di giuliomozzi
Ho pubblicato cinque libri con Einaudi e due con Mondadori; con quest’ultima ho un contratto per un terzo libro. Ho un contratto di consulenza con Einaudi Stile libero. L’attuale discussione sull’opportunità di pubblicare con / lavorare per Mondadori o società da essa controllate, quindi, mi riguarda.
L’argomento a favore del distacco da Mondadori è questo: l’attuale governo ha fatto una leggina ad hoc per Mondadori; grazie ad essa Mondadori ha evitato di pagare 350 milioni di euro che doveva al fisco, e se l’è cavata (o se la caverà: non ho capito se il pagamento sia già avvenuto) cavandosi di tasca solo una frazione minima della somma.
Mondadori? No grazie!
L’argomento è illustrato con le parole che seguono (neretti loro) dagli organizzatori della campagna Mondadori? No grazie!, rivolta agli autori e ai lettori; i primi sono invitati a staccarsi da Mondadori, i secondi a non comperarne i prodotti.
Questa è una campagna per denunciare e fare pressione tramite il non-acquisto la Mondadori, la casa editrice della famiglia Berlusconi per la quale il Parlamento ha emanato una norma che le consente di “evadere” per legge il fisco.
La presidente della Arnoldo Mondadori Editore è Marina Berlusconi, figlia del capo della maggioranza al governo.
Grazie ad un provvedimento parlamentare approvato dalla maggioranza guidata da Silvio Berlusconi, la Mondadori risparmierà quasi 350 milioni di euro non versandoli nelle casse dell’erario. Sono soldi che la casa editrice doveva allo Stato da molti anni e per la quale si aspettava una sentenza della Corte di Cassazione. Grazie al provvedimento, la Mondadori pagherà il 5% della somma dovuta ed estinguerà il contenzioso.
E così ciascun italiano (bambini compresi) si ritrova a pagare una tassa di ben 7 euro per coprire le tasse non versate dalla Arnoldo Mondadori Editore.
L’evasione fiscale danneggia tutti quanti, sono soldi che ci vengono sottratti direttamente. Sono mancati servizi, tagli alla cultura, alla scuola, alla sanità.
Noi cittadini italiani non possiamo tacere, accettando supinamente che il capo del Governo approfitti della sua situazione per approvare provvedimenti “ad-aziendam” che permettono alle sue società di famiglia di non pagare tasse dovute. Tutto questo a scapito dei bilanci dello Stato e quindi di tutti noi. (Qui).
La campagna ha anche una pagina in Facebook. Non sono riuscito a trovare, né nel sito né nella pagina in Facebook, i nomi degli organizzatori (ma forse si tratta di inettitudine mia). (Aggiunto dopo: sì, è inettitudine mia. La campagna è stata ideata da Gianfranco Mascia).
Tutto cominciò da Repubblica
Questa mobilitazione nasce, mi sembra, da un articolo di Massimo Giannini, vicedirettore di La Repubblica, apparso nel quotidiano il 19 agosto scorso. L’articolo comincia così:
Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate – di cui il premier Berlusconi è “mero proprietario” e la figlia Marina è presidente – doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel ’91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d’imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.
Un “condono riservato”. Meglio ancora, una legge “ad aziendam”. Che si somma alle 36 leggi “ad personam” volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l’11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una “questione morale” al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul “così fan tutti” e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall’inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l’enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l’uso personale del potere esecutivo e l’abuso politico sul potere legislativo.
Faccio notare che in questi primi due capoversi dell’articolo di Giannini viene affermato un fatto preciso: Mondadori doveva dei soldi al fisco, e ha evitato di pagare quanto doveva. Tale fatto è accolto pari pari nell’appello di Mondadori? No grazie!, sopra riportato.
Come si afferma un fatto che non esiste
Il problema è che questo fatto, come La Repubblica spiega subito dopo, non è vero. L’articolo di Giannini prosegue così:
La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell’orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell’impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all’epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L’azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel ’94, con il primo governo Berlusconi). Nell’autunno del 2008 l’Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall’azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.
Noto alcune cose. Nella terza frase di questo capoverso, Giannini non dice che Mondadori abbia fatto quelle operazioni allo scopo di “nascondere plusvalenze e pagare meno tasse”, ma dice che quelle operazioni erano all’epoca “molto in voga”, allo scopo di “nascondere plusvalenze e pagare meno tasse”.
Faccio un esempio. Io abito a Padova. Un amico mi telefona da Salerno e mi domanda: “Piove, dalle tue parti?”. Io gli rispondo: “Sai, la pianura Padana è celebre per i suoi temporali d’agosto”. Che cosa fa allora l’amico? Mi dice: “Sì, vabbè, ma in questo momento piove o no?”.
Anche nella frase successiva è interessante ciò che non è detto: “Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare”. “Il Fisco se ne accorge”: si accorge di che cosa? L’unico oggetto al quale si possa riferire il pronome relativo ne è: le “operazioni”, la “fusione intergruppo”. Ma il lettore è sufficientemente suggestionato, a questo punto, da capire ciò che non è letteralmente scritto: che cioè il Fisco “si accorge” di un’evasione fiscale.
La quinta e sesta frase sono decisive: “L’azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado”. Il fatto che viene qui affermato è chiarissimo: per due volte, in primo e in secondo grado, la Commissione tributaria ha stabilito che Mondadori ha ragione e che il Fisco ha torto. Ovvero, che non c’è nessuna evasione fiscale e che Mondadori non deve un soldo al Fisco.
Giannini però fa una mossa astuta. Ci ricorda subito che l’avvocato di Mondadori era allora (1991) Giulio Tremonti; ci ricorda che Giulio Tremonti diventerà successivamente (1994) ministro delle Finanze, nel primo governo Berlusconi. Abbiamo dunque il possibile scandalo di un ministro, di professione avvocato tributarista, che, da ministro, sostiene un provvedimento di legge che potrebbe far comodo a un suo vecchio cliente. Ma Giannini non insiste su Giulio Tremonti (lo ricorderà al volo più avanti notando come, nel 1994, “Tremonti, da ‘difensore’ del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato ‘accusatore’ del gruppo, in veste di ministro dell’Economia”).
Il capoverso si conclude con il racconto di un fatto indiscutibile (“Nell’autunno del 2008 l’Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione”) e con il racconto di un fatto discutibile: “Nel frattempo la somma dovuta dall’azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto”. Domanda: secondo chi sono dovuti, questi 350 milioni? Secondo il Fisco, evidentemente. Ma non secondo la Commissione tributaria. Giannini, quindi, difronte a due sentenze della Commissione tributaria, entrambe favorevoli a Mondadori, dà per scontato che Mondadori ha torto.
Ora: un buon giornalista, a questo punto, ci spiegherebbe per quali ragioni, difronte a due sentenze della Commissione tributaria che dicono una certa cosa, egli ritiene che sia vero l’esatto contrario. Il vicedirettore di Repubblica non si sofferma neanche un istante su questo. Mondadori è colpevole di evasione fiscale, a prescindere dai giudizi ad essa favorevoli della magistratura tributaria.
Se il vicedirettore di Repubblica si permette una cosa del genere, sarà – immagino – perché pensa di potersela permettere. Ossia – immagino – perché è convinto che il suo pubblico assimilerà senza particolari problemi il concetto: Mondadori, azienda di Berlusconi, ha evaso il fisco.
Il contagio imperfetto
E infatti è questo che, mi pare, è avvenuto. L’appello di Mondadori? No grazie!, sopra riportato, lo incorpora senza la minima esitazione:
Grazie ad un provvedimento parlamentare approvato dalla maggioranza guidata da Silvio Berlusconi, la Mondadori risparmierà quasi 350 milioni di euro non versandoli nelle casse dell’erario. Sono soldi che la casa editrice doveva allo Stato da molti anni e per la quale si aspettava una sentenza della Corte di Cassazione. Grazie al provvedimento, la Mondadori pagherà il 5% della somma dovuta ed estinguerà il contenzioso.
E così ciascun italiano (bambini compresi) si ritrova a pagare una tassa di ben 7 euro per coprire le tasse non versate dalla Arnoldo Mondadori Editore.
Se vi fate un giro in rete, vi accorgerete che questo fatto è dato per scontato da molte persone. Non da tutte. Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems (Gruppo editoriale Mauri Spagno, l’ex “gruppo Longanesi”), ha dichiarato ad Affaritaliani:
Quanto alla legge ad aziendam non ho letto le carte, non sono un avvocato e non sono un fiscalista. Ho letto quel che dicono i giornali e devo dire che se han vinto due volte e se alla fine han compensato perdite e guadagni appartenenti alla stessa proprietà accorciando la catena di controllo usando strumenti di legge, nella sostanza non ci vedo chissà quale malefatta.
Ricordo che Gems è un concorrente di Mondadori; che Stefano Mauri fu promotore, insieme con i Laterza, di un appello contro la cosiddetta “legge bavaglio” lanciato durante l’ultimo Salone del libro di Torino (testo), che mise non poco in imbarazzo gli autori e i lavoratori del gruppo Mondadori (alcuni autori Einaudi pubblicrono a loro volta, qualche settimana dopo, un altro appello); che Gems detiene il 49% di Chiarelettere (vedi), che a sua volta è tra gli azionisti del quotidiano Il fatto: Lorenzo Fazio, direttore editoriale di Chiarelettere, è nel consiglio d’amministrazione di Editoriale Il Fatto spa. Ricordo questo per far notare che Stefano Mauri non è esattamente un filoberlusconiano.
L’altro punto della faccenda
Torniamo all’articolo di Giannini, che qui compie una svolta. Fatto passare il concetto che Mondadori aveva un problema, il viceditorettore di Repubblica scrive un capoverso per introdurre il secondo argomento.
Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla “tempesta perfetta” dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l’economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull’intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo “nel” mercato, e non “dal” mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un “metodo” collaudato, ormai, che anche sul fronte dell’economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il “salto di qualità”: chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un “metodo” che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l’ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l’obiettivo.
Dal punto di vista informativo, questo capoverso è nullo. Ma serve: serve a introdurre il concetto che, poiché Silvio Berlusconi agisce sempre in un certo modo, anche questa volta ha agito in quel modo. Dal punto di vista logico, sarebbe più corretto fare l’inverso: mostrare che Silvio Berlusconi ha agito in un certo modo questa volta, ricordare che altre volte (anzi: tutte le altre volte) ha agito nello stesso modo, e quindi affermare per induzione che Silvio Berlusconi agisce sempre allo stesso modo. Per carità: la principale differenza tra il discorso logico e quello retorico sta, in genere, proprio nell’ordine delle cose. Qui mi interessa far notare la funzione suggestiva del capoverso.
Dopodiché, si comincia con le cose serie. Ancora Giannini:
Siamo all’inverno 2008. […] E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo “pacchetto giustizia” nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta “definizione agevolata delle liti tributarie”. Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l’eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all’erario il 5% del dovuto. È un piccolo “colpo di spugna”, senz’altro. Ma è l’ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il “condono riservato” che serve alla Mondadori.
Le parole “in realtà” sono la chiave argomentativa del capoverso. Esse dicono che: benché i “governi di centrodestra” siano “da sempre paladini” dei “colpi di spugna”, quella norma lì “in realtà” è stata fatta solo perché serviva alla Mondadori.
Anche le parole “colpo di spugna” sono importanti: perché fanno intendere che la norma serva a cancellare, come con un colpo di spugna sulla lavagna, dei debiti di aziende verso il fisco. “In realtà”, come direbbe Giannini, le norme di quel tipo servono ad altro: servono a fare cassa, tirando fuori soldi da cause che lo Stato ritiene ormai perse, o troppo onerose da sostenere. Se un’azienda è stata per due volte assolta, è abbastanza improbabile che sia condannata in terzo grado (*); e allo Stato conviene, alla fin fine, chiudere tutto spillando un po’ di soldi piuttosto che rischiare di perdere anche in terzo grado. Analogamente, alle aziende può convenire chiudere tutto pagando una cifra modesta piuttosto che affrontare ulteriori spese legali e il rischio, per quanto debole, di perdere anche in terzo grado.
E anche le parole “sanatorie generalizzate”, infine, hanno il loro peso. Una sanatoria che dicesse: “Chiunque ha guai col Fisco, paghi un tanto e non ci si pensa più”, sarebbe sì una “sanatoria generalizzata”. Una sanatoria che si rivolge solo a chi ha già visto per due volte, difronte alla Commissione tibutaria, respingere le richieste del Fisco, non è proprio tanto “generalizzata”.
“In realtà”
La frase finale del capoverso, comunque, indica la strada per il prosieguo dell’articolo. Il cui scopo è dimostrare che veramente quella norma, a prescindere da tutto, è stata fatta soltanto, o almeno primariamente, perché faceva comodo a Mondadori.
Giannini spiega che quella volta il “pacchetto giustizia” non andò in porto (non vi riporto l’intero articolo, vi ricordo che potete leggerlo qui). Dopo qualche frase un po’ vaga, ma necessaria per tenere la tensione narrativa, il viceditorettore di Repubblica mette giù quella che sembra essere davvero la carta più pesante. Leggiamo:
La Cassazione ha già fissato l’udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l’Agenzia delle Entrate e l’azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo “treno” in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.
Giusto alla vigilia dell’udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al “Palazzaccio” di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l’ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l’età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la “definizione agevolata delle liti tributarie” già prevista un anno prima dal “pacchetto giustizia” di Alfano.
Nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta P3, fu intercettata una battuta al telefono di Vincenzo Carbone: “E io che faccio dopo la pensione?” (vedi). Faccio notare che, in quelle indagini, è così arduo definire dove stia il reato che gli inquirenti, non senza fantasia, hanno deciso di applicare quello di “associazione segreta”. E una battuta di quel genere non vedo com possa essere prova di alcunché. Tuttavia, la coincidenza dei due emendamenti presentati da Azzolini sembra lampante.
Una piccola correzione alla realtà?
Tuttavia, trovo in giro per la rete questa notiziola:
La Corte di Cassazione ha smentito, con una lettera a “Repubblica”, il collegamento strumentale fra la rimessione della causa che vede protagonista la “Mondadori” e l’emendamento che posticipa la pensione ai magistrati. Nella lettera di smentita, la Corte fa presente che la rimessione alle Sezioni Unite è stata adottata in base a quanto prescrive l’art. 374 del codice di procedura civile, e cioè: a) la rimessione era stata chiesta da entrambe le parti del contenzioso (Avvocatura dello Stato e legali della “Mondadori”); b) la richiesta è stata esaminata come da prassi e, considerato anche il fatto che la fattispecie è stata considerata di particolare rilievo (e questo è uno dei motivi previsti per la rimessione di una causa alle Sezioni Unite), è stata accolta. Nella smentita, oltre a ipotizzare una querela al quotidiano romano, si precisa anche che il presidente del Collegio che avrebbe dovuto giudicare il caso non era il citato giudice Enrico Altieri. (Vedi)
Sulla remissione alle sezioni unite, peraltro l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara, la racconta ancora diversa:
Da parte nostra non ci fu opposizione ma neanche consenso. Semplicemente ci rimettemmo alla decisione della Suprema Corte. (Qui).
Non sono riuscito a trovare, nell’archivio in rete di Repubblica, questa la lettera della Cassazione. Né mi pare si possa trovarla nel sito della Cassazione (nemmeno provo a cercare il verbale della seduta: il sito della Cassazione sembra, lui sì, quello di una società segreta). Anche con i motori di ricerca non mi salta fuori. Vedrò cosa riesco a fare in emeroteca.
Diciamo quindi che anche mentre cala la sua carta più pesante, il vicedirettore di Repubblica continua a dire cose che sembrano un po’ dubbie. E’ vero che lo spostamento della causa è stato “richiesto dagli avvocati di Segrate”, cioè di Mondadori: ma l’aveva chiesto anche l’Avvocatura dello Stato, o almeno l’Avvocatura aveva si era rimessa alla decisione della corte. E’ vero che Enrico Altieri presiede la sezione tributaria della Corte di cassazione, ma la Cassazione dice che “il presidente del Collegio che avrebbe dovuto giudicare il caso non era il citato giudice Enrico Altieri”.
[Aggiunta successiva, 2 settembre 2010. Trovo nel blog Non ne so abbastanza questa osservazione:
Parliamo anzitutto dell’attribuzione alle Sezioni Unite: è un fatto non frequente, ma non eccezionale e neppur raro: si va alle Sezioni Unite, su decisione del primo Presidente, “sui ricorsi che presentano una questione di diritto gia’ decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza”. Noi non sappiamo, perché Repubblica, pur così informata, non ce lo dice, quale sia la motivazione con la quale il Presidente Carbone ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite: l’articolo si dilunga sull’età di Carbone, sull’innalzamento del termine del pensionamento, sui suoi coinvolgimenti con Carboni e Lombardi: ma non ci dice quale sia la motivazione con la quale ha rimesso la causa. L’articolo, quindi, alimenta un sospetto: che Carbone abbia rimesso la causa come corrispettivo di quanto ottenuto dal Governo: ma senza una spiegazione sui motivi di rimessione, questo rimane un mero sospetto. C’erano già dei precedenti, sulla materia in discussione? Erano precedenti conformi o c’era una difformità giurisprudenziale? Qual era la questione di massima? era o non era di particolare importanza? Non lo sappiamo; e non credo che Giannini non lo sappia: semplicemente non ce lo dice. Forse non lo dice perché si tratterebbe di materia troppo tecnica e noiosa e quindi non “giornalistica”: ma avendoci gia intrattenuto assai, credo che qualche riga sul tema non sarebbe stata sprecata (qui)]
[E’ curioso peraltro che Giannini non ricordi un fatto preciso, riportato il 24 agosto scorso dal Sole/24 iore:
Sulla vicenda, però, pende la richiesta di compatibilità della sanatoria con il diritto comunitario. Questione sollevata da un collegio presieduto dal giudice Enrico Altieri. (Qui).
Non so quando sia stata presentata questa “richiesta di compatibilità”. Mi stupisce che Giannini non la usi per rafforzare l’immagine di Altieri come giudice inflessibile; immagino che prima o poi qualcuno, dall’altra parte, la userà per provare che Altieri avrebbe un atteggiamento persecutorio nei confronti di Berlusconi.]
Gli anelli di congiunzione
A questo punto, Giannini può correre veloce verso la conclusione:
Il 22 maggio [2010] le Camere convertono definitivamente il decreto. All’articolo 3, relativo alla “rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l’Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio”, il comma 2 bis traduce in legge la norma “ad aziendam”: “Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)”. […] Nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare “8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell’importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40” sulla “chiusura delle liti pendenti”.
A tutto questo racconto manca solo qualche anello di congiunzione. L’azienda Mondadori era informata di quanto stava accadendo? L’azionista di maggioranza, nonché capo del governo, era informato di quanto stava accadendo? Ciò che è avvenuto, è avvenuto su richiesta di Mondadori? E’ avvenuto per ordine di Silvio Berlusconi? Ha ordito tutto Tremonti? O tutto è stato fatto da peones intesi a soddisfare ogni desiderio, compresi quelli inespressi, del capo? Eccetera.
Queste, sia chiaro, sono cose facilissime da immaginare ma difficilissime da dimostrare. Giannini fa quello che può, e sicuramente non può fare di più:
Stavolta Berlusconi non può dire “non mi occupo degli affari delle mie aziende”: non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell’inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge “ad aziendam” dice al telefono al commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi “è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni… De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all’anno… sono messo bene, no?”. Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo “quattro sfigati in pensione”: non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell’inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola “Mondadori” ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola “Cesare”) e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell’interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell’Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel “dirottamento”?).
Il guaio è che se Silvio Berlusconi si dice preoccupato perché rischia di dover tirare fuori (o far tirar fuori alle sue aziende) delle quantità di denaro nemmeno immaginabili per i comuni mortali, da ciò non consegue che abbia ordita tutta la trama raccontata da Giannini. Il guaio è che, se Carbone sembra abbastanza compromesso, l’intercettazione che (secondo “Repubblica”, qui) eventualmente incastrerebbe Fiumara è un tantino debole. E comunque ci sono delle indagini in corso, non c’è un giudizio, e la faccenda dell’associazione segreta è tutta da dimostrare.
Senza contare che se “Repubblica” mi dice (e non ho ragioni per dubitarne) che “nelle 15 mila pagine dell’inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola ‘Mondadori’ ricorre 430 volte”, io magari resto impressionato: ma non ho nessuna idea del contesto. Per circa vent’anni della mia vita, chiunque avesse affermato che almeno due volte al giorno, e spesso di più, era possibile vedermi davanti all’abitazione di un pluriomicida, avrebbe detto il vero: dovevo passarci davanti per andare in centro (e il pluriomicida, peraltro, stava in galera).
Conclusione personale
Riporto altre parole dalla già citata dichiarazione di Stefano Mauri:
Tornando alla questione della legge le malefatte, in questo caso, se è vero quanto riportato da diversi quotidiani, sono l’azione turbativa per spostare il procedimento da una sezione all’altra in modo che potesse godere di questa legge un’azienda del presidente del Consiglio e il fatto che una legge che può sembrare ragionevole venga in mente solo quando sono toccati i suoi interessi personali. Ma questo è un altro piano che segna non da oggi la politica italiana.
Mi pare una conclusione condivisibile. E proprio perché si tratta di un “altro piano” non penso che sia sensato, per me, oggi, decidere di rompere il contratto che ho con Mondadori per la pubblicazione di un ulteriore libro e il contratto che ho con Einaudi per la consulenza a Stile libero.
La rottura del contratto con Mondadori comporterebbe per me, credo, la restituzione dei 5.000 euro avuti come anticipo diritti. Il contratto di consulenza con Einaudi per Stile libero è un contratto annuale di collaborazione a progetto; l’importo annuale è di 16.000 euro; è iniziato il 1° marzo 2008; finora mi è stato rinnovato due volte; la prossima scadenza è al 28 febbraio 2011. Questo contratto costituisce la mia maggiore fonte di reddito.
Quando firmai il contratto con Mondadori e quando iniziai la consulenza per Einaudi l’ “altro piano” c’era già.
Considerazione ulteriore
Giannini, nel suo articolo, in tre punti diversi evoca il “silenzio che aleggia sull’intera vicenda”, della quale “Repubblica” ha dato notizia “in splendida solitudine”, e si chiede “come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione”.
Faccio un giro e poi torno sul punto. Il 28 luglio 2005 apparve nel “Corriere della sera” un articolo di Gian Antonio Stella intitolato: I libri scolastici in conflitto d’interessi. Stella segnalava
l’iniziativa delle Poste Italiane che, tra cori di consensi, hanno distribuito 5 milioni di locandine e avvisi vari per segnalare agli istituti scolastici e alle famiglie italiane la possibilità di ordinare i testi, via internet o via telefono, per poi comodamente riceverli a casa portati dal postino.
Con l’optional di poter rateizzare il pagamento in 12 mesi al tasso del 7.5%. Che non sarà basso, visto che il tetto massimo sarebbe il 7,77%, ma potrebbe aiutare molte famiglie a sopportare meglio l’impatto della spesa supplementare autunnale. Fin qui, tutto ok.
Ma il bello deve ancora arrivare. A chi hanno deciso di affidare l’operazione, infatti, il ministero della Pubblica Istruzione e le Poste Italiane? Voi direte: avranno fatto una gara d’appalto. Macché.
Avranno sentito gli editori? No, tranne uno: indovinate quale. Avranno consultato i librai? Neppure: «Manco una telefonata», spiega furente Rodrigo Diaz, presidente dell’Ali, l’Associazione librai italiani, «abbiamo saputo tutto a cose fatte e tutti i telegrammi mandati alla Moratti o a Letta non hanno avuto risposta. E’ stata una cosa sporca». Avranno sondato il mercato per vedere chi è il più forte nel commercio di libri on-line? «Assolutamente no», risponde Mauro Zerbini, amministratore delegato di Ibs, gruppo Longanesi, «il nostro è il sito di questo tipo più visitato d’Italia, a giugno abbiamo avuto 991 mila contatti e nel 2004 abbiamo fatturato 13,2 milioni di euro. Ma non abbiamo avuto dal ministero o dalle poste neppure una telefonata. Neppure una. Abbiamo saputo tutto a cose fatte».
Ma allora, come è stato scelto il fornitore di tutto quel bendidio di libri? E’ quello che chiede in una interrogazione, tra gli altri, il senatore Stefano Passigli. Il quale, oltre ad accusare la Moratti poiché «il suddetto servizio postula che Poste Italiane abbiano ottenuto dal ministero la lista delle adozioni dei testi con largo anticipo su tutte le librerie», ha anche presentato un esposto ad Antonio Catricalà, l’ex segretario generale di Palazzo Chigi nominato presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato. Il fortunato fornitore prescelto per il businness è infatti «Bol». Una società di vendita di libri on-line che fattura meno della metà di Ibs (5,5 milioni contro 13,2), ha meno della metà dei contatti internet (a giugno 434 mila contro 991 mila) ma, per pura coincidenza, appartiene alla Mondadori. Cioè alla casa editrice di proprietà del «principale» di Letizia Moratti, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
L’importanza economica della cosa, spiega Stella, non è poca:
Cosa rappresentino i libri scolastici è presto detto: con 400 milioni di euro l’anno di fatturato, sono una fetta di un terzo circa dell’intero mercato del libro. Ma, ciò che più conta, sono la boccata di ossigeno che una volta l’anno permette alle piccole librerie sparse per la provincia italiana, dove si vende il 28% scarso di tutti i volumi, di tirare il fiato e non abbassare le saracinesche vinte dalla sciatta indifferenza di un paese che legge poco come il nostro. Tanto per capirci: in molti casi, nelle cittadine del Nord come del Mezzogiorno, l’incasso per i testi adottati dalle elementari alle medie superiori può superare il 60% degli introiti annuali.
Se fate un giro con i motori di ricerca vi accorgerete che anche Stella diede quella notizia “in splendida solitudine”: ho provato a cercar notizie con diverse chiavi, e l’unico articolo che ne parla, ripreso qua e là, è il suo. E anche su questa vicenda ha “aleggiato il silenzio”, e hanno taciuto “le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione”.
Nessuno, all’epoca, si alzò in piedi per chiedere agli autori Mondadori di mollare la casa editrice.
Oggi invece questo accade. Perché?
Perché, secondo me, oggi la notizia fa comodo a “La Repubblica”. Non solo perché “La Repubblica” ha costruito sempre più il suo marketing, negli ultimi anni, su un antiberlusconismo totale. Ma perché, appunto, in conseguenza del giudizio definitivo sulla questione del Lodo Mondadori (rimando all’articolo di Wikipedia, che mi pare chiaro), nella successiva causa civile avviata dalla Cir di Carlo De Benedetti, il giudizio di primo grado ha stabilito che la Fininvest deve risarcire alla stessa Cir 750 milioni (vedi). La reazione di Mediaset è stata, per ora, duplice: da un lato ha, com’è suo diritto, fatto ricorso; dall’altro ha tentato un’azione diffamatorio contro il magistrato che ha emessa la sentenza (vedi).
Immagino che De Benedetti tema che il governo intervenga a cambiare le norme allo scopo di evitare a Fininvest il pagamento di cotanta somma. Il timore è reso esplicito in un articolo di Liana Milella apparso in “Repubblica” pochi giorni dopo (il 23 agosto 2010) l’articolo di Giannino che abbiamo ripercorso. Il titolo dell’articolo è: Per salvare il Lodo, 5 milioni di cause a rischio. La norma, che il governo ha già tentato di infilare nella manovra economica recentemente approvata, ha secondo Milella questi contenuti:
Due trucchi e il dibattimento si blocca: la sospensione di sei mesi e una nuova figura, quella dell’ausiliario del giudice, che a bocce ferme studia e propone una soluzione nel merito. Le parti possono accoglierla, l’ausiliario si becca un bel gruzzolo, la causa è finita. Oppure, se i contendenti non sono d’accordo, si va alla sentenza per le vie regolari, ma sul perdente pesa la minaccia di doversi accollare tutte le spese per aver rifiutato la “via breve”.
Sulla base di un articolo letto giorni fa, e che non riesco a ritrovare, mi sembra che l’ultima frase non sia esatta. La logica dovrebbe essere che le spese sono a carico di chi, avendo rifiutata la mediazione, si ritrovi con una sentenza peggiorativa rispetto alla mediazione. (Esempio: io e Gigi siamo in lite; il mediatore propone che io paghi a Gigi 100, e morta là; io rifiuto; si torna dal giudice; il giudice mi condanna a pagare 120, e per di più a pagare le spese: così resto punito, e la prossima volta accetterò piuttosto la mediazione. Altro caso: è Gigi, stavolta, a rifiutare la mediazione; si torna dal giudice; il giudice mi condanna a pagare 80, ma le spese sono di Gigi: così sta punito lui, e la prossima volta accetterà piuttosto la mediazione. Se chi ne sa di più si accorge che non ho capito niente, spieghi la faccenda nei commenti).
Mi pare che se De Benedetti ritiene di avere ragione e di essere in grado di provarlo, da una norma come questa ricava uno svantaggio e un vantaggio: uno svantaggio, perché per aspettare la mediazione, rifiutarla e tornare in giudizio vanno via mesi e mesi (e, i 750 milioni, averli oggi o averli tra otto mesi non è proprio la stessa cosa); un vantaggio, perché accettando la mediazione si eviterebbe il terzo grado di giudizio (e quindi si potrebbero avere meno soldi, ma subito).
Ora, io mi domando: tutti questi, sono affari miei?
La mia scelta sta tra l’essere un “soldatino” che difende gli interessi del Cav. o un “soldatino” che difende gli interessi dell’Ing.?
Link finale (importante)
Su questo mi fermo, e invito a leggere un articolo, intitolato Forse perché nulla è, scritto da una persona della quale ignoro l’identità (ma che lavora nell’editoria, e precisamente per Gallimard). Qui ne cito un passaggio, ma raccomando di leggerlo tutto:
La dialettica dell’illuminismo [di Adorno e Horkheimer], critica radicale dell’industria culturale e del capitalismo in generale, è pubblicata in Italia da Einaudi, storica casa editrice di sinistra fondata nel 1933 e acquistata nel 1994 dal gruppo Mondadori, il cui azionista di maggioranza è l’imprenditore e politico Silvio Berlusconi. Ma il grande capitale, di cui Berlusconi è senz’altro emblematico, non aveva secondo Adorno e Horkheimer l’unico scopo di sostenere il sistema esistente? La dialettica dell’illuminismo starebbe dunque anch’essa partecipando a sottomettere gli individui al potere totale del capitale, imponendo l’obbediente accettazione della gerarchia sociale, invece di svelarne la vera natura e annunciarne la dissoluzione?
Il meno che si possa dire è che nell’industria culturale qualcosa è cambiato: ciò che un tempo era prodotto e distribuito da case editrici indipendenti viene oggi direttamente venduto da grandi gruppi industriali, spesso indifferenti al contenuto politico dei prodotti su cui lucrano. La dialettica dell’illuminismo non è un caso isolato. Tra i paradossi più eclatanti, i libri di Naomi Klein (No Logo, The shock doctrine) sono pubblicati da Random House, il più grande editore mondiale. Da parte sua il gruppo editoriale Mondadori, lungi dallo stampare soltanto agiografie del suo azionista di maggioranza o elegie per l’economia di mercato, comprende nel suo vasto catalogo opere «per tutti i gusti», con una particolare attenzione per i «materiali radicali, ’scomodi’, non omologati» (dicono gli autori del collettivo Wu Ming).(leggi tutto l’articolo).
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(*) Questo me l’hanno detto un paio di amici tributaristi, ai quali ho chiesta un’opinione. Non mi hanno però fornito delle statistiche. Le ho cercate e non le ho trovate. Se qualcuno è in grado di trovarle e segnalarle, lo ringrazio.
Tag: Angelino Alfano, Antonio Azzolini, Carlo De Benedetti, Cir, Einaudi, Enrico Altieri, Eschaton, Fininvest, Fulvio Lo Cicero, Gian Antonio Stella, Gianfranco Mascia, Giulio Tremonti, Liana Milella, Marina Berlusconi, Massimo Giannini, Mondadori, Oscar Fiumara, Raimondo Mesiano, Silvio Berlusconi, Stefano Mauri, Vincenzo Carbone
29 agosto 2010 alle 12:50
Posso fare quello terra terra?
Ma chissenefrega se la Mondadori paga o non paga le tasse? Tu le paghi? Continua a lavorare per l’azienda che ti fa lavorare, sia che essa le paghi o no, cazzi loro. Io non capisco questo sentirsi in dovere di dare giustificazioni alla gente: lettori, giornalisti, critici, addetti ai lavori, bidelli, ingegneri, camionisti…
I grandi nomi che devono DECIDERE se continuare o no a pubblicare per Mondadori, che all’improvviso è diventata un mostro. Ma, santiddio, correggimi se sbaglio, è la Mondadori che li ha resi quello che sono e che ha dato loro il potere di sentirsi ora nella posizione di schifare LA MONDADORI. Lavorare per chi non paga le tasse o non le ha pagate (ammesso che ciò sia vero) non fa di te (impersonale, non te Giulio Mozzi) un evasore o un farabutto o un’anima dalla morale indegna.
29 agosto 2010 alle 14:01
La parte mancante di verità che il manchevole quotidiano Repubblica, come G.Mozzi fa notare, si guarda bene dal divulgare.
http://www.daw-blog.com/2010/08/26/mondadori-tutta-la-verita/
29 agosto 2010 alle 14:15
D’altra parte, Alessandra, l’articolo al quale tu rimandi ignora completamente la parte di verità che Repubblica racconta.
29 agosto 2010 alle 14:20
Esemplare decostruzione d’un testo menzognero. Saper leggere e scrivere conta davvero tanto, e non solo per motivi estetici. Quante delle persone che hanno letto il brano di Giannini non ne sono state irretite?
ps: è chiaro che chi compra Repubblica, come chi compra il Giornale eccetera eccetera, parte quasi certamente con dei preconcetti; ciò non toglie che ci troviamo in una galleria del vento di parole dentro la quale non è facile mantenere occhi e orecchie ben aperti.
pps: ho seguito Giulio anche nel dibattito su Nazione Indiana; una cosa che mi sembra non trascurabile è la sua disponibilità a elencare con precisione i propri guadagni, con tanto di cifre, dati e fonti; ciò gli garantisce – non voglio essere scontato ma mi pare così – una solida credibilità. Ciò detto, il dibattito scatenato da Mancuso, pur in buona parte retorico e pur non “appoggiando” giuridicamente, ci rimette tutti quanti di fronte all’abnorme anomalia italiana; ma non soltanto gli scrittori però: tutti.
29 agosto 2010 alle 14:24
Enrico, io non direi che quello di Giannini è un testo “menzognero”. Direi che è fazioso (Che sostiene con intransigenza, senza obiettività il proprio partito o le proprie tesi; animato da spirito di parte: un giornale f.; un politico f.; parziale: un arbitro f., da qui) e (per ottime ragioni) interessato.
29 agosto 2010 alle 15:20
bellissimo “pezzo”. Unica pecca, “appoggiare” la tesi argomentativa finale a coloro che si sono piccati di dileggiare i Martiri di Nassirya.
29 agosto 2010 alle 15:36
Riguardo alla specifica vicenda, da te ampiamente e correttamente decostruita, non posso che dirti: sì, sono “affari tuoi” e l’episodio, analizzato da te con lente obiettiva, non può delegittimare in alcun modo la libertà di pensiero e di coscienza di chi lavora in Mondadori.
Lo scandalo vero sarebbe casomai dimenticare come Berlusconi prese possesso della Mondadori: comprando una sentenza attraverso il suo avvocato di fiducia, Cesare Previti condannato quest’ultimo in cassazione per aver corrotto dei giudici (e tu, giustamente, riporti il link di wikipedia sul Lodo Mondadori).
Ma, secondo me, anche il rospo del Lodo potrebbe essere ingoiato da un autore o da un consulente della Mondadori, purché egli, nel suo lavoro e nella sua attività pubblica di scrittore e di intellettuale, non cerchi mai di nascondere il vero problema di fondo che sconvolge la democrazia italiana: il CONFLITTO DI INTERESSI.
Quindi, lavorare direttamente o indirettamente per Berlusconi non pone alcun problema di complicità finché non si neghi la realtà del problema e non si avverta l’urgenza di risolverlo. Non mi pare che sia il tuo caso.
29 agosto 2010 alle 15:41
Cletus, ho invitato a leggere l’articolo di Eschaton perché gli argomenti mi sembrano ben formulati. Non sono per niente sicuro che le conclusioni di Eschaton siano accettabili. Eschaton, quanto a lui, cita chi gli pare.
29 agosto 2010 alle 16:40
Io il pezzo di Giannini lo lessi nel giorno stesso in cui uscì, ora non mi ricordo perfettamente cosa ne trassi, soprattutto perché poi leggendo i tuoi scambi di battute su Nazione Indiana mi arrivarono altre informazioni. Comunque credo di aver pensato soprattutto che si tratti di una legge fatta per non rischiare, dunque viziata dal conflitto d’interessi. Non penso che sia una buona legge: o si dice che tre gradi sono inutili oppure i gradi si fanno tutti, non è giusto pensare a far cassa. Mondadori afferma di essere nel giusto e però per non rischiare paga. Ma che giustizia è, che leggi abbiamo? Quando la notizia uscì su Rep. l’11 agosto, in uno specchiettino si capiva meglio che il fisco sosteneva l’obbligo di pagare le tasse sulla plusvalenza generata dalla fusione. Comunque sono lettore di Repubblica, poi prendo degli integratori ( Mozzil ). Per quanto riguarda il pezzo da te linkato, lo devo rileggere. Non ho mai pensato che tu debba smettere di pubblicare per mOndAdori, neanche se avesse evaso il fisco, neppure se fossi stato invece tu a farlo 🙂
29 agosto 2010 alle 17:21
Paperinoramone (ma che razza di nick!), vedi che anche tu ti concentri sulla cosa meno importante. La cosa importante è quella fatta dal senatore Azzolini la notte del 29 ottobre 2009.
Leggi sanatorie come questa, nella storia della Repubblica, se ne sono fatte tante, e sono tutte discutibili, e hanno tutte le loro ragioni. Pensa agli indulti e amnistie fatti per svuotare le carceri.
29 agosto 2010 alle 17:44
posso trasformarmi in Eric Clipperton?
E’ che me ne ero completamente dimenticato, prof.
29 agosto 2010 alle 18:04
Ah, per me va bene tutto.
29 agosto 2010 alle 18:11
Ecco, adesso non so se ti darei più noia a tenere il mio nick, a cambiarlo o a fare commenti tipo questo. A scanso di equivoci il “prof” era del tipo
simpatico-affettuoso, non sarcastico-furbetto.
29 agosto 2010 alle 18:29
Nessuna noia. Se tu intervenissi sempre con lo stesso nick, troverei cosa meno disorientante. E poiché hai già cominciato con questo…
29 agosto 2010 alle 18:31
quack!
29 agosto 2010 alle 19:34
molto interessante tutta l’analisi di Giulio Mozzi, soprattutto nell’analisi del articolo di repubblica e di come il lettore viene portato verso una conclusione che poi si scopre dubbia. in merito alla questione una logica, per quanto perversa, lo stato ce l’ha. me ne sono accorta quando avevo partita iva. mi sono un po’ persa nel seguire tutto l’ambaradan, ma ci sono arrivata alla fine!
bravo mozzi!
29 agosto 2010 alle 19:52
Hai ragione sul menzognero. Mi ero fatto travolgere dall’efficacia della tua decostruzione 🙂
29 agosto 2010 alle 21:39
Ho letto l’articolo di Giannini il giorno in cui è stato pubblicato su Repubblica e ho detto: guarda guarda, qui c’è materia per Giulio Mozzi.
Tuttavia, sebbene mi fu chiaro l’intento fazioso di Repubblica, perché due gradi di giudizio favorevoli non sono, direbbe Totò, bruscolini, mi fu altrettanto chiaro che un problemino c’è. Eccome se c’è. Un problemino tutto politico.
Mettiamo che una azienda qualsiasi, la Fringberger SpA, per dire, si fosse trovata nella stessa situazione. Avesse cioè una causa con il fisco e avesse vinto due gradi di giudizio e ora, trepidante, aspettasse la Cassazione che, chi lo sa, avrebbe potuto sovvertire i due verdetti favorevoli determinando un tracollo finanziario della suddetta società. Mettiamo che il tracollo della Fringberger SpA avrebbe significato un sovvertimento nel settore commerciale nel quale opera, favorendo la concorrenza fino ad allora incapace di ottenere gli stessi fantastici risultati del principale competitor…
Mettiamo che il presidente della Fringberger SpA non e’ la figlia del Presidente del Consiglio, e i suoi avvocati sono di quelli che hanno preso la laurea a Catanzaro, e mettiamo che la Cassazione effettivamente sovverta i primi due gradi di giudizio….
Insomma. La porcata c’è ed è enorme. La Mondadori ha deciso che transare 8 milioni fosse cose buona e giusta. Come si fa? Si fa fare una legge apposta. SI FA UNA LEGGE APPOSTA!
La Fringberger SpA una legge apposta non se la sarebbe potuta far fare, e sarebbe fallita, o forse no. Non si sa. Resta il fatto che l’abuso della Mondadori è inequivocabile.
Come inequivocabile è il tono fazioso dell’articolo di Giannini.
Ciao
Ezio
29 agosto 2010 alle 22:20
Ma la questione dei libri di testo distribuiti a credito da Poste Italiane, com’è andata a finire? Così come compare nell’articolo citato è un fatto ben più grave di tutto l’ambaradan Mondadori, che sembra soltanto l’ennesima sanatoria, ma non voglio entrare sull’argomento.
Mi chiedo invece riguardo la questione dei libri di testo, visto che sono passati 5 anni, che risvolti abbia praticamente avuto sulla vita del sistema distributivo italiano e sul mondo editoriale più in generale.
29 agosto 2010 alle 22:22
Ezio ha detto una cosa giustissima, ha colto il punto più importante.
29 agosto 2010 alle 23:29
Il testo di Repubblica non era affatto menzognero: era sufficiente leggerlo, per sapere, senza incertezza alcuna, che il giudizio pendeva in Cassazione dopo due pronunce favorevoli alla società; guarda caso, però, Mondadori ha preferito evitare il vaglio della Cassazione, pagando comunque alcuni milioni di euro: se non ci fossero stati rischi, come si giustifica un esborso comunque significativo, approfittando, guarda caso, proprio di quella legge? e se, invece, l’esborso è giustificato perchè quei rischi in effetti sussistevano, non siamo in presenza di una legge assolutamente inaccettabile?
30 agosto 2010 alle 00:14
Quoto il commento di Ezio. L’articolo di Giannini sará fazioso, ma la norma di legge in questione è stata chiaramente scritta per la Mondadori.
Fatemi sapere quanti altri contribuenti e aziende italiane beneficeranno di quella norma.
Questa non è la prima e probabilmente non sarà l’ultima volta che il Presidente del Consiglio si prenda cura dei propri interessi con leggi create apposta e iniziative simili. Tutto ciò è forse normale nella Russia di Putin o nella Libia del colonnello Gheddafi. Ma credo che in nessuna democrazia occidentale sarebbe permesso a un Primo Ministro di fare leggi che vadano a suo diretto vantaggio e interesse.
30 agosto 2010 alle 01:22
Mozzi, potrebbe scrivere un post analogo per smentire anche i fatti descritti in questo pezzo di Repubblica del 2006?
Il Berlusconi II (11 giugno 2001 – 23 aprile 2005)
No perché mi pare più che evidente che è tutta una montatura pure quella.
Grazie.
30 agosto 2010 alle 01:32
Giulio, se posso permettermi, continuare a pubblicare con Mondadori oppure no è solo una questione di coerenza e di opinioni politiche. Dato che la casa editrice è espressione inequivocabile di un potere politico e economico che da lungo tempo si incarna nella figura dell’attuale presidente del consiglio, sul quale ricade un problema chiamato “conflitto di interessi” alla cui risoluzione nessun governo degli ultimi quindici anni ha saputo emanare una semplice legge basata sul buon senso, a mio parere se sono un autore Mondadori le possibilità sono tre:
1. la penso come il governo attualmente in carica, dunque continuo a pubblicare per Mondadori e a favorire lo sviluppo della sua impresa;
2. non la penso come il governo in carica, dunque vado a cercarmi un altro editore che la pensi come me;
3. non lo so come la penso, o forse lo so ma non ha importanza, resta il fatto che non ho alcun interesse a cercarmi un altro editore, perché certamente le condizioni sarebbero sfavorevoli.
Non ha la minima importanza che Mondadori pubblichi libri di qualsiasi opinione politica: lo fa perché esiste un mercato che assorbe questi libri, non perché crede alla libertà di espressione. Lo fa perché è un’opportunità di guadagno. Questa è la mentalità di una grande azienda, e tutti dovremmo saperlo benissimo, ormai.
Mi dispiace vedere che anche tu, come tanti, ti arrampichi sugli specchi: a mio parere è meglio il silenzio di fronte alla (inevitabile?) consapevolezza di non star facendo la cosa giusta.
…E fermo restando che a volte uno vorrebbe essere coerente, ma poi deve anche fare i conti con la propria vita. Quanti di noi, per coerenza, sarebbero capaci di ritrovarsi sotto la soglia di povertà? Del resto questa non è un’epoca di santi…
30 agosto 2010 alle 02:19
Analisi scomoda ma esemplare. Resto comunque del parere che non si possa paragonare Giannini a Sallusti ovvero la galassia Repubblica all’Impero Berlusconi (tu non lo fai, ovviamente, ma qualcuno dei commentatori si), se non altro perché il secondo dei contendenti controlla il campo da gioco.
30 agosto 2010 alle 05:33
Ezio, la tua conclusione è: “La Mondadori ha deciso che transare 8 milioni fosse cose buona e giusta. Come si fa? Si fa fare una legge apposta”. Questa è una cosa, però, che l’articolo di Giannini non riesce a provare. Certo, si può dire: “Ma come! Vuoi che, per dire, padre e figlia non si parlino?”. Al di là del fatto che, nella mia immaginazione (che è solo un’immaginazione), è possibilissimo che in una famiglia di quel genere padre e figlia non si parlino, resta sempre una domanda: stiamo parlando di comportamenti personali della proprietà, o di comportamenti aziendali?
Mimmo: non ti so rispondere. Ho l’impressione che sia stato un flop. In rete se ne trova ben poca traccia. Comunque, negli uffici postali ci sono negozi di libri Mondadori…
30 agosto 2010 alle 08:04
La domanda però sorge spontanea: perchè evitare il terzo grado di giudizio se uno è certo della sua innocenza già “certificata” dai primi due gradi di giudizio?
Fatte le dovute distinzioni, la vedo un pò come la storia di quello che è certo della sua innocenza ma sta cercando in tutti i modi di non presentarsi in aula.
30 agosto 2010 alle 08:19
Caro Giulio, ho girato parecchio su Facebook e ho cercato di seguire la questione “Mondadori sì, Mondadori no” in modo quanto più vasto possibile anche sui giornali.
L’impressione che ne ho tratto è che una vicenda forse pretestuosa, come tu ben documenti (quella fiscale/etica che ha smosso la coscienza di Vito Mancuso) sia servita, e succede spesso nella storia, a sollevare il coperchio di una più vasta e sostanziale questione: la responsabilità degli intellettuali. Questa espressione desueta mi crea qualche fastidio, ma di questo si tratta. Grazie alla levata di capo di Vito Mancuso (che tu e altri ritenete sbagliata, io francamente no) ci siamo tutti accorti che, in un modo o nell’altro, gli intellettuali (anche quelli più vivaci, più impegnati nell’antiberlusconismo, più col dito puntato contro di lui) vengono da lui stipendiati e profumatamente. Che dico: non solo stipendiati profumatamente (sono sicura che non è il tuo caso come non è stato il mio quando lavoravo a Panorama), ma anche riempiti di gloria, visibilità, premi, trasmissioni televisive.
Vedi. E’ questo il punto. La genialità di Berlusconi, la sua pervasiva capacità di ipnotizzare l’avversario e anzi, guadagnarci sopra, è proprio il suo segreto, è ciò che l’ha reso invincibile, che ha fatto trionfare la sua visione delle cose. Qui non si tratta più di sinistra e di destra, di autori mondadoriani e autori non mondadoriani. Si tratta di autori che, senza rendersene conto (sembra, a giudicare dalle loro proteste attuali) hanno intimamente condiviso la visione commerciale, presenzialista, brillante, cinica del suo mondo credendo di dargli addosso per qualche manifestazione di piazza, qualche firma contro qui e là, qualche comizietto o articolo (ben pagato, magari, che non guasta), mentre dovevano la loro possibilità di parola, il numero di copie vendute, la forza della pubblicità messa a loro disposizione, i grandi premi vinti con clamore, l’occupazione dei banchi dei librai, alla sua onnipotenza finanziaria. Ho sempre pensato che un intellettuale, e uno scrittore in particolare, dovrebbe fondare il suo “potere”, ovvero la sua indipendenza, su una weltanschauung di per sé oppositiva ai valori dominanti, lavorare in sottrazione (spiritualmente parlando), e non ho mai amato gli “organici” a qualsivoglia entità, partito, gruppo. La discussione sul conflitto d’interessi berlusconiano che tutto permea, anche la fisionomia degli autori che pubblica, è una buona occasione, forse, per riappropriarsi di quel sottile potere. Gli intellettuali non sono mai stati più deboli di oggi, che stiano dentro la Mondadori o fuori, perché hanno perduto la loro anima, il loro abitare altrove.
Tu forse un po’ mi conosci e puoi immaginare se non mi fa orrore il clima forcaiolo che serpeggia. Però. Però. Mi piacerebbe che, sia pure con colpevole ritardo, i tanti che oggi dicono: io resto perché mi trovo tanto bene, perché quale marchio editoriale è migliore di questo (quasi pensassero davvero che ancora siamo nell’Einaudi di Calvino, nella Mondadori di Arnoldo…), beh, mi piacerebbe che avessero uno sguardo più profondo, che riflettessero sulla famosa goccia d’acqua. Se ognuno avesse portato una goccia d’acqua altrove, se non avesse pensato che essere scrittore si commisura con le copie che vendi (=che qualcuno ti fa vendere)… forse vivremo in un’Italia migliore. Un’Italia con un’altra possibilità. Che oggi non c’è, che oggi non vedo.
Sai, qui viviamo fra “intellettuali” che non sanno rinunciare nemmeno ad avere il voto allo Strega, perfettamente consapevoli di come funzioni la baracca. Altre generazioni, precedenti, ci hanno provato a fare qualcosa per sottrarre il potere artistico/letterario alle leggi della finanza (e Berlusconi non era nemmeno all’orizzonte). Qui ormai, invece, nessuno pensa che sarebbe un valore tornare a far perno sulla propria coscienza, sul proprio mondo interiore; ti guardano come un cretino se la Tv non trae una soap dai tuoi libri. Perché avere una serie tv o un filmetto qualsiasi tratto da un libro sembra il massimo della felicità e della soddisfazione.
Mi riservo per un’altra puntata il racconto di come ho tentato qualche anno fa di fondare un «premio degli scrittori»: una specie di nuovo “Amici della domenica” riveduto e corretto. Mi sono venuti dietro in pochi perché non c’erano gettoni di presenza e il mio nome probabilmente non era garanzia sufficiente di visibilità e autopromozione. Così abbiamo lasciato perdere
Con affetto
Sandra
30 agosto 2010 alle 08:24
solo per celio (con la minuscola, non trattasi di omonimo colle romano):
La Fringberger Spa, inopinatamente chiamata in causa anche solo a titolo d’esempio in qualche commento in calce al post, ha dato mandato ai propri legali (tutti rigorosamente laureati a Catanzaro) di difendere la propria onorabilità, a fronte di improvvidi accostamenti con altre, più chiacchierate Imprese d’edizione. Altresì si ricorda che la ragione sociale Fringberger SpA, ha in previsione, prossimo autunno, la fusione, per incorporzione, con la neonata Cletus Production, a breve dotata di ufficiale sito web.
Tanto vi dovevamo, per correttezza d’informazione…
30 agosto 2010 alle 10:53
Giulio,
io penso che il compito di un giornalista sia quello di documentare con il massimo di accuratezza possibile (cioè con il massimo di approssimazione alla verità). Il suo ruolo è quello di dire le cose come stanno, ma anche sollevare la curiosità e in qualche caso l’allerta della pubblica opinione su alcuni fatti importanti.
Ora, poiché nella questione non c’è alcuna rilevanza penale, ma solo politica o etica, io credo che i dati con i quali Giannini ha emesso la sua “sentenza” siano abbastanza credibili (i tre tentativi notturni di inserimento di una norma che non c’entrava niente con quello su cui si stava deliberando: una pratica piuttosto frequente nei governi Berlusconi, e lo strano intreccio Cassazione-Avvocatura dello Stato- Avvocati del Premier) e sufficienti a motivare l’indignazione della pubblica opinione. Smentibili e criticabili. Non pistole fumanti. Ma elementi indiziari fortemente probanti.
Che poi, ripeto, sul fatto che Giannini sia astutamente riuscito a far passare la vulgata che Berlusconi in questo modo abbia risparmiato 300 e passa milioni che graveranno sulle tasche degli italiani, ripeto, sono d’accordo con te.
Cletus, mi pare che il comportamento della Fringberger SpA sia stato, nella mia ricostruzione, come sempre ineccepibile. Ancorché un po’ sfigato.
Ezio
30 agosto 2010 alle 11:08
“Al di là del fatto che, nella mia immaginazione (che è solo un’immaginazione), è possibilissimo che in una famiglia di quel genere padre e figlia non si parlino, resta sempre una domanda: stiamo parlando di comportamenti personali della proprietà, o di comportamenti aziendali?”
Ah beh… l’immaginazione come categoria morale?
Quanto al quesito: ecco, uno dei problemi più macroscopici del nostro paese, di fronte al quale non serve l’immaginazione, credo serva piuttosto l’onestà di guardare le cose in faccia (non solo dunque quando, meritoriamente, si mostrano i difetti insiti in un articolo), e guardando le cose in faccia viene fuori che il problema è esattamente quella domanda.
30 agosto 2010 alle 11:50
Lavoro in editoria e non posso che condividere ogni parola. Dire che una casa editrice (si parla di libri, non di giornali, che sono evidentemente un altro paio di maniche) è espressione di un potere politico ed economico è una sciocchezza che può affermare solo chi non ha neppure una pallida idea di cosa sia il settore editoriale, non parliamo poi delle altre editrici del gruppo, come l’Einaudi, che conservano una fisionomia autonoma ben riconoscibile.
Per aggiungere un pezzetto di informazione: so per certo che i libri di varia in vendita presso gli uffici postali sono distribuiti dalla rete Mondadori Franchising (ma come fatturato credo sia davvero trascurabile). Poste Italiane tuttavia mi pare sia una spa (riforma del centro-sinistra, direi) e pertanto non è tenuta a indire gare d’appalto.
30 agosto 2010 alle 11:56
Di fronte alla bambinesca campagna di boicottaggio ormai tifo Mozzi pure io. Grazie per il link, tuttavia il mio nome é scritto sul sito. Non ho capito cosa c’entrano i morti di Nassirya, e comunque la citazione dei Wu Ming serve solo a ridicolizzarli. Infine, non sono certo di arrivare a conclusioni. Solo mi spiace ridurre tutto a une questione morale, mentre in gioco c’é qualcosa di molto più serio, la nostra facoltà d’incidere sulla realtà con le parole, e la sterilizzazione di questa facoltà per mezzo dei paradossi performativi mondadoriani. E provocatoriamente proclamo: che lo scrittore sia soldatino d’una causa o che venga subito dimenticato!
30 agosto 2010 alle 11:59
..sfigati nel senso che essendo a “low-budget” abbiamo a libro spese solo legali laureati colà ? (Catanzaro)
30 agosto 2010 alle 12:37
Io tendenzialmente non fornisco credito a ciò che scrive Repubblica e nemmeno direi a ciò che scrive l’intera classe giornalistica italiana che mi pare molto mediocre.
Ho letto quasi tutta l’analisi di Giulio Mozzi e sicuramente è valida come decostruzione ed esempio di come lavorano i giornali da noi.
Il punto però è che ora molti indicano il problema di non essere coinvolti in una presunta illegalità di Mondadori come IL PROBLEMA. Le argomentazioni sono così variegate e opinabili che tutto questo can can a mio parere è fatto solo per lasciare tutti liberi di fare come gli pare come sempre.
Ma nessuno però ricorda mai IL VERO PROBLEMA da cui nasce TUTTA la crisi dell’editoria italiana e motivo per cui io considero Mondadori un vero problema da almeno una dozzina di anni (cioè da quando me ne sono reso conto e ci sto alla larga…). Mondadori è stata acquisita ILLEGALMENTE tramite corruzione di magistrati (Sentenza lodo mondadori), corruzione posta in atto da Cesare Previti a “favore” di Silvio Berlusconi, il primo condannato in Cassazione con sentenza definitiva per questa corruzione, un reato gravissimo. Questo è l’unico fatto certo in un paese legale, e da lì in poi nasce anche il monopolio distributivo sui libri che ha distrutto le case editrici italiane e le ha messe sotto un solo tetto (come ad esempio dimostra il fatto che Einaudi decida di non pubblicare Saramago).
I problemi e le riflessioni dovrebbero nascere da lì credo, è stato quello il momento in cui l’editoria italiana è cambiata per sempre e noi subiamo ancora i problemi di quell’illegalità. Se per una volta prestassimo fede alle sentenze e non ai giornali o alle “opinioni” che ricostruiscono man mano il presente per meglio utilizzarlo non sarebbe male secondo me.
Detto questo mi sembra che un altro problema sia che gli intellettuali si comportano nei loro ragionamenti come la gente comune, cioè chiaccherano di tutto ma io personalmente non riesco mai a capire di cosa: un giorno possono sostenere una cosa e il giorno dopo stai sicuro che possono sostenere l’esatto contrario guardandoti come se avessero sempre sostenuto quello che vanno dicendo ora. Un pensiero molto fluido diciamo….talmente fluido che abbiamo tutti l’acqua alla gola ormai.
Secondo me ora la battaglia non è più questa delle parole, come lo poteva essere dieci anni fa, ora la battaglia è nella realtà quotidiana dove si deve ritornare a proporre una cultura di pensiero e di comportamenti, ovviamente a proprio discapito all’inizio. Vedremo, per me chiunque ora può ormai restare dove vuole, ma vediamo chi ha il coraggio di dire pubblicamente che bisogna boicottare il monopolio distributivo nelle librerie e metterlo in atto contro i suoi stessi interessi e complicandosi la vita… Io per farlo sono direttamente passato a cancellare tutti i libri “nuovi” dai miei acquisti fino a che non cambierà la situazione e ho messo su uno spazio di “recupero” della cultura, chiamiamolo così. Un nuovo inizio…non penso che avrò problemi di lettura avendo duemila anni di testi da leggere….insomma cerco di condividere un’altra idea di cultura e stop. Ognuno poi seguirà ciò che vuole come sempre.
30 agosto 2010 alle 12:46
Chiedo venia Ezio, ma “documentare con il massimo di approssimazione” ( verbo che male si sposa con documentare) è il ruolo di un giornalista o di quelli che venivano chiamati servi di partito?
E poi cosa vuol dire che ” poiché nella questione non c’è alcuna rilevanza penale, ma solo politica o etica, io credo che i dati con i quali Giannini ha emesso la sua “sentenza” siano abbastanza credibili”. Credibilità non è verità. Non riesco a capire perché, con tutti i buoni motivi per attaccare Berlusconi ed il suo governo se ne debbano costruire di altri meno solidi da sostenere. Forse perché Mondadori e Rcs sono concorrenti in diverse aree di business ( mia personalissima e sciocca supposizione) ?
In ogni caso, perdonatemi se vado OT, ma trovo vergognoso il ruolo che in questo paese stanno assumendo i giornalisti: non eiste verità esiste solo la ricostruzione faziosa, ma credibile appunto, sia da una parte che dall’altra.
il motto in Italia è “Ognugno scelga il suo nemico e lavori con le proprie armi per distruggerlo”. Forse è il caso in cui tutti ci si metta la mai inutile mano sulla coscienza.
30 agosto 2010 alle 14:21
caro giulio, per la prima volta, forse, in vita mia, devo dire che non condivido il tuo esercizio di decostruzione della cosa. la penso come don gallo. le stesse motivazioni adottate, per altro, ricordano quelle di nori che mesi fa accetta di collaborare per Libero: la cosa mi lascia molto perplesso. la cosa che più mi colpisce è che non ci sia una risposta di gruppo, ma solo singole. d’altra parte, mancuso aveva posta una questione di coscienze e ognuno risponde alla sua. la mia domanda semplice è: sarebbe preferibile per gli scrittori, tutti gli scrittori italiani, lavorare in un sistema editoriale dove non c’è una casa ediotrice con una legge ad aziendam? per me è sì, sono sicuro. per tutti. allora la seconda vera domanda è: bene, ammesso questo, cosa fanno questi singoli scrittori (singolarmente o in gruppo) per stare in un Paese migliore e cioè dove c’è anche un’editoria, un sistema editoriale, migliore, dove non c’è una legge ad aziendam per una casa editrice? ma a questa seconda domanda, non vedo risposte. e ciò mi colpisce.
30 agosto 2010 alle 14:22
Voglio intervenire ancora un secondo. Giustamente ieri Mozzi mi ha fatto notare che l’articolo di Giannini non è “menzognero” ma “fazioso”. Il problema è che oggi la faziosità – che pure di per sé non è peccato – sembra diventata una componente essenziale del giornalismo italiano ai suoi massimi livelli, sia stampato che televisivo. L’articolo di Giannini pilota il lettore (specie quello poco avveduto) con una certa dose di ambiguità e con una certa dose di abilità. Questo è chiaramente un effetto del pro e contro Berlusconi, l’ennesimo nevrotico inquinamento causato dalla sua strapotenza. Se sto sbagliando, se non è vero che il giornalismo italiano attraversa una crisi deontologica e anche qualitativa, che mi si dica. Domando scusa se vado un po’ fuori tema, ma si tratta d’una faccenda che mi sta a cuore. E poi il giornalismo e l’informazione non sono faccende civili tanto quanto la letteratura, gli scrittori e le loro case editrici, se non di più? Perchè solamente gli scrittori debbono preoccuparsi fino all’ossessione del Cavaliere?
30 agosto 2010 alle 16:20
Lorenzo, ho usato la cauta espressione “massima approssimazione” perché mi pare difficile anche se non impossibile (lo dico da lettore) che in un giornale si arrivi a certificare “in ogni caso” la verità. Posto che vi sia un luogo dove questo sia possibile (anche in un tribunale si parla di verità processuale).
Tuttavia, ripeto, questo non toglie che il giornalista debba fare il massimo dello sforzo possibile. E’ ovvio.
In questo caso è stato fatto? Secondo me sì, per quanto riguarda il nesso Mondadori-Legge ad hoc. Secondo me no quando Giannini ha colpevolmente e intenzionalmente sottovalutato i due pronunciamenti favorevoli alla Mondadori. Ha quindi secondo me fatto un cattivo lavoro pur non avendo contraffatto o forzato ad uso e consumo della sua tesi la documentazione di cui disponeva. Come ha scritto Enrico Macioci, riprendendo la tesi di Giulio, l’articolo è fazioso, non menzognero.
Naturalmente posso sbagliarmi.
Ezio
30 agosto 2010 alle 18:07
caro mozzi, il problema (che sembra sfuggirle) non è se la mondadori abbia o non abbia evaso il fisco.
il problema è che il governo berlusconi ha legiferato su una materia nella quale un’azienda di berlusconi aveva un contenzioso in corso con lo stato.
non c’è bisogno di aggiungere altro.
30 agosto 2010 alle 18:36
Ebbene sì l’articolo di Giannini, letto su Repubblica.it, mi è sembrato subito fazioso. Seguito però da cammenti di vari scrittori e non e francamente la discussione non mi sembra debba essere così derubricata, sminuita e perchè no vivisezionata. L’articolo sì, ma certe conclusioni, del tutto personali e più o meno interessate, no. Per farla breve se Giulio Mozzi vuol continuare a scivere per Mondadori/Einaudi deicendo che lo fa per proprio interesse economico, come chiunque lavora, è sicuramente libero di farlo. Se qualcuno vuol cambiare editore per motivi “politici-etici” è altrettanto libero di farlo, senza essere additato come “comunista”. La cosa importante secondo me è che ci sia la possibilità di pubblicare quello che si vuole, di lavorare, questo sì, in maniera libera senza vincoli o costrizioni, senza censure di sorta. Poi quello che siamo e che pensiamo si vedrà da quello che scriviamo e da come agiamo.
31 agosto 2010 alle 01:03
G.Pozzi scrive: “questa non è un’epoca di santi…”
magari lo è di navigatori……
31 agosto 2010 alle 07:35
Al volo, noto alcune differenze – trascurando qui le somiglianze.
Carlo M.: ciò che secondo te mi “sfugge” è esattamente ciò che sto cercando di far notare – e mi sembra sfugga ai più. Trovo centinaia di interventi in forum, blog eccetera, nei quali si ripete il ritornello: boicottiamo Mondadori perché ha evaso il fisco. Il che, appunto, stando alle sentenze, non è vero. Il problema è appunto un altro; e mi pare che questo problema, riusole parole di Stefano Mauri, stia su “un altro piano che segna non da oggi la politica italiana”.
“Non da oggi” significa: che il l’ “altro piano”, cioè quello non del “conflitto” ma della “convergenza”, direi, di “interessi”, esiste oggi come esisteva tre anni fa, otto anni fa, dieci anni fa.
Giuseppe Caliceti: no, Giuseppe, mi spiace, ma non è vero che “le stesse motivazioni adottate, per altro, ricordano quelle di Nori che mesi fa accetta di collaborare per Libero”. Non può essere vero, perché in questo articolo non ho fornita nessuna motivazione. Riprenderò le tue sensate domande nei prossimi giorni.
Pieros: direi che, più che “conservare” una “fisionomia ben riconoscibile”, mi pare che Einaudi la sta difendendo con le unghie e con i denti, lasciando qualche morto sul campo.
Sandra Petrignani: se parli di persone “pagate profumatamente”, “riempiti di gloria, visibilità, premi, trasmissioni televisive”, eccetera, non stai parlando (e lo dici: “non è il tuo caso come non è stato il mio quando lavoravo a Panorama”) né di te né di me. Vito Mancuso ha scelto per sé, e io scelgo per me.
Poiché la ripetono in tanti, rispondo alla domanda: perché mai un’impresa, se sa di non aver evaso il fisco, preferisce chiudere tutto pagando poco, anziché affrontare anche l’ultimo grado di giudizio, vincere, e non pagar nemmeno quel poco?
La domanda sembra sensata, e invece non lo è; perché non tiene conto di un costo del quale l’impresa tiene conto continuamente: il costo dell’incertezza e del rischio.
Mi spiego con un esempio. Immaginate di avere una piccola impresa. Immaginate di avere un vecchio contenzioso col fisco: un contenzioso nel quale, in coscienza, sapete di avere perfettamente ragione; e nel quale siete in grado di provare la vostra innocenza. Venite giudicati una volta: innocenti. Il fisco fa ricorso. Secondo giudizio: siete ancora innocenti. Il fisco fa ricorso ancora. Da quanto la causa è iniziata, sono passati più di dieci anni.
Il mercato nel quale si muove la vostra impresa è in veloce evoluzione. Ci sono imprese che non riescono a stare al passo con i tempi, e chiudono, o si riducono a posizioni marginali. La vostra impresa ha un’opportunità: può diventare partner di un’impresa molto “avanti”. Tuttavia, per entrare in quell’affare, dovete tirare fuori qualcosa come 100.000 euro. La vostra è un’azienda sana, sanissima, non è mai successo che dalla banca telefonassero per dirvi: “Dottore, c’è un problema”; ma 100.000 euro liquidi, sui due piedi, non li avete. Allora andate in banca.
In banca ricevono cortesemente, vi offrono il caffè, vi guardano il bilancio (che conoscono già benissimo), vi fanno tutte le domande del caso, eccetera, e a un certo punto salta fuori che avete quel contenzioso. Che era all’origine, mettiamo, su 20.000 euro; e poi, tra interessi e more e nn so che altro, è diventato il doppio: 40.000 euro.
“E’ un problema”, dice la banca.
“No”, dite voi. “Ho vinto nei primi due gradi di giudizio, vincerò anche nel terzo”.
“Non si sa mai”, dice la banca.
“Sono assolutamente sicuro di vincere”, dite voi.
“Quand’è che ci sarà la sentenza?”, dice la banca.
“Oh… Tra un anno e mezzo, probabilmente”, dite voi.
“Va bene”, dice allora la banca, sorridendo. “Facciamo così, dottore. Lei vinca la sua causa, poi torni, e le diamo subito i 100.000 euro”.
Un anno e mezzo dopo voi vincete la causa. L’affare di un anno e mezzo prima, nel frattempo, è sfumato. La vostra azienda ha già perso commesse. Avete già cominciato a licenziare. Eccetera.
Variante della storia:
“E’ un problema”, dice la banca.
“Non è un problema”, dite voi. “C’è questa sanatoria qui, vede? Ho tempo fino alla tal data. Basta che paghi il 5% di quanto chiesto dal fisco”.
“Perfetto”, dice la banca. “Ecco i 100.000 euro. Firmi qui”.
1 settembre 2010 alle 12:05
Caro Mozzi, complimenti per il suo pezzo. Ben documentato e attento. Ci vuole su questioni come questa. L’analisi dell’articolo di riferimento è impeccabile.
1 settembre 2010 alle 16:58
Per quanto mi riguarda io vorrei solo vedere due cose: che quando uno scrittore decide o no di cambiare casa editrice per problemi di coscienza lo facesse e basta, senza chiedere il permesso agli altri, annunciarlo sui giornali (“sì, no, però forse c’è un problema etico oppure anche no”), o presentarla come una scelta eroica.
E che lo scrittore medio la smettesse di fare l’intellettuale raffinato quando i comuni mortali lo vogliono avvicinare per poi proclamarsi comune mortale (“tengo famiglia”, non posso lasciare la case editrice X o Y) quando si tratta di fare delle scelte che hanno a che fare con la muneda. Generally speaking.
Il resto poi deriva solo da un gigantesco conflitto di interessi che tutti noi, io per primo, amiamo ignorare quando ci fa comodo e additare quando ci da fastidio.
3 settembre 2010 alle 23:53
Leggo solo ora. Voglio dirti che sei stato bravo e coraggioso.
4 settembre 2010 alle 00:00
Sotto il link “scrivono”, sono io. Scusatemi. Ho aperto da poco uno spazio wordpress (www.scrivono.wordpress.it ) e a volte succede.
Bart
4 settembre 2010 alle 18:51
Complimenti! grazie