa anche selezionarle, collaudarle, valutarle, rilavorarle, eccetera.
    Ovviamente bisognerà trovare il giusto equilibrio tra “apertura” e “chiusura” del sistema. E questo, temo, si potrà fare solo in corso d’opera: cercando di non sbagliare, sbagliando, e imparando dagli sbagli.

  24. Filippo Albertin Says:

    TQ è stato informato, anche se penso possa informarsi direttamente qui sull’andamento di idee e, presumibilmente, di lavori.

    Non sono completamente d’accordo sulle cose dette, ma alcuni concetti li trovo attendibili e portanti: per esempio, non definirei Google un “parassita”, ma la dinamica sulla base della quale oggi si producono servizi (di qualità presunta e discutibile) a scapito della produzione e conservazione di Cultura e Memoria è certamente un marchio di fabbrica dei nostri tempi, che ci sta avviando verso scenari tristi.

    L’idea contraria — appunto, quella di una classificazione umanizzata, fatta per passi successivi, non automatici, ma critici e ragionati — è anche per me l’unica che possiamo “opporre” per cambiare un po’ le cose.

    Unico dettaglio, a me pare che la cosa, complessivamente, stia prendendo più la piega di un “social network per insegnanti di scrittura”, e che lo spazio destinato alla fruizione esterna rimanga un tantino in secondo piano. Solo un’impressione?

  25. Lucio Angelini Says:

    La cosa divertente è che per insegnare nelle scuole vere occorrono precisi titoli e abilitazioni, mentre per l’insegnamento della scrittura creativa basta la mera iniziativa personale: qualunque ventenne, magari illetterato o del tutto privo di curriculum, può sentirsi ferrato e pronto all’ammaestramento delle casalinghe del quartiere*-°

  26. Filippo Albertin Says:

    Louis Armstrong era autodidatta, per giunta analfabeta. Se fossi un trombettista regolarmente uscito dal Conservatorio, e avessi fatto tutti i perfezionamenti possibili e immaginabili con i massimi trombettisti della terra, rifiuteresti di averlo magicamente come maestro?

    Secondo me la ragionevolezza sta un po’ nel mezzo. Da un lato ci sono i titoli e i vari iter di studio, che sono importanti. Ma dall’altra c’è l’autorevolezza “de facto”, che può essere decretata anche da una casalinga di quartiere.

  27. Federica Campi Says:

    Questo è pure vero – e vale però per qualunque sedicente esperto di. Ci sono anche lezioni terra terra sulla terra (certe robe senza progettualità e valore su ambiente e territorio, per quello che ho visto io, per esempio). Mi sembra una preziosissima cosa la costituzione in sé di questo posto virtuale, il fatto cioè che si formi, che si visualizzi, ecco, un soggetto che è l’insieme di tutti coloro che lavorano sulla scrittura (una parte: chi vuole aderire; una parte: cosa è effettivamente risultato interessante e di valore perché vi potesse aderire, etc.) – comunque, questo corpo prenderà una forma, e in quella forma nel tempo potrebbe rivelarsi un’anima, ovvero il senso stesso della didattica della scrittura. E questo senso della didattica della scrittura potrebbe essere, nel tempo, la costituzione di una idea nuova della scrittura dentro e per la scuola. Un cambiamento di salute della nostra didattica della scrittura, sarebbe una virata sul territorio della creatività, dell’espressione individuale. Quando sono a scuola, si tratti dei bambini delle primarie o dei ragazzi delle secondarie inferiori, ciò che si inceppa, in qualche modo, è la fiducia, la capacità di affrontare se stessi. L’espressione viene minacciata da lontano dalla paura di sbagliare (ortografia e sintassi) e dalla paura di dire cose inutili, non vere, non importanti. Cioè i bambini, i ragazzi, non credono importanti i propri pensieri, che subiscono a monte (mentalmente) e a valle (la penna rossa dell’insegnante) la censura grammaticale, che è più in generale la censura dell’errore, del dire o fare una cosa sbagliata. Non vorrei essere fraintesa, a questo punto, sull’importanza dello scrivere correttamente in italiano. Certo che è fondamentale. Ma questo ‘sapere’ deve integrarsi, vivere, essere vivo dentro l’altro sapere, il saper esprimere se stessi – germoglierà il frutto dopo il fiore. Dentro la scuola l’insegnamento è sempre e comunque un gesto educativo, e se lavori con le parole, col linguaggio, non può non essere educativo. Lo è naturalmente – tuttavia, tanto spesso, non lo è affatto. Se potrò fare qualcosa, se sarò o potrò essere in qualche modo utile – rimarrò sintonizzata.

  28. Lucio Angelini Says:

    Vero anche questo. Mamma Ebe si era imparata da sé (a fare la santona)*-°.

  29. Lucio Angelini Says:

    P.S. Anche nel suo caso, l’autorevolezza de facto è decretata dagli adepti che continua a trovare malgrado le ripetute condanne.

  30. Giulio Mozzi Says:

    Mi dicono che di questa ideuzza si è parlato, poco fa, nel programma “Pagina 3” di Radio3. Io non ho sentito (ero in treno).

  31. Giuseppe D'Emilio Says:

    Poco fa hanno parlato di questo post nella trasmissione “Pagina tre” di Radio3

  32. Giuseppe D'Emilio Says:

    Giulio, ci siamo sovrapposti…

  33. caliceti giuseppe Says:

    Caro Giulio, come spesso ti capita, la tua ideuzza a me pare una grande idea: proprio per la sua semplicità e utilità. Non solo per il gruppo generazione Tq – di cui, per quanto riguarda la sezione scuola, sono stato più volte contattato, ho interagito ma non sono ancora riuscito a trovare una continuità di comunicazione – ma per l’intera scuola italiana, se avesse orecchie per ascoltare. A ogni modo, come tu sai bene, a Reggio Emilia, con l’esperienza decennale del servizio comunale gratuito Baobab/Spazio Giovani Scritture, siamo sulla lunghezza d’onda che tu delini con lucidità e passione. Una sezione della biblioteca decentrata è infatti dedicata a tutto quello di cui parli. Con la stessa idea di fondo: mettere in rete esperienze. Aggiungo io: non solo quelle pubblicate – non solo libri, cioè – ma anche esperienze didattiche sull’apprendimento della narrativa e della poesia “in forma di libro”, magri anche in forma di semplici dattiloscritti ma sempre importanti esperienze sul campo svolte da autori, scrittori, docenti-scrittori. Per quanto mi compete, posso dire che siamo disponibili a mettere in rete tutti i nostri materiali. E di linkarci – o collaborare alla realizzazione – di un sito adeguato. Magari anche in forma di NetWork. Approvo tutto quello che tu proponi. Ma ne approfitto per fare un’ulteriore considerazione. Come tu sai, ma lo ripeto perchè lo sappiamo anche altri che magari leggeranno questo intervento, da alcuni anni Baobab ha stretti contatti con l’Università di Modena e Reggio Emilia, in particolare con la facoltà di Scienze della Formazione Primaria dei futuri docenti della scuola primaria italiana, tanti che le mie lezioni di laboratorio le tengo in Università e la maggioranza dei partecipanti sono proprio studentesse e, anche, alcuni studenti. Parlano con alcuni docenti universitari, tra cui Roberta Cardarello, ci siamo accorti che corsi di scrittura creativa esistono in molte università straniere, per esempio negli Stati Uniti, ma sono ancora poche in Italia. A prescindere da come la si pensi sulle scuole di scrittura – anche la nostra, a Reggio, non è certo una scuola di scrittura all’americana, anzi, non è proprio una scuola ma un corso, un laboratorio di condivisione di lettura e scrittura, – credo sia fondamentale che nella scuola italiana, sia a livello di formazione docente sia di didattica con alunni e studenti, si riprenda a parlare con forza di questa cosa. Dico riprenda, perchè se ne è già parlato. Per esempio qui a Reggio Emilia, dove Gianni Rodari è venuto e ha realizzato la sua Grammatica della Fantasia. Voglio dire: non si tratta tanto di dire scuole di scrittura sì o scuole di scrittura no, ma di ricominciare, dopo anni di colpevole silenzio, a riparlare seriamente di creatività nella lettura e nella scrittura a scuola, promuovendo una cultura e una formazione in cui la creatività non è vista, secondo l’ideale romantico, come dono individuale da coltivare in solitudine, ma come pratica formativa e didattica.

  34. Giulio Mozzi Says:

    Ho fatto un po’ di confusione. Giuseppe mi ha spedito per posta l’intervento qui sopra; io non mi sono accorto che lo aveva anche inserito qui; e quindi l’ho pubblicato come articolo autonomo. Poi mi sono accorto, e ho tolto l’articolo.

  35. adele Says:

    ciao Giulio, sono approdata a questo articolo sentendo Pagina 3 stamattina. L’idea è formidabile e necessaria, come ha detto qualcuno.
    Penso che un wiki sia l’ideale – posto che questo genere di cose funzionano solo se veramente tutti mettono in comune i loro talenti. Vi seguo e sono pronta a partecipare… da maestra di scuola elementare 🙂

  36. Giulio Mozzi Says:

    E anche se non ci si mettono “tutti”, Adele, sarebbe già interessante essere “un bel po’”…

  37. driuorno Says:

    mercì beaucoup !

  38. vbinaghi Says:

    Okay, io non ho molto. Solo un corso in cinque incontri che ho progettato e realizzato, più alcune cose sparse nel testo che hai letto. Se serve e si trova un modo per condividerle, cedo volentieri.

  39. leonella Says:

    qualcuno ha in mente il film Freedom writer? Racconta la storia vera di un’insegnante americana che accetta la sfida di insegnare ai ragazzi dei ghetti ad esprimersi e raccontarsi perché vede in quello la possibilità di un riscatto per quei giovani, una via perché essi comincino a dare valore alle loro vite disgraziate spese nella violenza delle strade dove abitano. Ho letto che il metodo utilizzato da questa insegnante è stato poi divulgato e utilizzato in altre scuole del mondo. Partiva da un sistema banalissimo che era di dare ad ognuno un quaderno bianco su cui poteva scrivere in libertà ciò che voleva per poi lasciarlo su uno scaffale dove veniva ritirato dall’insegnante. Ricordo che anche Lalla Romano quando faceva l’insegnante di lettere utilizzava questo metodo.
    L’insegnante americana leggeva come esempio per stimolare la scrittura “Il diario di Anna Frank” ritenendo che i ragazzi potessero rispecchiarsi nel diario di un’adolescente scritto in condizioni di incertezza e paura rispetto al futuro. Sono fuori tema ma ciò che continua a frullarmi in testa è che pur ritenendo utilissime le lezioni di scrittura creativa, come quelle di Giulio Mozzi, che sono fatte benissimo, io dopo che le ascolto le dimentico, mentre invece se leggo quello che scrive la O’Connor per esempio o Simenon (nell’intervista ripubblicata di recente) che parlano di ciò che si ricerca scrivendo, insomma quando sento uno scrittore spiegare il senso del suo scrivere allora mi si accende la motivazione, quello che è il senso dello scrivere per loro, quello che dicono per spiegarlo, quello agisce dentro di me, mettendomi il desiderio di cercare il mio di senso, senza di quello io sono come quei ragazzi che non scrivono perché non sanno che la loro vita ha un valore.

  40. Filippo Albertin Says:

    @Federica Campi — Tocchi un punto nevralgico e, secondo me, dolente. Spero che qualcuno se ne accorga.

    @Giuseppe Caliceti — Sottolinei in modo molto appassionato il ruolo della scuola pubblica, nell’ottica di una sua “ripresa” su tali tematiche dopo un lungo periodo di sostanziale silenzio, piuttosto che di generica distrazione.

    Riassumendo. Secondo voi che rapporto deve/può intercorrere tra scuola e iniziative di tal genere?

  41. Filippo Albertin Says:

    @Lucio Angelini — Si può apprendere da autodidatti un’infinità di cose, dalle tecniche per eseguire il doppio staccato con la tromba alle tecniche per far saltare in aria uno stabile a scopi terroristici. La prima cosa non è un reato, la seconda sì.

    Se un non diplomato/laureato scrive e pubblica un libro che poi ha successo, significa necessariamente che ha imbrogliato qualcuno, che ha sfruttato qualcosa di losco, e che il libro non può essere bello? Io dico: leggiamo intanto il libro, e solo dopo andiamo a vedere il curriculum dell’autore.

    Questo non significa che io sia a favore di una “scrittura creativa” concepita come servizio che il primo che passa possa fornire. Non per niente, in campi “di confine” (teatroterapia, musicoterapia, quasi tutti terapia, insomma), nascono come funghi le federazioni.

    Certo, una sistemazione della materia potrebbe essere al limite proposta. Ma da chi? Secondo me, nella situazione italiana, solo da chi ha “oggettivamente” preso il microfono in mano e ha iniziato a parlare.

  42. Marco Candida Says:

    Sì, ma negli Stati Uniti ho fatto una sorta di “affiancamento continuo” (dal 2008) con una professoressa di scrittura creativa (Elizabeth Harris insegnante di letteratura e appunto della famigerata creative wirting presso University of North Dakota). Che cosa le ho visto fare? L’ho vista soprattutto (se non soltanto) correggersi malloppi su malloppi di racconti. Taglia questa parte. Non usare l’aggettivo in quella posizione. Qui è banale. Qui è incoerente. Correzioni come queste su racconti di venti, trenta pagine. Racconti veri, veri e propri racconti.

    Mi pare che il lavoro di insegnamento della scrittura creativa consista in questo. Leggere. Correggere. Spiegare in classe, mentre si legge e si corregge.

    Invece mi sembra che dove non c’è pratica di questa materia si pensi alle lezioni di scrittura creativa più che altro come a un momento dove chi dimostra di essere il più creativo di tutti sia proprio il docente. La mia impressione è che si pensi alle lezioni di scrittura creativa come la possibilità di replicare Le lezioni americane di Calvino o le Norton Lectures di Eco.

    Insegnare scrittura creativa è un lavoro vero. Noioso. Ripetitivo. Stancante. Che dà le sue soddisfazioni. E dà anche di che campare – negli Stati Uniti. Insomma, un lavoro tout-court.

    Io dico, bisogna essere pronti a sapere questo. A essere consapevoli di questo. Se si è consapevoli di questo, ossia che insegnare scrittura è un lavoro persino debilitante, noioso, ripetitivo, fatto di tantissima brutta scrittura che va letta e corretta (un editor un brutto romanzo lo può mollare dopo tre pagine; un insegnante no, deve leggere e correggere tutto), allora si comincerà a ragionare per creare situazioni dove questo lavoro venga intanto eseguito e poi anche pagato.

    Ricordiamoci che negli Stati Uniti chi fa scrittura creativa può diventare insegnante di scrittura creativa a sua volta. Quindi l’intento può anche essere solo quello di trovare un mestiere – sia pure molto bello e difficile da ottenere. Non necessariamente fare lo scrittore, pubblicare romanzi.

    Quindi condividere i materiali in rete la vedo un po’ come la voglia di scrivere sulla scrittura, costruire delle mirabili riflessioni, scrivere delle lezioni, forse. Però se davvero si vuole avviare una pratica d’insegnamento della scrittura creativa in Italia quel che serve è appunto leggere i lavori degli altri, correggerli, far scrivere racconti, romanzi e poi farli riscrivere eccetera. Ecco questo è insegnare scrittura creativa. Questa è la scrittura creativa. Uno dei più noiosi mestieri al mondo. Non, ripeto, l’occasione per il docente di far sfoggio delle sue letture, delle sue esperienze e della sua intelligenza. E’ soprattutto questo.

    Scrive Giuseppe Caliceti: “Parlando con alcuni docenti universitari, tra cui Roberta Cardarello, ci siamo accorti che corsi di scrittura creativa esistono in molte università straniere, per esempio negli Stati Uniti, ma sono ancora poche in Italia.”

    Sì, almeno in 71 Università, negli Stati Uniti. ecco un elenco:

    http://www-as.phy.ohiou.edu/~rouzie/569A/compcreative/University.htm

    Ci sono anche i programmi didattici. Dove si leggono autori e ci si concentra su un aspetto della narrazione. Non so il paesaggio, ma anche l’arredamento.

    220.628 Techniques of Fiction: Landscape and Setting
    We will study physical setting in fiction (landscape,
    weather, houses, furniture, and other objects) in terms
    of its role in narration and its special techniques. We will
    read writers who aimed—in the course of telling their stories—to evoke a particular region, class, and era. Readings
    in Cheever, Taylor, Munro, Merwin, Waldie; Ruskin,
    Valery, and Wolfflin.

  43. Federica Campi Says:

    @ Filippo Albertin
    Ecco, quale rapporto tra scuola e didattica della scrittura. Posso solo dire quello che so per aver vissuto o visto, e ridire che a scuola ogni gesto è, può essere, educativo, dalla lettura di una poesia all’assistere ai giochi durante la ricreazione. La scuola dovrebbe imparare a osservare i bambini, i ragazzi. Ecco una cosa, per iniziare. Osservare, non giudicare (del tipo: “eeeeh, hai scritto ‘solo’ questo?” – ma quel ‘solo’ era la storia di una bambina che trova un osso nascosto a terra, e a me questo enorme osso, disegnato a tutta pagina, sembrò un qualcosa di straordinario proprio nella sua nudità, bianco e grigio, trovato chissà dove, chissà come, però trovato, non ‘solo’ trovato. Ma è un piccolo esempio, e non vuol dire niente se non dicessi tante altre cose che non c’è spazio e tempo di dire).
    Se uno scrittore entra a scuola come una star, o se la scuola è invitata a incontrare lo scrittore (e arriverà all’appuntamento come a un appuntamento con una star), l’esperienza sarà bella, piena di possibili sviluppi, ma non sarà – non è, credo – del sapore di ciò che ho letto negli interventi qui sopra – niente semina, e niente germogli. Se la scrittura entra davvero a scuola, entra attraverso le mani e gli occhi dei bambini e dei ragazzi che scrivono. Non c’è altra strada. Almeno per me non esiste altra strada. Quella frase tanto bella, di Rodari, che a scuola la fantasia è considerata la sorellastra povera della memoria, riletta sempre nel contesto, naturalmente, è una frase ancora vera. Tante scatole aperte per la fantasia, a scuola, certamente, tante cose fatte, tante energie incanalate perché i bambini possano utilizzare la propria immaginazione, e tuttavia tanta strada da fare, tanta povertà, paura di sbagliare, fraintendimenti su ciò che è bello – possibile, gioioso, libero – tante buche e tanti fallimenti. E non è certo una ‘colpa’ da addossare ai maestri, ai professori, che fanno del loro meglio, che in molti casi sono davvero bravi – gli ingredienti che hanno fatto la frittata sono numerosi, le famiglie, per dirne uno, i genitori che non hanno gli stessi obiettivi degli insegnanti, le restrizioni ministeriali, i casi specifici di ogni gruppo classe, etc – ma il fatto è che mi sembra un’occasione di valore, questa, di poter creare un contatto tra l’insegnamento e la scrittura. Sarà poco, ma sarà pur sempre un inizio, come l’occhiolino di un amico in mezzo a un fiume di gente sconosciuta – d’altra parte, toccherà fare una cosa alla volta, una piccola cosa alla volta, e però toccherà farla.

  44. giuliomozzi Says:

    Concordo, Marco. Il grosso del lavoro è il lavoro sul testo.
    Il grosso. Non tutto.

    Se voglio far capire a Tizio che cosa è un lavoro di riscrittura, posso mettergli sotto gli occhi qualche pagina delle due edizioni di “La grande sera” di Giuseppe Pontiggia. Leggiamo insieme, confrontiamo, cerchiamo di capire come ha lavorato Pontiggia.
    Io questo l’ho fatto più volte. Ha senso che io faccia una scheda, nella quale spiego che quell’esempio funziona particolarmente bene?
    Tutto qui. Non pretendo che questo archivio di risorse sia qualcosa di più. E comunque non mi pare poco, alla fin fine.

    Scrivi: “…se davvero si vuole avviare una pratica d’insegnamento della scrittura creativa in Italia quel che serve…”. Il mio obiettivo è più modesto.

  45. Alessandra Says:

    La necessità di avere strumenti per poter orientare ed aiutare gli studenti nel comporre testi, dovrebbe avere la precedenza sull’insegnamento della letteratura stessa che non può essere fruita nella giusta maniera se non si possiede poi una chiave, almeno una, per potervi accedere da una prospettiva che non sia unicamente quella dell’imparare una cosa perché è d’obbligo in quel momento e poi togliersela di mente per fare spazio ad altro, in una frenetica corsa al sei, o al credito. La scrittura ha delle tecniche che tutti possono imparare; perché custodirle gelosamente nelle teche accademiche o industrial-editoriali? Sono assolutamente a favore della condivisione, del proselitismo scrittorio, dello sdirocciamento di questa disciplina, la composizione di un testo, che da molti studenti è mal vissuta e mal sopportata.

  46. demetrio Says:

    ciao.

    una postilla sul lavoro. Marco tu scrivi “Insegnare scrittura creativa è un lavoro vero. Noioso. Ripetitivo. Stancante. Che dà le sue soddisfazioni. E dà anche di che campare – negli Stati Uniti. Insomma, un lavoro tout-court.”. Ogni lavoro è noioso, ripetitivo e stancante che sia battere la lastra alla bertone, vendere appartamenti, insegnare alle elementari.

    e questo mi porta a fare un ragionamento. Tu, Marco, hai descritto una pratica che arriva dopo. Giulio mi pare voglia qualcosa di più teorico. nel senso.

    Prima di arrivare a scrivere 30 pagine di racconti, credo che in qualsiasi corso si parli di retorica, di costruzione, di trama etc etc. Si vede come gli scrittori hanno costruito i loro libri e poi si parte a scrivere.

    Ad esempio a me piacerebbe che qualcuno smontasse i dialoghi di Dostoewskij e mi dicesse come fa a farli così lunghi, inverosimili nel parlato reale, eppure così necessari alla storia.

    cioé tu, Marco, hai dato risalto alla partica, mentre mi sembra che giulio stia cercando qualcosa di più legato alla teoria.

    d.

  47. demetrio Says:

    ho visto ora che giulio ha detto, meglio, quello che ho provato a dire io.

    d.

  48. Filippo Albertin Says:

    Questi commenti si stanno trasformando in una sorta di compendio di idee. Tutte molto interessanti, definitorie, ragionevoli e anche costruttive. Abbozzo un riassunto.

    @Marco Candida — Nel tuo commento illustri, con dovizia di particolari, un sano e duro lavoro. Questo sano e duro lavoro americano viene svolto esattamente perché la scrittura in questione è creativa, nella traduzione letterale del termine. Una cosa creativa è, in prima battuta, un ammasso multicolore, indifferenziato, ridondante, con molte trovate illuminanti e altrettante inutilità da tagliare, il tutto detto con espressioni al 70% malfunzionanti e inefficaci. Il duro e sano lavoro è però pienamente giustificato solo da un secondo elemento, che è lo sbocco, l’output finale: che si tratti di un libro da pubblicare, di un racconto da inserire nel prossimo numero di una rivista, piuttosto che di una prassi di (ehm) autoterapia, esiste in America un bacino d’utenza potenziale infinitamente superiore a quello italiano. Questo dettaglio facilita le cose, nel senso che esiste un settaggio, una prospettiva, insomma un “qualcosa” che qui da noi andrebbe ridefinito pezzo per pezzo con gli strumenti della libera inventiva personale e aziendale. Penso quindi a iniziative sinergiche tra il molto che esiste (editori, enti, comuni, insegnanti, professionisti, scrittori, etc…) e il moltissimo che oggi risulta disperso e atomizzato.

    @Federica Campi — “Se uno scrittore entra a scuola come una star.” Appunto, il problema è esattamente quello. Che uno che scrive e pubblica, qui da noi, è una star, e come star si propone. Il mondo adulto probabilmente pende dalle sue labbra per questo ergersi ad autorità prettamente mercantile. Ma il mondo dei fanciulli no, perché il suo scopo è imparare, assorbire buone prassi, e non (pensare di) carpire segreti per scrivere e pubblicare un best seller. Il tuo commento centra perfettamente l’idea — mi permetto, tutta femminile, alla Natalie Goldberg — di una scrittura che parta dal profondo, dalla radice, dalla prassi creativa, che nel nostro paese è sostanzialmente osteggiata “sul nascere”, ben prima che arrivi a configurare nella mente abbozzi di narrazioni e poesie e arte in genere.

    Mi piace vedere questi due commenti come le due facce perfettamente speculari e complementari della stessa medaglia.

  49. giuliomozzi Says:

    Macché scrittori star. Qui tutto fa brodo.
    🙂

  50. GiusCo Says:

    Fossi in Mozzi e avessi le sue autorevolezza, esperienza, competenze, entrature, sarei molto piu’ cinico: metterei su una bella impresina di servizi editoriali a pagamento. La massima parte del lavoro sarebbe “noiosa, ripetitiva e stancante”, ma a fronte di un corrispettivo garantito dal gran numero di questuanti e dal buon nome del titolare. Se in ambito anglofono il creative writing e’ una disciplina come altre, in Italia la bottega di arti e mestieri e’ ancora padronale e la differenza la appunto il prestigio e l’appeal del titolare: un suo sputacchio su foglio cartonato vale 100 euro, uno mio zero. Il senso pratico del discorso e’ tutto qui.

  51. Alessandra Sarchi Says:

    Mi sembra che ci siano nei vari interventi e nella tua proposta, Giulio, quasi tutti i punti di un’impresa culturale necessaria e utile, e alla quale sarei felice di partecipare. Mi piacerebbe solo aggiungere una riflessione sulla natura tecnica e formale del contenitore “archivio digitale”, se poi sarà questo l’approdo e la versione in cui i contenuti verranno fruiti. Avendo lavorato diversi anni a un archivio digitale di immagini di opere d’arte (Fondazione Zeri) mi sono chiari alcuni aspetti che penso possano essere importanti anche per un archivio di scrittura creativa, o di tecniche di scrittura creativa. L’archivio consente la strutturazione di moltissimo materiale, la strutturazione richiede ordine e regole, ma consente anche un ampliamento e una revisione costanti, che nessun libro permette. Un archivio digitale, diventa presto normativo, se è fruibile da un’utenza variegata che ne riconosce a vario livello la bontà dei contenuti, perché tutti attingiamo alla rete. Il modello è buono se fornisce informazioni attendibili e utili, se si confronta con una tradizione esistente, su web ma anche ovviamente cartacea, e si aggiorna di continuo. Un archivio digitale ha un costo, dunque, e penso a un costo tecnico. Contrariamente a quanto si pensa, la carta costa relativamente meno, e dura forse di più, dell’elettronica. Gli archivi digitali necessitano manutenzione o decadono, come buchi neri. Una delle cose più affascinanti in questo campo sarà, appunto, vedere quanto e come dureranno nel tempo questi depositi di sapere virtuali e viventi, nel senso: in continuo accrescimento.

  52. Federica Campi Says:

    @Filippo Argentin
    Sì, due facce della stessa medaglia – anche se la mia è un’ottica molto parziale, molto piccola, precisa, del fare pensieri e parole con i bambini, del leggere e dello scrivere con i ragazzi – non con persone che pensano tanto alla scrittura, non con ragazzi già motivati a fare della scrittura una cosa centrale, o importante, o interessante, o più interessante di altre cose. La scrittura a scuola, ecco, e lì non si smontano racconti, ai bambini delle elementari prima di tutto si legge, si legge tanto, e di tutto, dalla prima alla quinta classe, insomma, non è un lavoro di scuola di scrittura, è un lavoro di scrittura a scuola. Alle medie si arriva a lavorare più su quello che può essere, per così dire, lo stile, ma è sempre uno scandaglio delle competenze emotive (e della loro messa in relazione con il linguaggio) dei ragazzi che a quell’età si confrontano con il peso della vita – della vita sentita come peso – e dell’esistenza della morte, proprio lì, a portata di mano. Questo non significa che non esiste la letteratura, anzi, significa proprio il contrario. Con i bambini e i ragazzi si è proprio dentro questo colloquio aperto col mondo che è la letteratura – il fascino potente della lettura – e si è lì a combinare qualcosa con se stessi e con questo mondo che, adesso, parla.
    Il senso della ‘star’ data allo scrittore non era provocatorio (anche se certamente esisteranno scrittori che si sentono delle star, non lo so e non mi interessa, come certamente esiste chi tratta lo scrittore come una star e questo lo posso dire avendo visto dal vivo tanti incontri tra diversi autori di libri per ragazzi e insegnanti e genitori) ma era solo per dire che l’incontro tra lo scrittore e una classe di bambini o ragazzi è generalmente vissuto come eccezionale, unico – un bel botto, che però finisce – e l’incontro tra la scrittura e una classe è un botto che non finisce, che genera altri botti, tipo festa, tipo sagra di paese dove la gente si conosce e esce in strada e si parla, dove non c’è paura e alla sera l’aria è buona.
    Comunque, ecco, io condividerò volentieri tutto ciò che fin qui ho fatto sulla scrittura a scuola, per quel che può valere, perché credo che sia come dici tu, che una parte del problema, una parte della sua radice, sta nel modo così accidentato in cui si parla di espressione ai bambini e ai ragazzi.

  53. Filippo Albertin Says:

    Il brodo è sempre altamente sinergico. Specie in queste cose. Su questo non ci piove, ma ti chiedo: come vedresti un tendenziale organigramma della cosa? Cioè: come organizzeresti i dadi del brodo?

    Sullo scrittore come star:

    Tempo addietro scrissi alcuni appunti per delle mie minilezioni in tema di creatività. (Ovviamente non “creative writing”, ma creatività in genere, che ho trattato in numerose associazioni che adesso non sto qui a elencare.) In questi appunti esprimevo l’insegnamento della creatività come metafora geometrica, legata da un lato alla figura del cerchio, dall’altro a quella del quadrato. Il cerchio è la forma biologica e naturale per eccellenza: cellule, pianeti, atomi, etc… Il quadrato è un’astrazione umana, una “messa in forma” attraverso il pensiero matematico, una squadratura, una perfezione che passa attraverso scienza e pensiero. Nulla in natura è quadrato, eppure dalla quadratura deriva la scoperta di teoremi che in natura e in fisica sono rispettati. Il cerchio è il vagito del lattante. Il quadrato è la parola. Senza parola non capiamo ciò che qualcuno vuole dire. Senza emozione, le parole hanno però senso esiguo.

    Ecco: Il lavoro di Federica Campi mi sembra essere tendenzialmente più orientato al cerchio, e fare l’occhiolino al quadrato per capire e far capire dove arrivare. Quello del Mozzi mi pare invece più legato al quadrato, e tendere al cerchio attraverso scandagli e approssimazioni successive, in una sorta di — guarda un po’ — “quadratura del cerchio”. Una cosa è certa: entrambe le prospettive sono necessarie e fondamentali.

    Quanto allo scrittore “star”, penso che questa figura nasca dall’idea di una scrittura che mette in forma emozioni preconfezionate e ben piazzabili sul mercato. Una scrittura come mera sequenza di abilità tecniche, ammesso e non concesso che la pura abilità tecnica possa essere svincolata da qualsiasi emozione. E penso che a grandi linee in questo senso Federica Campi abbia utilizzato il termine. (Chiedo ovviamente conferma.)

    Io penso che il mondo dell’insegnamento della scrittura, per quanto alta possa essere la sua qualità in termini formali, qui da noi non potrà mai evolversi in misura determinante a prescindere da uno sviluppo del pensiero creativo in quanto tale.

  54. davide musso Says:

    L’idea è molto bella, e, credo, necessaria. Mi piacerebbe partecipare, in qualche modo.

  55. enrico Says:

    @ Marco Candida. C’è un punto nel mio insegnare la scrittura creativa in cui invece si vola. Nessuna ripetizione, nessuna noia. Quando vedo una persona che si disfa di stereotipi su “che cos’è letterario” (o poetico), o si butta a capofitto nel descrivere una parete spoglia, o in una scrittura automatica (“Scrivere Zen”, Goldberg), quando vedo che emerge una voce tutta personale, o più affilata, o più fine (“tagliare, tagliare, rimontare, riimmaginare”) ma come si fa a dire che “ci si annoia”? Non dico che non ci sia la “noia” di cui tu parli… c’è, voglio dire la fatica, l’impasse, e persino “il brutto”, il “malriuscito”, il frustrante… ma di fondo, no, è un’avventura spirituale, insegnare come apprendere… se è l’ennesima “fabbrica” (di scrittori, di scritture, di “oggetti”) ma cosa davvero, nel profondo, ce ne può interessare? Cosa nel profondo ci può toccare?

  56. enrico Says:

    scrivi Filippo “Io penso che il mondo dell’insegnamento della scrittura, per quanto alta possa essere la sua qualità in termini formali, qui da noi non potrà mai evolversi in misura determinante a prescindere da uno sviluppo del pensiero creativo in quanto tale” e perché? ti chiedo. Se tu “non ci credi” come fai a proporre a qualcuno (tipo i tq) una iniziativa sulla scrittura creativa.
    Anche: cosa vuol dire che un insegnamento sia alto “in termini formali”?

  57. Filippo Albertin Says:

    Risposta diretta: ho già risposto. Credo che entrambi i versanti — cerchio e quadrato, come ho detto nel mio commento — siano indispensabili. Se la cosa è troppo spostata sul secondo, rimane monca. Sempre di alta qualità, ma in qualche modo limitata nel bacino di potenziale fruizione.

    Penso che in TQ non sia un problema palestrarsi (ove necessario) su questo “grado zero” della creatività. Il secondo passo, secondo me, è rendersi consapevoli dell’importanza di svilupparne la diffusione. A parte questo non mi pare di aver manifestato alcuna forma di scetticismo, tanto meno verso TQ. (Forse l’ho fatto, indirettamente e inconsciamente, con una chiusura un po’ brusca nel commento. Mi perdonerete. In questi commenti le mie revisioni del testo sono sbrigative e sommarie.)

    Ah. Un insegnamento alto in termini formali è per me un insegnamento efficace nel far costruire testi nella consapevolezza della loro funzione “in relazione” alla loro forma. Le numerose domande che il Mozzi pone e si pone — nei suoi trattati, nelle videolezioni, nei post — mi fanno pensare che i suoi corsi siano, in questo senso, di alto valore.

    Hai fatto bene a chiedermi delucidazioni, però. La perifrasi che ho usato ora rende molto meglio un concetto che avevo descritto semplificando troppo i termini.

  58. Isa Says:

    Un appunto a margine del dibattito.

    E’ necessario, a mio avviso, studiare anche il modo di documentare i percorsi didattici.

    Per cominciare una riflessione, rinvio a questo articolo nel sito dell’Indire.

  59. enrico Says:

    Dovrai perdonare me, invece, Filippo perché ho riletto la tua frase sullo sviluppo della scrittura creativa “qui da noi” e nella stanchezza del momento l’avevo fraintesa. Tu dici: prima la creatività in genere e poi la scrittura creativa in specifico, se no non se ne fa niente… ho capito bene? (Ti farò magari ripetere cose che hai già detto!). Cerco poi di comprendere meglio le tue metafore sul vagito (cerchio, emozione, bios, espressione) e parola (quadrato, comunicazione, persino artificio). Questa dualità mi pare sia uno dei grandi temi della scrittura creativa IN QUANTO complessa forma d’arte… e poi – forse – quando qualcuno “trova” la sua voce, quella dualità – forse – scompare… e parola e vagito divengono – forse – lo stesso…

  60. Filippo Albertin Says:

    Leggere a schermo è difficile per tutti, caro Enrico, specie per noi che siamo abituati a leggere libri! Ergo, non hai nulla di cui essere perdonato. Quanto alla metafora, l’hai capita benissimo, e hai centrato anche l’idea di quella dualità.

    Noto che conosci Scrivere Zen della Goldberg. Quindi noterai che il mio “cerchio/quadrato” somiglia in fondo al suo “creatore/revisore” — quest’ultimo mi pare lo chiami addirittura samurai, cioè quello che mette in forma e squadra addirittura con la katana, cioè con un’azione anche violenta. Per dire: nella scrittura creativa deve esserci un momento completamente vacuo e aperto (“puntare alla giugulare”) inserito in una prassi (quella che secondo me in Italia è tremendamente carente in termini di spazi fisici e mentali), che solo in un secondo momento deve essere interrogato e messo in forma.

    Io sono assolutamente convinto che un incontro tra il mondo della “creatività pura” da un lato, e quello della “scrittura e narrazione” dall’altro, sarebbe il definitivo trampolino di lancio. E penso che iniziative come questa suggerita da Mozzi siano ottime risorse a tale scopo.

  61. Lucio Angelini Says:

    @Albertin. Qualunque racconto, messo in mano a editor o insegnanti di scrittura creativa diversi, provocherebbe ritocchi diversi. Meglio la soggettività dell’autore (tipo Leopardi che si ritocca da solo “L’infinito” senza ricorrere a Laura Lepri, visto che poi il componimento reca la sua firma) che la soggettività – chessò io? – del docente di scrittura creativa spuntato la notte prima come un fungo. Chissà perché nessuno si sogna di ritoccare il quadro di un pittore o la scultura di uno scultore…
    Ciò non toglie che sono per il libero mercato: dove c’è domanda (di insegnanti di scrittura creativa) è bene che ci sia anche un’offerta. Alla gente piace un sacco frequentare corsi di ogni genere, da quello di danza del ventre in su.

  62. Federica Campi Says:

    @Filippo Argentin
    Mi piacciono molto sto cerchio e sto quadrato, e allora: la sfasatura nasce, credo, solo, dal fatto che un conto è lavorare con persone adulte o adolescenti già profondamente motivate (e mi è capitato in terza media con una sola ragazza, l’anno scorso, una su 200: da come scriveva, e soprattutto da come leggeva a voce alta quello che aveva scritto, io l’ho sentita viva, inquieta, motivata, felice, le ho chiesto, alla fine delle mie ore, se il suo sogno fosse quello di diventare scrittrice e sì, quello era, è, il suo sogno) e un conto è lavorare con bambini e ragazzi-quasi-bambini, e lavorare a scuola. Forse, istintivamente, sono più cerchio che quadrato comunque, ma credo che io debba essere costitutivamente cerchio a scuola. Cioè se non parto da lì, se lì non arrivo, nessuno parte e nessuno arriva. Sono consapevole che parlo di qualcosa che c’è anche nella scuola di scrittura, ma sono sempre e solo sulla strada della scrittura a scuola. Scrittura, anche con bambini di prima elementare che non sanno scrivere.

    Un esempio di laboratorio. Leggo il brano di Pippi Calzelunghe, quando lei Annika e Tommy escono a giocare al cerca-cose. Pippi trova un nonnetto steso sull’erba e vuol portarselo via e chiuderlo in una gabbia da conigli, poi cade col secchio in testa. Ai bambini chiedo di giocare lo stesso gioco, di farlo lì, in classe. Qualche volta qualcuno si alza e finge di raccogliere delle cose, spesso chiudono gli occhi e cominciano a cercare. Disegnano quello che trovano, e dietro il foglio scrivono qualunque cosa venga in mente loro dell’oggetto che hanno trovato. In prima fanno solo il disegno. Una bambina ha disegnato se stessa, seduta su una sediolina, con un gattino davanti che la guarda.
    Ha poi fatto un fumetto, lei che al gattino dice “sscccccc” e ha messo anche un titolo: “Il mio amico”. Dunque, questa bambina ha trovato se stessa tranquilla, seduta, ha trovato un gattino, che è diventato suo amico, e ha trovato il desiderio di far star bene l’amico ‘stai tranquillo, sscc, non piangere, ora sei con me’.

    Non lo so se ho dato l’idea o nemmeno mezza, comunque, questo per me è un ottimo laboratorio di scrittura creativa a scuola, cioè un modo di far vedere ai bambini quello che loro stessi vedono, di farlo vedere meglio, anche grazie al linguaggio che è, il più delle volte, un linguaggio famigliare. Certamente la bambina viene consolata con un ‘ssccc’ a casa, quando piange e la mamma la abbraccia, e comunque questo suono onomatopeico è entrato nel suo vocabolario e ha preso questo senso qui, del consolare, dell’essere vicino, non del far star zitti, dell’essere lontano, e questo è un dato narrativo interessante all’interno di ciò che la bambina ha raccontato.

    Per lo scrittore star – sì, forse è come hai detto, cioè lo scrittore star che entra a scuola è quella persona cui si riconoscono determinate competenze tecniche orientate al raccontar storie. Ma non è che abbia niente contro chi pensa di essere una star (cioè, pazienza, affari loro, la vita è piena di gente strana) e nemmeno contro chi pensa che gli scrittori lo siano, delle star. Credo solo che quella competenza se rimane una eccezione, un evento, che non entra in collisione con l’esperienza dei ragazzi, dei bambini, non serve alla scrittura. In qualche caso può servire alla lettura (e spesso questo dipende dal fascino personale dello scrittore, nel senso che se ‘dal vivo’ risulta antipatico e scostante ottiene l’effetto di allontanare) ma non serve alla scrittura quando essa sia dare fiducia ai pensieri con le parole, e alle parole con i pensieri, e a scuola la scrittura è quello, una specie di propedeutica alla conoscenza di se stessi – del mondo – del linguaggio mio – del linguaggio del mondo e di tutto questo insieme.

  63. demetrio Says:

    Lucio per un Leopardi, c’è sempre un Tasso che ragiona con altre persone del suo scrivere, che alla fine ci diventa pure matto. Io credo che l’atto creativo in sé, l’illuminazione o il bernoccolo che ti fa venire in mente la storia, sia solitario, mentre durante la scrittura io sento il bisogno di parlare e di confrontarmi con le persone. Di discutere con loro di quello che sto facendo, dell’idea che mi à venuta in mente. Ovvio non con chiunque, ma con alcuni di cui mi fido, di cui sono amico e nutro porfonda stima.

    L’esempio che hai fatto tu poi su Leopardi tocca la poesia che è veramente un atto solitario, in quanto è un atto lirico; mentre ad esempio la scrittura di un romanzo, di un saggio – perché l’insegnamento della retorica (che io preferisco al termine scrittura creativa) dovrebbe essere d’aiuto anche nella redazione dei testi non narrativi – è un atto relazione.

    d.

  64. Filippo Albertin Says:

    @Lucio Angelini — Certo. Mani diverse, ritocchi diversi, diverse sfumature, etc… Credo che questo problema riguardi però più direttamente il rapporto scrittore/editoria, che è poi il rapporto scrittore/libro-come-oggetto-nel-mercato. Andiamo con ordine, una cosa alla volta. Detto questo, sono pure io convinto che l’editing migliore sia quello che, infine, è dell’autore stesso. Si tratta di capire quanto l’autore riesce a staccarsi da sé.

    @Federica Campi — Procedure interessanti. Somigliano a quelle di Nicki Jackowska, che lavora molto con gli oggetti. Non per niente lei viene dal mondo del teatro.

  65. Lucio Angelini Says:

    @Demetrio. Sì sì, anche a me piace sentire cosa pensano gli altri dei miei tentativi letterari in progress. Salvo interventi esageratamente invasivi quali quelli raccontati qui:

    http://lucioangelini.splinder.com/post/24291577

    *-°

  66. Marco Candida Says:

    Alle scuole elementari e alle medie inferiori in classe la maestra (Suor Valentina) e poi il professore di italiano ci facevano quelle che si potrebbero definire lezioni di scrittura creativa. Suor Valentina ci insegnava a scrivere privilegiando l’uso dei sensi, descrivi la foglia, vai dal panettiere, usa gli occhi, il tatto, il naso. Il professor Galli alle scuole medie ci faceva fare la descrizione oggettiva e quella soggettiva, mi ricordo in una pagina del mio quadernone Pigna la descrizione oggettiva della mela, poi ci aveva fatto fare la fiaba, ci aveva spiegato, e bene, le funzioni di Propp, e ci faceva scrivere fiabe in classe, me ne ricordo una che avevo scritto io molto lunga piena di scorpioni e serpenti giganti, che aveva lasciato Galli un po’ perplesso e annoiato e che invece mi aveva guadagnato gli entusiasmi dei compagni di classe (magari per consolarmi anche un po’; nè più nè meno quello che succede oggi in rete, mi viene da pensare, dove, spesso si vedono “colleghi” aiutarsi l’uno con l’altro, complimentarsi, esperimere stima…), mi ricordo che leggevamo Zanna Bianca di Jack London (poi l’ultimo anno L’amico ritrovato di Fred Uhlman), lo abbiamo letto tutto l’anno, e mi ricordo di aver scritto un racconto in un compito in classe che “assomigliava troppo” a Zanna Bianca, ambientato in Canada, con le nevi, i ghiacchi, le slitte… Mi ricordo che avevamo letto uno stralcio tratto da Congo di Michael Crichton – e mi aveva colpito la fantasia, acceso un desiderio. Abbiamo letto un racconto di Stefano Benni che si intitola Autogrill Horror (che assomiglia a Websitehorror, no?). Alla fine della seconda media Galli ci aveva fatto scrivere sul diario una lista di libri e autori (Tolstoj, Balzac, Goncarov, Hemingway, Turgenev, Steinbeck e più ne ha più ne metta) e io li avevo comperati, e avevo cominciato a leggere e contestualmente a scrivere. Dodici anni. Una delle estati più belle della mia vita. Quando mi chiedono “Perché scrivi?” io non so mai cosa rispondere. Però forse la risposta a questa domanda esiste. Scrivo perché nel tempo sono stato incoraggiato a farlo. Compagni di classe. Professori. Amici. Mi hanno sempre lasciato indicazioni positive, seguire quella strada, non abbandonarla. Magari anche solo in una conversazione tra amici, racconti un fatto e ti dicono “Ma sai che dovresti scriverla questa storia?”, “Ma sai che dovresti farci su un racconto?”, “Ma sai che hai un dono nel far vedere e nel far stare lì…”. Ecco perché scrivo. Galli alle medie ci aveva fatto anche lezioni sulla similitudine e sulla metafora (mi ricordo, mi aveva colpito che la differenza stava nella presenza della parola “come”; “Il sole brilla come un diamante nel cielo” è una similitudine; “Il sole è un diamante nel cielo” è una metafora), e poi la sineddoche, la metonimia, l’ossimoro, l’onomatopea e una lezione sulla misteriosa figura retorica dell’enjambement – su testi poetici di Montale.

    Tutte queste modalità d’insegnamento della letteratura sono poi scomparse negli anni del Ginnasio e al Liceo e all’Università non ci sono corsi di scrittura creativa se non in via sperimentale in qualche ateneo. Forse su questo vale la pena riflettere. S’insegna scrittura creativa (o qualcosa che in qualche modo ci assomiglia) alle elementari e non al liceo. Come mai? Forse non si considera questa materia abbastanza formativa?

    Lasciando da parte John Dewey, io la vedo così. Quello che bisogna domandarsi è se esiste una un’esigenza reale riguardo questo insegnamento. Possiamo anche pensarla come un’esigenza reale di “avere un sogno” – romanticamente, a me piacciono gli “ideali romantici”, non li abbandonerei. Sempre esigenza è. Ora sappiamo che più o meno tutti quanti hanno un romanzo nel cassetto o meditando di scrivere un romanzo o gli piacerebbe saperlo fare – non sognano di far diventare un film la propria vita, sognano di vederla in un libro, di scrivere un libro. Questo non è sufficiente già di per sè? Io credo di sì. Si potrebbe obiettare “In Italia abbiamo sessanta milioni di commissari tecnici, ma non per questo ha senso far integrare Coverciano nelle ore di lezione di educazione fisica”. Però, è davvero giusta questa obiezione? In fondo le ore di educazione fisica potrebbero essere integrate, accompagnate con l’insegnamento delle regole degli sport (il calcio, ma anche il basket, il baseball, il rugby, il football americano, lo squash…) e forse anche delle regole per far stare in campo una squadra di calcio (zona, uomo, zona mista, sistema puro…) o di basket o di pallamano. Dunque non vedo perché in programmi di Liceo più moderni non si possa accompagnare lo studio della letteratura con quello della produzione dei testi letterari attraverso le modalità d’insegnamento già presenti nelle scuole elementari e medie – naturalmente adattati alle menti e alle capacità cognitive medie di chi frequenta scuole medie superiori. E poi per chi vorrà proseguire non vedo perché non istituire corsi di scrittura creativa all’università… Non vedo proprio perché non farlo… In Gran Bretagna e in Germania si fa. Chuck Klosterman autore americano mi diceva di aver insegnato scrittura creativa in Germania. Perché in Italia non si faccia, a me rimane a tutt’oggi un mistero.

  67. Federica Campi Says:

    @Marco Candida
    Più in generale, nella scuola non c’è spazio per la creatività come espressione di se stessi, non è solo una cosa che riguarda il linguaggio verbale, riguarda anche il linguaggio non verbale. Va ancora bene alla materna, poi, più si cresce, più si chiede ai ragazzi di tacere e di ascoltare. Non si fa musica, non si fa pittura, non si fa arte plastica, non si fa danza (invece sono arti le cui tecniche possono essere insegnate con passione e semplicità senza certamente l’obiettivo di creare pittori, scultori, ballerini, etc, come chi insegna scrittura creativa sa benissimo di non farlo per sfornare nuovi formidabili autori, sa di insegnare con passione un’arte, ecco, perché possa essere applicata con altrettanta passione, e quando nascerà l’artista saranno gli altri a riconoscerlo come tale) – dicevo, queste sono discipline di contorno alla matematica, alla logica e all’italiano per quello che però rientra nella logica. Insomma, credo abbia più di qualche ragione Ken Robinson che vede necessaria una rivoluzione dell’educazione.
    Per quanto riguarda la scrittura, nei manuali e nelle antologie si trovano queste cornici davvero tristi che hanno come titolo “scrittura creativa” e dentro ecco le filastrocche, i giochi di parole, il non senso, come dire, ecco, ragazzi, fino adesso avete fatto Letteratura, ora ridiamo un po’ con questi piccoli divertimenti.
    Per questo ho trovato e trovo interessante la proposta di Mozzi, sarebbe un ricco presidio di idee in contatto con la scuola, e potrebbe essere un punto d’inizio, comunque una grande risorsa.
    @Filippo Albertin
    Mi perdoni vero l’Argentin? Il Diamantin me lo tengo per dopo. Scusa.

  68. Lucio Angelini Says:

    @Marco. ***Scrivo perché nel tempo sono stato incoraggiato a farlo. Compagni di classe. Professori. Amici. Mi hanno sempre lasciato indicazioni positive, seguire quella strada, non abbandonarla.***

    Eppure, secondo me, tu il talento non ce l’hai, per quante scuole di scritture creativa tu possa frequentare:-)

  69. Marco Candida Says:

    Un’altra risposta alla domanda “Perché scrivi?”, Angelini, potrebbe essere: per dimostrare a chi non credeva nelle mie capacità che si sbagliava.

  70. Antonio Says:

    Sto cercando di seguire la proposta di Mozzi ed i numerosi commenti e penso che forse bisognerebbe trovare una risposta chiara ad una domanda che tante volte mi sono posto anch’io, su quale sia, cioè, lo scopo di uno scritto? Non saprei, forse non sempre è possibile individuare uno scopo nella scrittura o in ciò che si scrive, forse uno ha solo voglia di dire qualcosa, senza pensare a chi leggerà quelle cose o se ci sarà mai qualcuno che si imbatterà in quello scritto.

    Può capitare, ad esempio, che uno scrive senza uno scopo preciso, per abitudine, senza un obiettivo già prefissato, perché ha voglia di raccontare qualcosa, che al momento in cui ha inizio, non è chiaro quale forma possa assumere, cosa possa diventare, come una necessità di praticare un esercizio che forse potrà dare una qualche soddisfazione e però, nel fare questo, non sempre può affermare di conoscere in profondità quello che sta scrivendo o che ha appena finito di scrivere, sfugge sempre qualcosa quando prova a rileggere, c’è qualcosa che non ricordava o che non riusciva a collegare con l’insieme del testo, anche se ha impiegato molto tempo a scriverlo, a rileggerlo, a correggerlo, come se in quell’autore fosse tutto chiaro fin dall’inizio e doveva pervenire ad un risultato prestabilito, ha investito così tanto tempo nella realizzazione di quell’opera, che adesso si aspetta che qualcuno si interessi al lavoro, a leggere il testo con amore e dedizione, non è interessato a catturare l’attenzione di un qualsiasi lettore, non è questo ciò che cerca, non considera la scrittura come un modo di esercitare una qualche caccia al lettore, che può avere voglia o no di leggere le cose che scrive, sempre che gli venga data l’opportunità di sapere che quelle cose esistono, perché qualcuno le ha scritte e qualcun altro le ha pubblicate, e se anche arriva ad entrare in contatto con i lavori di quell’autore, non è detto che dopo aver deciso di cominciare a leggerli, riesca ad arrivare alla conclusione, ha tutto il diritto di sospendere la lettura se non è soddisfatto del libro che ha tra le mani, potrebbe anche non riuscire ad entrare in sintonia con la storia raccontata o può verificarsi che avverta un certo fastidio nell’affrontare lo stile utilizzato dall’autore, o potrebbe avere dei limiti propri, non essere abbastanza preparato culturalmente, nonostante tutto, a cogliere alcuni riferimenti impliciti nel testo, la lettura del libro insomma potrebbe rappresentare più un fastidio che un piacere, anche perché a volte gli capita di essere distratto da chissà quali diversivi, proprio mentre sta leggendo, e la conclusione a cui arriva, cioè che il libro che sta tentando di leggere non è interessante, è il risultato di una serie di fattori non esattamente legati al testo in sé ma dovuto a cause esterne, e così, non volendo arrendersi del tutto, non volendo abbandonare la lettura, cerca di dare un’occhiata al libro nel suo complesso, lo gira e rigira tra le mani, va alla quarta di copertina, come per trovare un vero ed autentico motivo per leggerlo, quel libro, altri pensieri gli attraversano la mente, l’argomento può non essere del tutto interessante, affronta l’incipit che sembra, quello sì, interessante, almeno quello, ma dopo qualche pagina comincia a riscontrare una certa irritazione diffusa tra le pagine e prova a passare al capitolo successivo senza aver terminato ancora il precedente, cerca di saltare qua e là tra le pagine che anche graficamente non si rivelano accattivanti, insomma cerca di ingannare se stesso, più che l’autore del libro, forse perché non è esattamente quello il libro che voleva leggere, o che voleva gli fosse regalato, o forse non è la lettura l’attività che può contribuire a fargli trascorrere qualche ora di piacere, non è avvezzo a trascorrere un tempo lungo su un libro, chissà cosa cercava, non certo quello che l’autore ci ha riversato dentro, che è qualcosa di immenso, di incommensurabile, di sconosciuto persino allo stesso autore, figurarsi per un semplice lettore che comunque affronta la lettura con il proprio bagaglio, più o meno grande, di conoscenze e cultura, e che potrà ritrovarci qualsiasi cosa, potrà usare il testo, è una sua prerogativa ed un suo sacrosanto diritto, per gli scopi che più gli sono consoni e confacenti, il testo come un qualsiasi pretesto, non necessariamente per come l’aveva inteso l’autore, l’importante, lo ripeto, è capire cosa si vuole da un testo, decidersi su quale debba essere l’obiettivo di un elaborato, più o meno creativo, il bacino d’utenza che un autore si propone di raggiungere, dovessi e potessi scegliere, preferirei essere in grado di scrivere come, per esempio, Pizzuto, anche il primo Pizzuto, o Alvino, o anche D’Arrigo, non mi importa che si tratta di autori poco noti o commercializzabili, la mia soddisfazione come autore consiste nel raggiungimento di un certo stile di scrittura, ritengo che imparare da un corso di scrittura le regole o le nozioni su come scrivere bene e bello non sia sufficiente, o sia solo l’inizio di un percorso lunghissimo, e se il lettore non sempre riesce a capire o a farsi piacere le cose che scrivo, il problema è suo, è chiaro che parto dal principio che la scrittura non è un mezzo per mantenermi, ma solo una passione, non lo faccio per vivere, ho un altro lavoro, almeno fino ad oggi, di conseguenza la mia preoccupazione non è quella di vendere più copie possibili di un libro, non di raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile, sono interessato al testo in sé, anche se veicola significati che possono non appassionare il lettore o, in ogni caso, chi ne viene a contatto, e comunque per finire questo mio intervento ritengo che prima che pensare alle reazioni di un possibile lettore, è necessario che chi possiede gli strumenti ed i mezzi aiuti il lettore e lo consigli su come vada letto, interpretato e capito un testo e a tal proposito, forse, prima che di corsi di scrittura creativa ci sarebbe bisogno di corsi di lettura, creativa o meno, e se tra gli scopi della modesta proposta di Giulio Mozzi c’è anche questo, ben venga, che il progetto vada avanti, e anche se personalmente non so quale contributo potrei dare, comunque, per quello che può servire sono disposto a sostenerlo in qualche modo da valutarsi.

  71. Filippo Albertin Says:

    @Federica Campi — Filippo Argentin non solo te lo perdono: me lo annoto nel mio fedele moleskine da passeggio alla voce “nomi d’arte potenziali”. Fino ad ora il migliore.

    @Tutti gli Altri — State scrivendo troppo. (Da che pulpito, direte. E avete ragione.) Copio, incollo, stampo, rileggo con la dovuta attenzione, elaboro, rimugino, scrivo più avanti per cercare di riassumere.

    @Lucio Angelini — Visto che non ho elementi per giudicare l’output letterario di Marco Candida, mi piacerebbe esplicitassi le ragioni che ti inducono a pensare, e con tale sicurezza affermare in pubblico, che lui non ha talento.

  72. giuliomozzi Says:

    Desidero che la discussione resti nel tema.

  73. Filippo Albertin Says:

    Giusto: Il tema è una proposta precisa, altrettanto precisamente descritta nel post.

    Sono stati affrontati dei temi direttamente connessi all’idea di scrittura creativa, per capire in che direzione operativa andare nell’implementarla. Per esempio: che tipo di documentazioni includere in questa sorta di portale dedicato. Solo testi tecnici su scrittura e narrazione? Anche testi di altra natura? Anche testi su esperienze, esercizi e attività di creatività “in forma di scrittura”? Etc…

    Prossimo passo? Altre idee? Altri contributi?

  74. enrico Says:

    C’è penso la domanda di Marco C. sulla assenza della scrittura creativa nella secondaria superiore: quello che ha definito un “mistero”. Che si abbia semplicemente paura di sapere cosa gli adolescenti potrebbero scrivere “in libertà”? Ma io direi Marco: questo mistero sottende una potenzialità enorme: una penna per tutti gli studenti di scuola superiore italiana (non un computer!). Un foglio! E qualcuno che li stimoli a “vuotare il sacco”! Lontani, lontani dalla “storia della letteratura”… che poi!!! come si può imparare il calcio senza, almeno un po’, giocarlo. E quindi imparare la storia della letteratura senza, almeno un po’, “sperimentarla” è un controsenso, un assurdo, ha un aspetto decisamente castrante: una classe dove si è deciso di insegnare nuoto (o “storia del nuoto”) senza andare mai o quasi mai in piscina! Senza sperimentare una bracciata! Bhe, è davvero da pazzi no? Come fai a capire Dante se non cerchi anche tu di “fare un viaggio” nell’altrove, nell’aldilà? E poi di scriverne? Da pazzi no? Andiamo forza! Diciamolo! Scuotiamo gli insegnanti di lettere! Diciamo loro: ma cosa state facendo? Cosa? E poi proponiamo, Giulio. Per esempio un programma di insegnamento della letteratura per le scuole secondarie superiori dove si scrive, diavolo! Di continuo. Iacopone Da Todi? Si scrive per capirlo! Manzoni! Idem! Calvino? Ma che ci capisci se non sali sull’albero con Cosimo? E scrivi, scrivi, scrivi! Come una danza! E posso ringraziarti qui ufficialmente (!) per il tuo “Ricettario di scrittura creativa”. Sì, lì c’è qualcosa che ha potenza, novità, che può cambiare le cose…

  75. enrico Says:

    @ Federica Campo (lapsus sul nome, che lascio!)
    piccolo aneddoto: ho fatto in una classe di adulti una lezione in cui facevo scrivere Zen “senza staccare la penna dal foglio”… non sapevo che una mia allieva aveva un figlio disgrafico… e che mi avrebbe raccontato: “una sera ho provato a spegnere la televisione e proporre a mio marito e mio figlio di scrivere Zen”… Non aveva mai visto il suo piccolo scrivere a quel modo… quasi danzando, con furia, con amore, senza staccare la penna dal foglio, senza patemi sullo scrivere bene, “giusto”, corretto…

  76. Lucio Angelini Says:

    Leggo in un’intervista all’amico Emanuele Pettener sul blog di Caterina Armentano questo interessante contributo:

    “CA: I corsi di scrittura creativa sbocciano come fiori a primavera. Molti giovani esordienti li seguono con la speranza di trarne dei vantaggi ma i vantaggi esistono davvero? Si può imparare attraverso questi corsi ad essere scrittori o ci sono talenti innati che nessun corso può insegnare?

    EM: Non riesco proprio a frenare un ribrezzo manicheo ogni volta che sento l’espressione “scrittura creativa”. Specie “creativa”, devo mettermi a camminare su e giù per la stanza canticchiando That’s Amore per togliermi il saporaccio di bocca. Mi chiedo perché.
    Primo: per me, le Scuole di Scrittura Creativa – When the moon hits your eye like a big pizza pie that’s amoreeeee – sono come il Grande Fratello o La Tivù del Dolore o l’Editoria a Pagamento: lucrano su una intima debolezza dell’essere umano. Tutti vogliamo esibirci, tutti vogliamo esser famosi, tutti vogliamo esser speciali, tutti vogliamo che il nostro io risuoni vigoroso come il ruggire dell’olifante o il barrire di un elefante
    Secondo: chiunque abbia una vaghissima idea di scrittura creativa sa ciò che ho appena detto, ovvero che ci si fa le ossa con la lettura e nient’altro. Perché dovrei pagare per chiedere perle di saggezza e tristissimi esercizi di lettura a Ciccio Formaggio – quando posso leggere Shakespeare gratis?
    Mi dica piuttosto, il signor Formaggio, come si fa a pubblicare come ha fatto lui con i più grandi editori malgrado la sua prosa sia bolsa e piatta come lo stato dell’Indiana? E come fa a continuare a pubblicare con grandi editori malgrado venda 37 copie a volume (tanto che per sopravvivere deve insegnare scrittura creativa) – questi sono i suddetti misteri della fede che vorremmo ci fossero rivelati.
    In realtà, il mio pregiudizio nasce proprio dal fatto che ho in mente certi docenti, imbrattacarte senza carne né pesce che ci credono davvero, mica lo fanno per far soldi sulla pelle dei polli, e studenti che ci credono altrettanto, mica lo fanno per farsi amico – ovvero diventare discepolo – dello scrittore e aprirsi quella porta nel mondo editoriale che non possono aprirsi col talento – altrimenti non avrebbero bisogno di andare a fare un corso di scrittura ed intessere lodi al maestro.
    Ma poi, ma poi…
    Devo confessare che conosco altre persone, che insegnano scrittura, e altre che seguono questi corsi: e devo confessare che sia le prime che le seconde sono persone in gamba, e quando parlano di scrittura – avverto passione, professionalità, conoscenza, lealtà.
    Devo confessare che, a parte le lezioni di grammatica impartite alla scuola elementare dalla mia memorabile maestra, i due corsi di retorica che ho frequentato all’università americana sono stati ciò che di più prezioso ho imparato a scuola.
    Devo confessare che – Dio mio, che vergogna – questo semestre insegno un corso chiamato “Italian Writing Workshop”, Laboratorio di Scrittura Italiana (ho posto come condizione di eliminare quell’aggettivo insulso) e impongo ai miei studenti di scrivere pagine e pagine imponendo loro gli argomenti più disparati da affrontare dalle angolature più diverse, identificando ogni volta un pubblico diverso. E poi in classe analizziamo gli scritti da un punto di vista grammaticale, lessicale, retorico. E temo che non solo ci stiamo divertendo molto ma che, ahimè, stiamo imparando qualcosa.”

    @Albertin. Mi piace stuzzicare Marco, così si fa le ossa. Al momento lo giudico uno scrittore da Campionato Pulcini (anche se ha 30 anni), ma sono convinto che frequentando corsi di scrittura creativa potrebbe peggiorare ulteriormente*-°

  77. Filippo Albertin Says:

    A questo punto, siccome non so più se tutti questi commenti siano in tema, chiedo semplicemente cosa vogliamo fare:

    1) tornare alle proposte sul portale “condividere risorse su scrittura e narrazione”;
    2) parlare a ruota libera di scrittura creativa e sue tecniche, per poi convergere su proposte per il portale eccetera eccetera;
    3) parlare a ruota libera senza mai staccare la penna dal foglio.

    Mi permetto però una piccola sintesi. In sostanza qui stiamo parlando delle possibili connessioni tra determinati soggetti con un pubblico, al contrario, abbastanza indeterminato, piuttosto che “variegato”. I determinati soggetti sono ovviamente insegnanti, dal più classico al più outsider. Nel mezzo — tra le varie cose esistenti — dovrebbe/potrebbe starci questa idea.

    Ora, già a questo livello si evidenziano alcune necessità organizzative e anche, secondo me, democratiche. Esempio: Che tipo di testi sarebbero annoverabili nella grande raccolta?

  78. enrico Says:

    Dirò la mia sulle proposte possibili.
    1) io farei il portale, e inizierei a tracciare la “mappa del labirinto”, cioè a vedere insieme come strutturare lo “spazio virtuale” in “titoli”, capitalizzando il sapere che si è creato intorno alla dimensione della scrittura creativa
    2) vi chiederei di considerare la possibilità di scrivere a più mani un “manuale sullo scrivere per imparare la letteratura” o comunque di aprire con serietà il fronte della scomparizione nella secondaria superiore (soprattutto) della scrittura come forma di conoscenza, espressione, arte, e per imparare la storia della letteratura. (Mi sembra che su questo piano, seguendo gli interventi, Marco, Filippo e Federica abbiano qualcosa da dire… e Giulio va da sé, immagino anche Giuseppe C.)
    3) un tassello ulteriore: per me ha senso parlare di scrittura creativa anche perché il suo mondo per esempio non si ferma alla prosa: coinvolge i nessi tra le “scritture”: poesia, drammaturgia, sceneggiatura, scrittura per il fumetto, canzone ecc.

  79. Luigi B. Says:

    Parlo per esperienza personale:

    la parte tecnica (strano ma vero) è la più semplice in assoluto e l’ultima cosa a cui pensare.

    la parte comunicazione/marketing la più complessa e più onerosa (sia in termini di tempo, impegno e competenze che in termini economici).

    Per quanto mi riguarda, l’ordine delle cose da fare che proporrei è il seguente:

    trovare un gruppo di persone responsabili del progetto, possibilmente con background e competenze di diversa natura e possibilmente capaci di suddividersi il lavoro e le mansioni;

    trovate le persone, cominciare a raccogliere il materiale che c’è a disposizione e a cui si ha facile o immediato accesso, guardarlo tutto e cominciare a buttar giù una possibile suddivisione dell’albero delle categorie su cui basare la costruzione del sito

    si può cominciare con un sito .wordpress.com o con un hosting pubblico e gratuito, ma è molto limitante. se si riescono a racimoplare dei fondi sin dall’inizio, l’ideale sarebbe servirsi di un servizio di share hosting (una media tra i 50 e i 150 euro l’anno) per poter avere la libertà di cambiare tutto ciò che si vuole secondo le necessità e per avere spazio su cui caricare tutto il materiale senza problemi o ristrettezze.

    con il tempo, a seconda dei materiali che arrivano, il sito va cambiato, aggiustato, modificato nella sua struttura.

    per la grafica, meglio che se ne occupio un grafico ed uno bravo visto che deve essere assolutamente user friendly se si vule che la gente lo usi

    il gruppo di persone deve coprire: comunicazione/marketing/PR online; comunicazione/marketing/PR off-line (contatti con scuole, università e istituzioni varie pubbliche e private etc.; selezione/lettura/classificazione materiali; web master e inserimento materiali/gestione spazio online; varie ed eventuali che ora nemmeno se stessimo qui tutto il giorno riusciremmo a prevedere.

    Bell’idea!

  80. Filippo Albertin Says:

    Su 1) — Serve una bozza di indice. Lo vedrei a più mani pure questo. Si può tranquillamente lavorare su un Gdoc.

    Su 2) — Posto che la scrittura può essere un notevole scandaglio motivazionale per insegnare meglio la letteratura, penso che questo aspetto, più che caratterizzare l’intera cosa, dovrebbe essere trattato in un capitolo a parte, per non fuorviare.

    Su 3) — Per quel che mi riguarda, direi certamente di sì, e aggiungerei anche altri generi, sottogeneri, forme e trasversalità.

  81. Emanuela Cocco Says:

    Ho seguito i vari commenti. Dico la mia alla svelta anche perché sto lavorando. L’insegnamento della scrittura creativa o tecniche della narrazione o come diavolo vogliamo chiamarla, è essenziale all’interno della scuola e ancora di più nei progetti contro la dispersione scolastica. Lavoro come educatrice da oltre 10 anni in progetti con minori che provengono da famiglie problematiche (alcolismo, violenza domestica), oppure che sono stati tolti alle famiglie di origine e affidati ai servizi sociali e da loro segnalati per entrare nella mia classe in cui devo prepararli come privatisti per provare ad avere comunque la possibilità di fare l’esame e prendere la licenza media. Alcuni di questi ragazzi vengono letteralmente cacciati da scuola perché gli stessi insegnanti( e non li giudico per questo, viste le condizioni in cui lavorano) non ne possono più. Altri già dalle elementari smettono si frequentare con regolarità. Ora detto in breve: il fatto che nessuno di loro sappia scrivere vuol dire in un certo senso che non sanno pensare e non dico niente di nuovo. Ho visto che il laboratorio di scrittura è un mezzo valido contro la dispersione scolastica. Più volte sono riuscita a tenerli in classe e a portarli all’esame inserendo dopo le lezioni un laboratorio in cui i ragazzi scrivevano un romanzo, dopo aver scelto personaggi, ambientazione, intreccio etc. Quindi certo, gli insegnanti dovrebbero rivedere, anche insieme a chi pratica la scrittura come mestiere, le loro lezioni, per avvicinare i ragazzi e insegnargli un modo per pensarsi e per concepire le relazioni in modo diverso. Mi scuso se non sono abbastanza chiara, ma corro un po’. Ancora due cose: il termine scrittura creativa non piace nemmeno a me, ma se io in un laboratorio faccio sia teatro che sceneggiatura per fumetto, cinema , televisione e poi leggo un racconto, poi un romanzo e se mi va delle poesie, come dovrei riunire tutte queste cose? Non credo che il nome sia così importante, ma la sostanza. Una volta ho partecipato a un corso di scrittura a Roma dove il docente diceva: il protagonista deve essere buono altrimenti poi si rischia grosso con il lettore(!!!) Bene, io credo che alla fine sia la sostanza che conta, per questo mi piace l’idea di pubblicare le lezioni e di confrontarsi e condividere idee, esercizi e modalità di insegnamento. Oltre al curriculum uno presenta le sue lezioni e si presenta per mezzo del suo lavoro, il resto non conta. Penso anche che sia giusto aprire anche a diversi tipi di insegnamento: drammaturgia, sceneggiatura cinematografica e televisiva e per il fumetto oltre che narrativa. La narrazione seriale televisiva sta sviluppando delle strutture sempre più complesse e interessanti ai fini di qualsiasi tipo di narrazione, non si può più liquidare come spazzatura o scrittura di infima qualità, a meno che non la si conosca affatto. Che altro? Comunque interessante dibattito di fine estate. Mi piace. Corro al lavoro.

  82. Filippo Albertin Says:

    Per aggiungere un piccolo tassello, secondo me importante, dico che il vero nocciolo della questione — ivi compresa questa scomoda parola “creatività”, che evidentemente infastidisce solo qui da noi — è l’educazione all’autorialità.

    In un esercizio di matematica, noi siamo chiamati (giustamente) a svolgere delle operazioni mentali in modo giusto, cioè in un modo che sia sostanzialmente uguale per tutti nell’osservanza di regole oggettive, fondamentali, universali.

    In un esercizio creativo, invece, noi siamo chiamati a “ideare” qualcosa che non esiste, e che ha un valore solo a posteriori. Può essere tanto un romanzo quanto una macchina per togliere le lische a un salmone. In entrambi i casi siamo “autori” di qualcosa, con la differenza che nel primo caso “il bello” entra con più prepotenza.

    Io ritengo che, nel sistema educativo italiano, in generale, ora più, ora meno, sia carente il senso dell’autorialità. E questa cosa deriva dalla sostanziale sfiducia verso l’allievo, che è un peso, un problema, un potenziale rompiballe da gestire. Certo, nei nostri tempi è probabile che, scavando nella mente di un comune adolescente, saltino fuori delle perfette banalità omologate, magari urtanti e insopportabili; ma io sono convinto che tantissima di questa omologazione derivi esattamente dall’originaria sfiducia che ha lasciato questi giovani virgulti in preda delle multinazionali della comunicazione.

    Servono due cose: ascolto e stimoli. Nel nostro mondo (e penso anche nella nostra scuola, salvo tutte le eccezioni del caso, ovviamente) mancano entrambi i versanti. Un meccanismo globale in grado di ricostruirli sarebbe una grande rivoluzione.

  83. laura Says:

    quattro ore di italiano a settimana al liceo scientifico. con la letteratura, l’analisi del testo, le tipologie testuali dell’esame di maturità.
    dimenticavo: classi da trenta.

  84. Calice Giuseppe Says:

    giulio, qualcuno che realizza portali mi ha contattato perchè interessato a questa cosa qui….

  85. Giulio Mozzi Says:

    Ringrazio tutti per i contributi e le disponibilità; e fermo la discussione qui.
    Ora ci penso un momento; poi mi faccio una tabella di marcia e provo a mettere in moto la cosa.
    Grazie ancor.

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