di Edoardo Gino
[Questo articolo è apparso nell’ultimo numero della rivista Atelier].
Veronica Tomassini esordisce in narrativa con una prova di forza: niente di meno è questo suo Sangue di cane. Lo è per scrittura, suggestioni, padronanza, profondità e soprattutto per coraggio. Attenzione: «prova di forza» non è un giudizio di merito; piuttosto, si tratta della constatazione che niente, davvero niente nel libro è un cliché, ogni virgola è sofferta, ogni parola è pesata, ogni frase apre un mondo di possibilità. La vicenda editoriale stessa è emblematica: il libro è respinto da una sfilza di editori, con un profluvio di «ci vorrebbe più plot», «è pretenzioso», «ha una lingua impossibile»; e, accidenti, è tutto vero. La pubblicazione arriva dalla neonata Laurana solo grazie all’intercessione di Marco Travaglio, il quale legge il libro direttamente dalle mani dell’autrice e se ne innamora perdutamente, dopodiché, da chi pubblica un libro al mese, qualche aggancio bisogna pur aspettarselo. Così questo oggetto complesso, imperfetto, magmatico diventa la pubblicazione inaugurale di Laurana Editore, sezione narrativa.
Eppure, ad un primo sguardo, si faticherebbe addirittura a definirlo un romanzo: non c’è intreccio, solo schizzi di eventi cronologicamente incoerenti. È il diario lirico, l’autoanalisi di una giovane siracusana, studentessa universitaria basso-borghese, che incontra un uomo, un polacco. L’incontro sconvolge alla radice l’esistenza placida e ripetitiva di lei e la trascina nell’abisso di una storia d’amore impossibile, tragica, assurda, a tratti grottesca. Il polacco è un mendico alcolizzato, un tronco d’uomo mangiato dal tarlo della vodka. È lei a cadere per prima, quando raccoglie Slawek (così si chiama) dal semaforo dove elemosina «poco spicci» per pagarsi il paio di litri di alcool con cui trascinarsi al giorno successivo. Nonostante i denti guasti e le altre ferite del bere, Slawek è ancora bello, orgoglioso, quasi regale nell’alta statura, negli occhi nordici, nell’atteggiamento fiero. Il sentimento abbatterà ogni ostacolo: «Cosa cambia? Ho saputo l’indicibile di te, eri un criminale, va bene, hai fatto ogni mostruosità, ma che cambia? Eri, appunto. […] Il sistema amore non ha sistema. Chiaro?» (p. 185).
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Tag: Atelier, Veronica Tomassini
3 Maggio 2011 alle 18:54
giulio, tu più o meno sai quante copie ha vendute?
3 Maggio 2011 alle 20:58
che bella recensione.
5 Maggio 2011 alle 10:04
No, pare che Giulio non sa più o meno quante copie ha vendute.
5 Maggio 2011 alle 15:21
In effetti non lo so. Non mi interessa molto saperlo, per questo non ho cercata questa informazione.
6 Maggio 2011 alle 17:52
ok, grazie.
8 Maggio 2011 alle 22:09
Ho chiesto all’editore. Un migliaio di copie, più o meno.
9 Maggio 2011 alle 00:16
bueno, gracias hombre. ma ti è venuta curiosità o estrema gentilezza o proprio è più forte di te?
9 Maggio 2011 alle 08:49
Non mi piace lasciare inevasa la richiesta di un’informazione. Quindi, avendo incontrato l’editore tra sabato e domenica, ho domandato.
9 Maggio 2011 alle 09:37
insomma, papaerinoramone, non sono una da best seller … è come se mi avessi chiesto l’età, non si chiede l’età a una signora
:-))
9 Maggio 2011 alle 14:00
glom! (vergogna massima vergogna sul mio capo chino)
gulp! (me tapino, becco impertinente)
12 Maggio 2011 alle 16:30
Anche oggi: mi telefona un giornalista, mi domanda quanto ha venduto questo e quanto ha venduto quello. Romanzi pubblicati da Einaudi, Rizzoli, Fazi. Ma che ne so io?