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Questo il commento dell’Ansa alla notizia del ritrovamento del corpo della povera ragazza. L’articolo originale (qui sopra l’ho fotografato anziché trascritto, perché spesso i testi Ansa vengono via via aggiornati e modificati) è qui. (gm)
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Tag: Ansa
This entry was posted on 7 ottobre 2010 at 07:29 and is filed under Retoriche. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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7 ottobre 2010 alle 07:39
scrivo di getto queste righe subito appresa, stamattina al risveglio, dell’epilogo tragico della vicenda.
Intanto l’audience, lo si voglia o no, è un elemento costitutivo della televisione. Ancora: vedere quella foto della famiglia intorno al tavolo (che immagino abbia ospitato altre, migliori, occasioni) è un’icona del modo innaturale col quale un fatto privato diventa “di tutti”. L’occhio della telecamera a violare e rendere pubblica a milioni di spettatori una dimensione domestica, privata. Questo solo per attenersi all’aspetto formale. C’è poi, di ritorno o di contorno, la pruderie. Qualcuno la chiama umana condivisione, desiderio di compartecipare al dolore altrui. Anche qui, conosciamo la favoletta con la quale ci ammanniscono i guru televisi…”noi ci limitiamo a restituire la realtà” (sic !) Invece credo contribuiscano, o abbiano finito col sostituire del tutto, il valore terrorizzante (e implicitamente educativo) delle favole di un tempo.
Signori, la paura è servita. E al solito, o come spesso accade, a cucinarla è un insospettato parente stretto. Talmente stretto che l’ha strangolata.
Povera Sara, sei anche tu mia figlia.
7 ottobre 2010 alle 08:27
a fronte di casi drammaticamente eclatanti come questo che sono la classica punta dell’iceberg vorrei rivolgere un pensiero a tutto il sommerso di molestie e abusi più o meno gravi e reiterati che rimangono occultati e sepolti nel silenzio colpevole delle molte moltissime famiglie che sanno e tacciono
7 ottobre 2010 alle 08:28
Cletus, la fiabe di un tempo pare siano nate quando caddero in disuso le prove iniziatiche tramite le quali si diventava adulti, quando si passò dall’economia della caccia a quella della raccolta del cibo. Nacquero quindi proprio come educative alla vita, secondo Calvino erano (sono): “il catalogo dei destini che possono darsi alle persone”. Oggi, temo che il passaggio all’età adulta sia uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo economico del mondo occidentale. Passaggio che viene contrastato con ogni mezzo. Non ultimo, il vivere emozioni vicariamente, anche in questi modi brutali.
7 ottobre 2010 alle 10:36
Ieri sera ero, ahimè, davanti alla televisione proprio durante il collegamento tv con la madre di Sarah. E’ stato ributtante, complimenti alla conduttrice. Ho resistito qualche minuto e poi ho spento.
7 ottobre 2010 alle 10:49
me l’ha comunicato un amico ieri sera, dicendo che tutta la “situazione” mediatica era sin troppo simile a Vermicino; la pietas sembra non aver più posto.
7 ottobre 2010 alle 11:41
Vermicino, appunto. È proprio in quell’occasione che è cominciato tutto, è proprio in quella circostanza che qualcuno fiutò l’affare: il dolore privato offerto in pasto al pubblico, tutti incollati al video, magari mentre si cena o chissà cos’altro, in centinaia di migliaia, in milioni, tutti quanti là a guardare come si consuma una tragedia.
7 ottobre 2010 alle 12:14
ho smesso da tempo di seguire in tv le trasmissioni del dolore, anzi, forse neppure ho cominciato. Neppure all’epoca di Vermicino ho resisitito alla lunga massacrante (dal punto di vista emotivo) diretta. Non tolleravo lo scempio del dolore, ed ero giovanissima…
Non ho mai sopportato le interviste ai familiari delle vittime e il classico “cosa prova in questo momento?”. Lo trovo vergognoso. Anche perchè non è solo dovere di cronaca, qui si va oltre. Si cerca la lacrima, la partecipazione, qualsiasi cosa possa fare spettacolo e crescere gli ascolti.
Questa è la tv, baby, d’accordo. Ma io non sono obbligata a seguirla e mi limito ai fatti, sempre ammesso che la cronaca riesca a essere anche verità.
La conoscenza è un diritto/dovere, ma lo scempio dei sentimenti non ha alcuna giustificazione, se non quella della morbosità E’ il pubblico che la richiede, certo, ma solo perchè gliene si offre la possibilità.
Un po’ di rispetto, per morti e vivi, e una sana educazione alla civiltà della morale, non guasterebbero.
7 ottobre 2010 alle 15:29
Sembra che niente abbia più alcun peso. Persone, cose, fatti, vicende ci galleggiano davanti agli occhi per un po’ come se fossero dei palloncini. Palloncini che ad un certo punto scoppiano facendoci girare di scatto, ma è troppo tardi… Non c’è più niente.
7 ottobre 2010 alle 15:36
Il dogma della Televisione afferma che tutto deve andare in onda, senza discriminazioni di valore, perché tanto tutto cade negli stomaci famelici degli spettatori. La pubblicizzazione dell’intimo deve radere al suolo ogni forma di rispetto del dolore altrui, che non è mai il fine da proteggere ma sempre il mezzo da spremere e cucinare per aumentare il numero dei contatti. Aldo Busi non può andare in televisione a dire quello che pensa, la faccia della madre cui viene data la notizia della morte della figlia sì. I film non possono mostrare le scene d’amore tra omosessuali, ma possiamo vedere tutti i giorni le descrizioni dettagliate di delitti efferati e bestiali. Sui canali nazionali non si può pronunciare la parola “clitoride”, si può pronunciare la parola “sterminio”. Non l’arte, non la filosofia, non la teologia, non la letteratura, ma libero accesso televisivo si può concedere alla merda ed ai suoi derivati: sangue, sterminio, violenza, arroganza, potere.
Il male deve andare in onda, non la verità e le sue vie tortuose e ardue. Mandarlo in onda e dirlo male, esprimerlo con rozzezza e banalità, questo è il primo prolungamento del delitto; usando stereotipi e superficiali generalizzazioni, dichiarandoci fratelli e sorelle e madri e padri affettuosi del defunto o della defunta, sempre chiamata per nome come se la conoscessimo da una vita, rintanandoci nelle mostrificazioni e nei richiami alla follia, inneggiando alla pena di morte e scatenando goduriose descrizioni delle vendette sull’infame non-umano.
7 ottobre 2010 alle 15:47
Io non ho più la televisione da un anno e mi sento meglio. Quando voglio informarmi, cerco le notizie in Rete, dove circola molta più informazione che in televisione, selezionando quelle che m’interessano, senza dovermi sorbire la massa informe e indigesta dell’orrore quotidiano, spesso strumentale e manipolatorio. Forse se in milioni la spegnessero, sarebbero costretti a programmare trasmissioni più civili. Ne guadagneremmo in umanità.
7 ottobre 2010 alle 19:12
Nel suo commento pubblicato il 7 ottobre alle 12:14, Ramona scrive: «Non ho mai sopportato le interviste ai familiari delle vittime e il classico “cosa prova in questo momento?”».
C’è un motivo di tecnica giornalistica che supporta l’impressione negativa di Ramona: sapere cosa provano le persone presenti sulla scena non aggiunge informazioni, di solito. Se gli spettatori televisivi fossero presenti essi stessi sulla stessa scena nello stesso momento, probabilmente descriverebbero quello che provano con le stesse parole o molto simili – sono cose che si sanno già, quindi, ripeterle porta via soltanto tempo al servizio e non permette di dire altro.
È un po’ la stessa melassa che fa lanciare le previsioni del tempo 2 volte nel corso dello stesso tg, lasciando l’impressione che se mi parlano di ciò che posso vedere semplicemente spostando gli occhi verso la finestra… be’, non stanno facendo il loro lavoro di giornalisti, cioè informarmi di cose che succedono nel mondo e che non posso sapere. Magari stanno facendo altro, tipo ascoltando e accettando condizionamenti politici, commerciali, ideologici – ma non stanno facendo il loro mestiere.
7 ottobre 2010 alle 22:05
vi risulta tanto difficile fare a meno della televisione? Non perdete l’occasione che avete davanti, se evitate di acquistare il decoder, fra poco il vostro televisore diventerà un bell’oggetto di modernariato, perdendo la sua funzione invasiva.
Se proprio pensavate di cambiare apparecchio, compratervi invece un bel nuovo monitor per il PC che vi aiuti a non affaticare la vista.
Con altri pochi euro vi consiglio il DVD di Bruno Bozzetto “Super Vip e Mini Vip: mio fratello superuomo”. Non ricordo se era del ’65 o del ’66, potrei sbagliarmi, ma il senso del discorso non cambia. Sono passati più di quarant’anni ed è ora ti tirare le somme.
Non perdete quest’occasione e disintossicatevi ricordando che la televisione in Italia (e credo in buona parte del mondo ) fa più vittime dell’alcool, del tabacco, dell’eroina, del terrorismo, degli incidenti stradali e delle suocere messi insieme.
Per chiudere cito parafrasando uno spot degli anni sessanta “chi guarda la TV rovina anche te: digli di smettere”.
8 ottobre 2010 alle 09:55
Ho l’impressione che nessuno dei commentatori abbia davvero visto la trasmissione. Federica Sciarelli è stata invece correttissima, come sempre. C’era l’avvocato della signora che avrebbe potuto ben dire STOP con la diretta, se la madre era là basita dall’orrore. E non l’ha detto. E anzi ha continuato a intervenire e a puntualizzare (d’altro canto per 42 giorni, e per chissà quanti altri lo farà ancora, la signora non si è assolutamente negata alle tv, ha mostrato il suo volto scavato, ha detto, spiegato, ribadito: è insomma diventata, nel Dramma In Tempo Reale -genere, si sa, che non sfugge alle regole drammaturgiche proprie di qualsiasi fiction- il Personaggio Protagonista). La conduttrice era imbarazzata. Da un lato capiva che 20 milioni di italiani erano incollati al televisore, dall’altro voleva staccare la spina, e l’ha ripetuto 5-6 volte, in forma di domanda a Concetta, la madre: “Vuole che chiudiamo?” -che era una domanda in realtà rivolta a se stessa: “Che faccio, chiudo o no?”. Ma a cosa serve demonizzare la TV, diceva quel Grande? E’ un mezzo. Potentissimo. Che va solo compreso. Che lo si voglia o meno, questa vicenda è diventata un dramma collettivo, vissuto giorno dopo giorno da milioni di persone. Immedesimazione totale, perché tutti hanno figli e perché tutti impazzirebbero di dolore se succedesse una roba del genere. Quale senso aveva non mostrare l’atto finale?
A me ha chiamato il giornale e ha detto: “Vestiti e va’ a vedere, 20 righe di spalla in corsivo”. Non son riuscito a battere il pezzo perché, pure se conoscevo una scorciatoia, m’hanno fermato dall’altro lato del luogo del ritrovamento e ho perso un sacco di tempo. Ma mi fossi intrufolato sul luogo, l’avrei scritto eccome l’articolo! Cosa cambia fra lo scrivere e il raccontare mostrando?
8 ottobre 2010 alle 11:24
@Livio Romano:tu scrivi: Da un lato capiva che 20 milioni di italiani erano incollati al televisore, e poi ancora : era una domanda in realtà rivolta a se stessa: “Che faccio, chiudo o no?”
Allora mi chiedo: una giornalista come Federica Sciarelli, una giornalista di esperienza, cha ha sempre lavorato a RAI tre, non può assumersi la responsabilità di interrompere una trasmissione che è umanamente indecente? Cosa andavano a cercare le telecamere nella faccia, negli occhi della madre di Sarah? perchè le domande su cosa stava pensando o facendo la cugina? a me è sembrata davvero, quella trasmissione, quel pezzo di trasmissione che ho visto, l’ennesima dimostrazione che non si può fare a meno dell’audience, che davanti a quella tutto il resto non conta, che la tv non può essere spenta, che anche davanti al dolore degli altri la spettacolo la vince sempre. Tutto questo io lo trovo barbarico e non giustificabile.
8 ottobre 2010 alle 12:39
Continuo a pensare che far vedere in diretta la madre che apprende la notizia (che -lo sanno tutti- già sapeva DA ORE) invece che staccare la camera, dare la notizia, e lasciare che la madre la apprenda dalla TV stessa: non sia stato, non in questo caso, una grande barbarie. Nemmeno un momento di alta televisione, sia chiaro. Ma l’avvocato cosa stava a fare lì? Se Concetta era in trance (ma dubito), lui perché non è intervenuto? Soprattutto: cambia qualcosa tutto ciò rispetto all’orrore, rispetto al veleno che quella donna ha ora nell’anima? Al contrario, ho l’impressione che aver condiviso QUEL momento con milioni di persone sia stato perfino di un qualche conforto.
8 ottobre 2010 alle 13:06
Ieri sera, a tarda ora, almeno tre reti televisive mandavano in onda i cosiddetti approfondimenti sulla vicenda di Sarah, e altre due mandavano servizi nei tg. Ho acceso la tv circa a mezzanotte per smaltire la tensione di una giornata lavorativa piuttosto pesante, e ho fatto solo una carrellata, per renermi conto e tutto sommato avere conferma della mia impressione personale. Ho spento quasi subito, non mi servivano altre tensioni.
Cosa c’è da approfondire nelle lacrime dei parenti e degli amici? Cosa c’è da scavare nel dramma di una famiglia che vede un congiunto trasformato in bruto? Cosa c’è da frugare nelle pieghe dei se e ma e chissà, da parte di persone che non sono dentro la vicenda, non hanno parlato col bruto nè hanno conosciuto la ragazzina, ma sono pronti a pontificare senza costrutto? Senza contare che in precedenza avevano costruito altri ponti sulla sabbia, solo per parlare, parlare, parlare a vuoto…
Io non entro nel merito della disponibilità dei familiari, da una parte e dall’altra, a mostrarsi, non giudico la loro scelta, e da un lato posso anche capirla: se un giornalista me lo chiede, io ne approfitto per dire la mia. E’ servito per smuovere la vicenda, tutto sommato, tanti altri bambini e adolescenti sono scomparsi senza lasciare traccia, nel silenzio. Ma ci deve essere un limite a questo frugare.
Sappiamo tutti che c’è dolore e rabbia. Ripeterlo all’infinito è inutile. E non è affatto bello che dei ragazzini, magari i primi a deridere la loro compagna come si fa fra ragazzi, per delle sciocchezze, oggi, incitati ed esaltati perchè si parla di loro in tv, vadano a urlare il desiderio di morte per il colpevole sotto le finestre dei suoi parenti. E sono nati in proposito anche gruppi su facebook, che la polizia postale sta chiudendo.
I mezzi di comunicazione televisiva hanno, ancora adesso, un potere enorme di manipolare, esaltare, condizionare. Spesso in male.
Un servizio utile invece la tv potrebbe farlo se, per esempio, invece che scendere nei dettagli, facesse azione di prevenzione. Se usasse questa brutta storia per spiegare alle ragazzine, e ai bambini, come diffidare da certi atteggiamenti anche di persone conosciute, incitarli a confidarsi con una persona sicura, se occorre ad andare di persona alla polizia.
Sarebbe una televisione utile quella che ricorda ai genitori distratti di non sottovalutare i comportamenti anomali dei figli, di ascoltarli e di incitarli al dialogo.
Queste cose andrebbero dette, non lasciate sottintese. Quello che arriva al momento alla massa è tutt’altro.
8 ottobre 2010 alle 15:15
Non so, Livio, se la madre già sapesse o se al contrario apprendesse la realtà in quel momento.
Mi auguro che ricorra il primo caso, come dici tu.
Però trovo strano che a decidere su un programma della Rai – se proseguirlo o interromperlo – debba essere un’«ospite», indipendentemente dalle valutazioni morali.
Quanto all’«ammazza la Sciarelli» (che pure, nell’occasione, non mi è parsa una campionessa di solidità), mi pare eccessivo.
Il mercimonio della morte – come possibilità, rischio, realtà – è meccanismo che sta alla base di una grande quantità non solo di programmi televisivi, ma di meccanismi comunicativi amati anche dai palati più fini.
8 ottobre 2010 alle 18:53
vorrei dire una cosa: queste persone, queste famiglie, aprono le porte alla televisione. Rendono pubbliche le loro vicende private, piangono davanti alle telecamere, si confessano con i giornalisti sui dettagli intimi delle loro vite. Io non lo farei, o almeno penso non lo farei.
Questo per dire che forse il meccanismo televisivo non e’ l’unico fattore dell’oscenita’. Ci sono anche le persone, per cui questa esibizione del privato in pubblico e’ un fatto naturale. C’e’ la televisione a violare, ma ci sono anche le persone pronte a farsi violare con naturalezza. Insomma, intendo dire che forse rimarcare solo la ‘malignita” della mezzo televisivo non aiuta a comprendere fino in fondo quanto accade in simili situazioni.
E mi viene da pensare che forse queste persone partecipino del mondo della televisione – e non percepiscano questa violazione di un limite.
8 ottobre 2010 alle 21:18
Sono perfettamente d’accordo con Livio Romano. Anche perché la trasmissione l’ho guardata fino alla fine (nonostante anch’io fossi a tratti infastidita e imbarazzata – per una forma di moralismo ipocrita aggiungo). Con una precisazione: la Mamma forse sapeva ma certo restava lì perché quello era il luogo più vicino a un canale di informazione “istituzionale” che avesse a disposizione, per non cadere nel delirio dei media d’assalto che già la assediavano. Il vero spettacolo indecoroso e contrario alla pietas è quello che è seguito all’accertamento della – nuda, cruda, brutale – verità. Quello che segue dalla conferma della confessione dello Zio. Adesso sì che quella famiglia meriterebbe un dignitoso silenzio. Altro che appalusi alla bara in diretta tv.
9 ottobre 2010 alle 04:16
assolutamente d’accordo con quello che dice Cesare. bisognerebbe fare come bartleby quando i mass media violano quel confine: opporre l’argine straniante ed invalicabile dell ‘ “I would prefer not to”. Per dire: mi sembra ( ma potrei sbagliare: l’unica mia fonte di informazione televisiva è Blob) che il fratello della povera ragazza sia andato ad una trasmissione televisiva il giorno dopo il ritrovamento del cadavere. Povero bartleby, povera umanità.
10 ottobre 2010 alle 11:54
@linnioaccorroni: mi associo a te e a cesare. vedo indubbiamente, in questa vicenda della morte in diretta su raitre, così come in innumerevoli altri casi di cronaca più o meno paragonabili, una sorta di concorso di colpa. la televisione (che pure è utile avere) si può spegnere e il giornalista all’uscio di casa si può congedare. fare ciò, tuttavia, è senz’altro più agevole se si è letto bartleby.