[All’interno della discussione piuttosto scombinata, e a tratti piuttosto pesante, seguita a questo articoletto qui nel blog Sul romanzo (e ripreso anche in vibrisse) è apparsa anche quella che a me pare in effetti una vera e propria recensione del romanzo di Veronica Tomassini Sangue di cane. gm].
Finito. Un libro complesso. Come tutti i libri complessi, tende a sfuggire, a non sembrare quello che è. A pagina 36 non si può averlo già capito, neanche a pagina 178. Dopo, e cioè verso la fine, le cose cominciano ad avere un senso. Siracusa c’entra poco, c’è poco, non mi sembra essenziale. Ci sarà o ci sarà stata una comunità di polacchi alcolizzati? Può darsi, ma non è poi così importante. Abbiamo, dunque, questa protagonista e voce narrante, senza nome, una ragazza ventisettenne madre di un bambino di quattro anni (se ho fatto bene i conti). E’ il giorno di Natale e lei, italiana, rievoca la sua storia d’amore con Slawek, giovane polacco sbandato e criminale, incontrato a un semaforo. E’, in sostanza, una storia d’amore. Scusate se scrivo in modo molto semplice, ma il romanzo non è scritto in modo semplice e io tendo a compensare. Veronica Tomassini scrive bene, racconta bene, è colta, di certo molto intelligente, ma non ama semplificare. Questo le alienerà parecchi lettori. Non concede quasi nulla alla leggibilità. E’ una scelta legittima, e lei avrà avuto le sue ragioni per farla. Ci sono frasi, qua e là, davvero faticose. Per esempio questa (pag. 84): “Il nostro amore non può esulare la saga polacca. Il nostro amore, il mio amore, fende la stessa anima nazionale della tua gente, non ti pare? Dentro ci state tutti, non saprei separare il suo svolgimento emotivo e strettamente personale da un’iperbole diatonica, per taluni versi, che è una condivisione a largo spettro, tra me e voi, tra noi e voi, tra est e ovest”. Non che non abbia un senso, ma è scritta proprio come un libro stampato.
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