Un progetto politico

by

di giuliomozzi

[…] Questo non è un Paese per giovani – è vero – e tantomeno è un Paese per intellettuali. Ma forse il modo migliore per reagire a questa emarginazione non è continuare a denunciarla come uno scandalo – il fatto è sotto gli occhi di tutti, e a scandalizzarsi siamo sempre gli stessi – quanto piuttosto cercare di uscire dall’angolo. […]

Dell’appello Tq si è parlato molto, all’interno della repubblica delle lettere, in queste settimane (c’è anche un articolo in vibrisse, di Demetrio Paolin, con in coda qualche link utile: qui).
Ci ho pensato su anch’io.
Me ne parlano amici e conoscenti, e mi dicono delle cose. Ad esempio mi dicono: può considerarsi “emarginato” chi riesce a lanciare un appello dalle colonne del supplemento domenicale del Sole 24 ore? Io so che sì: perché, dalla posizione in cui sono, riesco a distinguere l’apparire dal potere. Su quel supplemento potrei scriverci anch’io: mi è stato proposto. Mi fa piacere che la direzione abbia intrapreso uno svecchiamento del parco-collaboratori. Mi sembra una scelta di marketing sensata, intelligente e positiva.
Se mi domando di quale e di quanto potere dispongo, mi rispondo: nessuno. Definisco il potere così: dare un ordine con la certezza che sarà eseguito. Io non ho nessuno che esegua i miei ordini, né mi verrebbe in mente di dare ordini a qualcuno.
Non ne faccio una questione di principio. Qui sto ragionando su di me, su ciò che io sono e su ciò che posso fare.

C’è una cosa che faccio da anni. Non pretendo di farla particolarmente bene. Ma la faccio, credo che sia la mia vocazione, e credo che sia una cosa sensata e utile all’Italia.
Il mio mestiere è quello che è: leggo, cerco di riconoscere le opere belle, cerco di farle pubblicare; traffico con insegnanti e scolaresche, cerchiamo di capire come si possono trasmettere la competenza nella lingua italiana e il gusto per la bellezza letteraria; ragiono con giovani o non più giovani persone, cercando di portare dei testi, o delle semplici idee di testi, a un certo grado di bellezza.
Io non mi occupo della bellezza. Io mi occupo di persone. C’è al mondo un certo numero di persone alle quali io, senza rendermene ben conto lì per lì, ho cambiata la vita. In un modo diverso, e probabilmente meno importante, di come ti cambia la vita il medico che azzecca una diagnosi o il funzionario di banca che si arrischia a concederti un mutuo. Ma comunque l’ho cambiata. Ogni volta che alzo il telefono e dico: “Senti, ho letto, mi interessa”, so che può succedere qualcosa di importante per quella persona. Se mi sbaglio – se cioè mi interesso a un’opera che in realtà non è bella – faccio danni. Se non mi sbaglio, faccio qualcosa di buono: anche se poi a pubblicare quell’opera non ci si arriverà, o ci si arriverà facendo un sacco di fatica – o magari, come qualche volta è successo, grazie all’aiuto del caso.
Ci sono persone che si rivolgono a me, continuamente, tutti i giorni. Dare a ciascuna quell’attenzione che la dignità umana giustamente pretende, è difficile. Mi trovo spesso, ormai, a rifiutare il contatto personale: prima vediamo l’opera, dico, e se poi l’opera mi interessa, bene; se non mi interessa, in realtà non abbiamo niente da dirci.
Uso di proposito queste parole: mi interessa / non mi interessa. E’ una scelta di prudenza: con queste parole sottolineo la soggettività del mio lavoro (e quindi la possibilità di errore), ed evito di pronunciare la parola decisiva: bellezza.

Il mio progetto politico è questo: prendermi cura di persone, di persone che fanno certe cose, in un certo ben preciso ambito. Non mi sento “messo nell’angolo”. Mi sento pieno di responsabilità. Il mio unico bene è una certa autorevolezza. Mi impegno nell’esercizio del dubbio e dell’esitazione.
Tutto ciò che faccio, che organizzo (odio organizzare), che dico, che opero, deve essere all’insegna del prendersi cura di queste persone che incontro e che talvolta mi sembra possiedano in nuce la capacità di scrivere opere belle, talvolta mi sembrano molto più bravi di me ma di me più incerti, meno sicuri, spesso semplicemente più giovani – in un Paese che, d’accordo, è meno per giovani, oggi, rispetto a quand’ero giovane io.

Quand’ero giovane io, qualcuno si prese cura di me. Mi vengono dei nomi da fare, e non li faccio: perché non è importante qui la mia storia. E’ importante questo: che ciò che ho avuto in dono, posso a mia volta donarlo senza perderlo.

Ieri sono stato parecchie ore con una persona che sta scrivendo un romanzo. Scrive esitando molto; scrive lentamente; coltiva molti dubbi; studia; ha la serietà di chi non dirà mai: “Quello che ho fatto è bello”, ma s’impegna con pazienza e allo spasimo perché ciò che fa sia bello. Questa persona mi ha chiesto di prendermi cura di lei, e io lo farò.
Oggi mi sono dedicato a un’altra persona. Domani ce ne saranno altre due. E così via. Devo coltivare l’arte di essere completamente presente in ciascuno di questi incontri.

Ho fatto un patto col mio corpo. Gli ho chiesto di essere sincero con me. Mi prendo cura di una persona se il mio corpo dice sì. Se, quando si tratta di partire all’alba per raggiungere quella persona, si sveglia lieto e agile. Quando leggo, non penso. Faccio molta fatica a trasformare in parole i miei giudizi. I miei giudizi sono: sì, ho voglia di battermi per questo testo; no, non ho voglia di battermi per questo testo.

Ogni volta che ho voglia di battermi, sono fuori dall’angolo.

(Questi pensieri derivano, in parte, da qualche scambio di battute con Gabriele Dadati: che ovviamente non ha nessuna responsabilità di ciò che ho scritto).

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28 Risposte to “Un progetto politico”

  1. Marco Crestani Says:

    Ma prendersi cura della bellezza di un testo è la stessa cosa che prendersi cura di una persona?

  2. anna albano Says:

    caro mozzi,

    questa è la coda di una cosa che avevo scritto sulla tquaggine giorni fa, di cui oggi ho trovato conferma qui da te:

    “e allora plaudo all’opera didattica di giulio mozzi, il quale, oltre a scrivere, lavora con i ragazzi dell’iprase di trento, ad esempio nell’ambito del progetto scuola d’autore: esprimendo concetti e richieste precise, con una piana ammirevole chiarezza (a proposito di chiarezza, consiglio la visione del corso di scrittura allestito da questo scrittore su youtube). mi pare che si debba ricavare, da questo, che mozzi è in grado di valutare i tempi della sua personale opera di modificazione dell'”ecosistema”: lenti e ragionati, con molta probabilità duraturi. è evidente ai più che l’unico modo per formare possibili lettori è formarli. possibilmente a una certa distanza dal proprio ombelico.”

  3. pessima Says:

    Direi di sì. Forse, attraverso il primo, anche di più persone. Come dire: a che serve la letteratura?

  4. veronica tomassini Says:

    con me lo hai fatto. parlo per me. io sono fuori dall’angolo, mi sono aggrappata alla tua mano tesa.

  5. unarosaverde Says:

    Definisci il potere come dare ordini sapendo che verranno eseguiti. Dimentichi un lato enorme del potere, quello che viene dal carisma. E’ un’arma capace di smuovere folle, sia dal palcoscenico dei giornali, sia dalle azioni quotidiane, come quelle che tu descrivi essere il tuo modo di contribuire alla causa. Secondo me, ormai, sei fuori dall’angolo, a prescindere dalla tua voglia di batterti.

  6. Angela Says:

    C’è una coinonia che è anche comunione dei pensieri. Pensieri verbali o scritti, c’è sempre qualcuno che ti porge un pezzo di sé e ‘chi sa prendersi cura’ gli fa spazio consapevole di quanto sia prezioso e fragile ciò che accoglie

  7. bruno laganà Says:

    Nel senso che sei fuori dall’angolo già prima della battaglia? O la capacità di batterti – e possibilmente vincere – ti vengono durante, cioè nel momento in cui stai facendo qualcosa, e lì inventi e speri di poterti tirare fuori dall’angolo se ti accorgi in tempo che stai subendo una sconfitta, e poi ti rendi conto di essere stato solo e che avresti fatto meglio a combattere con qualcuno a fianco? E capisco che tutti avrebbero bisogno di un braccio al quale aggrapparsi, a volte ancorarsi. Ma dici bene: ho voglia di battermi, posso, non ho voglia di battermi, non posso. Siamo semplicemente esseri umani.

  8. Giulio Mozzi Says:

    Rosa verde: la tua osservazione non è pertinente. Ha potere chi può dare un ordine con la certezza che sarà eseguito, a prescindere da che cosa produca questa certezza (la corruzione, il carisma, la violenza ecc.).

    Marco Crestani: non è la stessa cosa. Ma se una persona investe molto di sé nel tentativo di produrre un’opera, prendersi cura dell’opera è – mediatamente – prendersi cura della persona. Giusto?

    Veronica: e adesso devi staccarti, perché sei piena di forza. Forza tua, che da te stessa ti sei data, e che è inesauribile.

  9. veronica tomassini Says:

    sì Giulio, va bene. volevo testimoniare quel che ha significato la tua presenza: quando nessuno proprio nessuno mi avrebbe dato retta. tu avevi visto qualcosa di buono. ti sei alzato all’alba, hai preso l’aereo per Catania e quell’aereo non ha fatto un buon atterraggio e tu hai dovuto fare pure un brutto atterraggio, per una che forse magari potenzialmente.
    grazie

  10. demetrio Says:

    io credo che uno dei temi che tu hai toccato il prendersi cura, sia l’eco sottaciuta dei diversi interventi in Tq, prendersi cura del linguaggio, dell’altro etc etc… alla parola potere che, come sai, non amo, io sostituirei la parola responsabilità. alcuni di noi sono responsabili delle cose che scrivono, delle relazioni che mettono in piedi, dei sì o dei no che pronunciano. proprio in questa direzione si muoveva anche il mio pezzetto.

  11. marialaura Says:

    Sei uno bravo, non ti conoscevo proprio, nè come scrittore, nè come altro. Adesso che ci penso non so se hai risposto con l’uscire fuori dall’angolo alla domanda del come si ha potere. Alla fine l’impressione è che il punto non sia il potere ma l’essere ed il fare in un certo modo: il patto con il corpo e la serietà di quello che fai. Una persona che stimo molto una volta mi ha detto che le cose non cambieranno finchè non ci si organizzaerà davvero sui bisogni delle persone: per lui sono prendersi cura di un bambino che perde un genitore per farlo crescere bene, fare qualcosa per le mamme che stanno in ospedale con i figli ricoverati senza lasciarle sole. Tu fai le tue cose e scegli il corpo e non di impartire ordini. Dare spazio ai giovani perchè riproducano metodi soliti è solo una questione di quote e di pari opportunità. Dare spazio ai giovani perchè facciano cose nuove, significa dare spazio alle loro cose nuove. Tu non sei giovane ma evidentemente ti relazioni con loro. E li aiuti a venire fuori. O forse sei comunque giovane e ti organizzi attorno ad un bisogno reciproco: il tuo e quello della persona che incontri. va bene, no? le relazioni sono il centro delle cose.

  12. Giulio Mozzi Says:

    Non sono più giovane, da una trentina d’anni circa. Sono nato nel 1960. E: sì, il punto è un altro. Almeno per me: per le mie possibilità, per le mie capacità.

  13. paolab Says:

    credo giulio che la tua sia una definizione riduttiva del concetto di “potere”, forse la tua è piuttosto la definizione di “potere assoluto”. avere potere è avere la forza di incidere (o di non incidere) *in qualche misura* su una situazione, un evento, cose, persone ecc. a seconda del quanto si riesce a incidere, c’è chi ha più e chi ha meno potere. anche nel campo della cultura e della produzione del pensiero. non entro nel merito di “quanto” potere poi tu abbia o non abbia dentro o fuori dall’angolo… =) l’altra cosa che mi fa riflettere di questo tuo intervento è quello del “prendersi cura” delle persone. che mi piace molto ma anche mi perplime. cioè, nel momento in cui io leggo dei testi (nel mio piccolo) ed entro in relazione con chi li scrive pensando a una pubblicazione, io in realtà desidero prendermi cura del lettore, di chi alla fine leggerà il libro che l’autore ha scritto e io ho curato. mi preme che ne abbia del bene il lettore. io mi sfondo di lavoro per questo. se devo essere cruda (e spero di non essere fraintesa perché molti autori con cui ho lavorato sia per sironi sia per alphatest mi sono cari) il bene del lettore è il fine, là dove il bene dell’autore è un mezzo.

  14. cinzia sposato Says:

    Ho letto l’appello degli “scrittori tq”; alcuni li seguo da tempo, perciò mi ero già fatta un’idea delle loro posizioni. Mi pare che il nocciolo della questione sia circoscrivere il ruolo dell’intellettuale nella società odierna, dominata da un livello di corruzione morale e materiale forse mai sfiorate. Come possa incidere l’intellettuale su tale dissesto è un’annosa questione, sulla quale è opportuno continuare a dibattere. Personalmente ritengo che lo scrittore sia prima di tutto un artista, qualcuno che costruisce una narrazione sull’onda di uno smottamento viscerale, un’idea che ronza nel cervello, indistinta, plasmata lentamente, fino a prendere la compiutezza di una storia. Certi personaggi si affacciano al tuo immaginario e finiscono col tirarti per la giacchetta, come diceva Calvino, non puoi sottrartti all’imperio di indagarne la vita e la mente. Muovere a tutti i costi da un’impostazione ideologica finirebbe col condizionare fortemente questo processo creativo, a beneficio di un’arte cerebrale, compiacente, costruita a tavolino, predisposta ad una deriva militante e ahimè, nel peggiore dei casi, asservita. La scrittura rappresenta per me uno spazio di libertà, che diviene a volte costrizione nel lavorio incessante della limatura, nella ricerca artigianale dell’espressione esatta ed efficace, altri paletti non potrei tollerarne. Se facessi politica attivamente, avrei il cervello affollato di paletti; allora sì che mi sentirei davvero all’angolo. Ritengo che la letteratura necessiti di libertà intellettuale, di autodeterminazione e di dissenso, preclusa a chi diventa un anello di un ingranaggio assemblato dalla ricerca del consenso e del potere. Forse sbaglierò, ma credo che arte e militanza, seppur accomunate dalla finalità di cambiare lo stato delle cose, difficilmente riescano ad andare a braccetto senza il rischio di “indebolirsi” a vicenda. Al contrario di Giulio Mozzi, di cui apprezzo infinitamente “il progetto politico”, penso che la visibilità sulla carta stampata e i media in generale, possa essere, nella misura in cui crea aggregazione intorno ad un progetto e quindi consenso, un potenziale generatore di potere se dirottato in una certa maniera. (Pensiamo a Saviano, all’immenso potere mediatico acquisito, un giorno o l’altro potrebbe decidere di spenderlo…). Il punto è l’uso che si fa del” potere”; la difficoltà di conciliarlo con il concetto di onestà intellettuale. Staremo a vedere…

  15. Giulio Mozzi Says:

    Sì, Paola: ho adottata in questo articolo una definizione piuttosto riduttiva del concetto di “potere”. Appunto per questo l’ho esplicitata. Mi sembra che sia, peraltro, la definizione di fatto che corre spesso all’interno delle discussioni su questi argomenti. Dovrei citare e analizzare un po’ di queste discussioni, per provare ciò che dico. Non ho oggi il fiato e la voglia di farlo. Propongo ciò che dico come ipotesi. Altra versione della stessa definizione: “Il potere è poter fare ciò che si vuole per il solo fatto che lo si vuole” (che suona assai simile a una definizione liberista di libertà).

    E spero che, prendendomi cura di alcune persone (non del loro bene, ma delle persone), farò qualcosa di buono. (Ossia “inciderò”: ma nel verbo “incisione” c’è una certa violenza, che vorrei qui evitare).

    Cinzia: se “lo scrittore è prima di tutto un artista, qualcuno che costruisce una narrazione sull’onda di uno smottamento viscerale”, io non sono uno scrittore.

  16. cinzia sposato Says:

    Non voleva essere una definizione assoluta, parlavo di quello che accade a me; ciascuno ha un proprio punto di partenza, una scintilla che infiamma il cervello o il cuore… l’importante è sentirsi liberi di seguire la propria voce ed averne il coraggio; tutto qui.

  17. vbinaghi Says:

    Ci sono due cose diverse che emergono, non dal testo di Giulio ma dai commenti.
    Conosco Giulio da un po’ e so che non c’è una parola nel suo post che non corrisponda a ciò che lui davvero cerca di fare.
    La questione del potere è diversa. C’è un potere di selezione dei testi e un potere di pubblicazione, e non sono la stessa cosa. Ecco perchè Giulio dice che non ha potere. C’è un potere di controllo sul proprio linguaggio e un potere di ottenere consenso col proprio messaggio, e non sono la stessa cosa. Il primo spetta all’intellettuale in quanto tale, il secondo, direttamente o indirettamente, viene dal contesto politico. Ecco perchè, come ho già scritto sul post precedente di Demetrio, cose come TQ sono altamente ambigue: parlano di responsabilità intellettuale. ma in realtà chiedono spazio politico e, quanto a questo, chi ne chiede a gran voice solitamente ne ha già e ne pretende di più.

  18. cletus Says:

    per brevità (non è lunghezza da commenti e scusandomi per l’auto spot) estendo qualcosa qui.

  19. GiusCo Says:

    Questi TQ io li capisco: sono i 10-20, assieme ad altri 100-200 hopefuls, che “ce la stanno facendo” rispetto alle decine di migliaia col loro stesso curriculum, le stesse motivazioni e gli stessi talenti. Mozzi descrive nella sua asciutta risposta un’altra forma per fare, vivere e rendere conosciuto lo stesso lavoro, una forma che preferisco perche’ assai piu’ sobria e indirizzata al prodotto.

    Se cercano il senso del mestiere (e anche un po’ il senso della letteratura che si appoggia ad una tradizione umanamente ricca), le testate nazionali che stanno dando fiato ai TQ che “ce la stanno facendo” hanno dunque puntato sui cavalli sbagliati.

  20. unarosaverde Says:

    Ho equivocato. Quando ho letto quello che hai scritto ho pensato ti riferissi solo al potere che viene conferito da terzi o a quello che ci si arroga con la forza, senza considerare il potere “positivo”, quello che si può guadagnare con l’impegno e la competenza, e che deriva solo dalle doti personali. Mi scuso : non era mia intenzione essere fuori luogo.

  21. enpi Says:

    ecco, io non capisco. ho guardato qualche video, fatto da chi era lì, letto qualche articolo e commento. e ho letto questo post. qui, tu, Giulio, dici: all’obiezione che qualcuno mi ha fatto, ovvero “può considerarsi ‘emarginato’ chi riesce a lanciare un appello dalle colonne del supplemento domenicale del Sole 24 ore? Io so che sì”. poi spieghi qual è la tua modalità di intervento sulla realtà editoriale. questo non risolve la questione Tq, però.
    Giorgio Vasta [la trascrizione è mia], nella videointervista che è citata su Vibrisse dice: “abbiamo voluto mettere insieme delle persone che condividono due denominatori comuni, l’agire nel campo letterario e il denominatore anagrafico [Tq: trenta-quarant’anni], cercando di capire quale può essere la qualità di cittadinanza che questo gruppo può immaginare e praticare”.
    ora: mi pare che un termine ricorrente durante il seminario [almeno dai video che ho visto, dagli articoli ecc.] sia “azione”. “agire” e “azione” sono tra i termini più carichi di significato, e, allo stesso tempo, più generici e depotenziati della nostra lingua. condurre, muovere, portare, persino sollevare, sono alcuni sinonimi di diretta derivazione dall’etimo di agire.
    la domanda, quella decisiva, dovrebbe essere – a questo punto – quale azione?
    e, più precisamente – visto che, immagino, ognuno dei convenuti già agisca individualmente – quale “azione condivisa/collettiva“?
    insomma: chi e quando mi pare siano evidenti [*trenta-quarantenni*, *ora*], mentre “cosa”, e “come” non mi sembrano altrettanto chiari.
    immagino e spero lo siano presto.
    questo se l’azione vorrà essere concreta. altrimenti: va bene così.
    ciao,
    e-

  22. Giulio Mozzi Says:

    Il prendersi cura può essere un’azione condivisa e collettiva, credo.

  23. enrico Says:

    mi pare che ci sia un “ambito” in cui un intellettuale, uno scrittore, un artista abbia il suo “potere” (la sua possibilità di incidere, sì), e possa essere quello di formare le persone all’esercizio della espressione, della riflessione, e persino dell’incanto del lavoro intellettuale (leggere, scrivere). Mi piace pensare a ciò che ho avuto dalla letteratura: una educazione sentimentale. Poi ci sono altri “poteri”: dare supporto a chi ha talento, ascoltare, sapere ascoltare, donare una visione della bellezza, discriminare le maschere dal volto, aiutare a “sfilare” le maschere (stereotipi, idee caduche o “ricevute”). Promuovere un autore, la sua opera. Capisco che solo in senso lato si possa parlare di potere. Eppure, il riflesso di modificazione sociale di queste attività (ne sono convinto) è tuttavia profondo, e – penso – possa rendere la vita (sociale) migliore, più compiuta, più bella.

  24. enpi Says:

    sì, Giulio, il prendersi cura può esserlo. ma sarà questa l’azione di Tq?

  25. Gabriele Dadati Says:

    Ciao Giulio,
    sono d’accordo con le cose che scrivi, e che ci siamo detti un paio di settimane fa a voce.
    Provo a dare una definizione di potere, che tira solo fuori dei perché di quella che dai tu: rappresentare qualcosa e grazie al fatto di rappresentarlo, poter fare forza con una qualche azione. Si può rappresentare i soldi (se se ne hanno molti, si può aprire bocca e trovare chi ci ascolterà), si può rappresentare un insieme di persone (se si viene eletti, e per questo motivo la propria parola trova una forza superiore rispetto a quella di quando si è privati cittadini), si può rappresentare anche solo la propria storia personale di successo (se si è noti come attori, cantanti, sportivi ecc. e, per esempio, si arriva in un ristoranre stracolmo, ma si chiede un tavolo e questo magicamente appare libero) e così via. Con questi e altri pregressi, si può “dare un ordine con la certezza che sarà eseguito”.
    Non era però questo quello che volevo dire. Ma: io ho l’impressione che ogni forma di apprendimento e di approfondimento avvenga solo attraverso la ripetizione (quando si sta studiando qualcosa prima si legge, poi si rilegge sottolineando, poi si riguarda ancora, poi si ripete ad alta voce ecc.) e per questo motivo mi pare proprio che non si possa fare su vasta scala. Mi pare ad esempio strutturalmente impossibile che si possa entrare in un libro con un mezzo – la televisione – nemico della ripetizione; mentre mi pare che si possa entrare in un libro con un gruppo di lettura di dieci persone, la sera, una volta a settimana, trovandosi in biblioteca e parlandone approdonditamente, tornando indietro, rispondendo alle domande, facendosene venire ecc. per settimane e settimane. Il che è faticoso e non appariscente. – E quindi sì, sono d’accordo con te, occorre prendersi cura di piccole situazioni, ma implacabilmente. Proprio perché si cambia la vita degli altri dedicandosi a loro.
    (Ma allora, la televisione? Per quel che mi riguarda, il massimo a cui aspirare è quel che fa Fabio Fazio: una discussione civile. A cosa serve? A segnalare un libro – che però non si approfondirà lì. Lì si potrà gettare un semino. Cosa devono fare i TQ? Evitare di andare in video, ma entrare nelle redazioni per fare in modo che per ogni Dan Brown che si invita ci sia almeno un Andrea Zanzotto. Ma capire Zanzotto, be’, quello non avviene con la televisione, ma stando accanto ai singoli lettori le ore, parlandone, prendendolo per le corna tanto e tanto e tanto).
    G.

  26. F. Says:

    Ho un talento negativo per le discussioni del tipo “discorso sullo stato dell’Unione”. Posso però portare la mia piccola testimonianza a proposito di quanto dicevano Marco Crestani, Giulio e Demetrio sul “prendersi cura”. Non ho mai pubblicato nulla con una casa editrice; ma sto lavorando da quasi cinque anni a un romanzo. Senza “assicurazioni” di nessun tipo. Se qualcuno dovesse aiutarmi in maniera decisiva a partorire la “creaturina”, beh, questa persona mi avrebbe sicuramente aiutato a stare meglio fisicamente. E non certo per romanticherie del tipo “io sono la mia arte”. Per una questione più concreta: ne va della mia sanità mentale. Ho i nervi a pezzi. Quindi, sono pronto a dire, e senza esitazioni: “Chi si prende cura della mia opera, si sta PRIMA ANCORA prendendo cura di me”. E non m’interessa se le sue ragioni siano di tipo egoistiche (magari per “feticismo estetico”; portare qualcosa di bello alla luce; chissenefrega se Madre Teresa operava in un certo modo per stare bene con se stessa, no?). Ovviamente questa è solo la mia opinione, non potendo vantare esperienza di vita nel corpo di nessun altro. Se una persona del genere ha potere? Non lo so. Forse non ha il Potere; ma ha di sicuro è un po’ più “potente” di me, che sbatto le braccia per non affogare.
    Francesco

  27. F. Says:

    Scrivo troppo di fretta, come al solito. Perdonate gli errori.

  28. federica sgaggio Says:

    Credo, come Valter, che il nodo stia in una questione politica, di influenza politica.
    Puoi essere all’angolo scrivendo sul Sole 24Ore solo se quel che intendi per «potere» non ha niente a che vedere con la politica.
    Se il problema che ci si pone è incidere sulla realtà – e non prendendoti cura di una persona o di una storia scritta (per quanto collettiva possa essere quest’azione) – allora quel problema è politico.

    Non vorrei, ma dissento in radice con l’affermazione di Gabriele secondo cui non solo il massimo che ci si possa aspettare è una discussione civile sul modello di Fazio (non sono sicura che si tratti di discussione, in realtà…), ma occorrerebbe addirittura che i «tq» entrassero «nelle redazioni per fare in modo che per ogni Dan Brown che si invita ci sia almeno un Andrea Zanzotto».

    Se si ritiene di incidere sulla realtà (chiedo scusa per la ripetizione del verbo violento) senza capire né farsi carico di quello che succede all’interno dei giornali, il massimo che si ottiene è la legittimazione di quel che accade nei giornali: annientamento del pluralismo, scansione di parole d’ordine, banalizzazione della realtà, creazione di un mondo inesistente e parallelo, sfruttamento del lavoro intellettuale, mortificazione dei lavoratori.
    Se i tq entrano nei giornali, quel che possono sperare di ottenere è solo visibilità.
    E alle condizioni fissate dai giornali.

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