Il paese che amo

by

di un anonimo

[Ricevo questi brani di discorso da una fonte più che sospetta, e volentieri li pubblico. gm]

Valdobiadene è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di agricoltore. Qui ho appreso la passione per il Veneto.

Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa valdobiadenese perché non voglio vivere in un paese egoista, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo al parassitismo burocratico del passato, politicamente ed economicamente fallimentare.

Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho affidato oggi stesso a mio figlio la vigna per per vent’anni ho coltivato. Rinuncio dunque al mio ruolo di vinaio e di agricoltore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.

So quel che non voglio e, insieme con i molti veneti che hanno comperato il mio vino in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze federaliste e a chilometro zero che sentono il dovere civile di offrire a Valdobiadene una alternativa credibile al governo dei professionisti della politica e degli ex democristiani.

La vecchia classe politica valdobiadenese è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dall’incapacità di affrontare il problema delle quote latte, lascia Valdobiadene impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio al federalismo. Mai come in questo momento il Veneto, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di dargli una mano, di far funzionare l’agricoltura. […]

La storia di Valdobiadene è a una svolta. Da agricoltore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato, vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politica senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di una Valdobiadene più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, protagonista nel Trevigiano e nel Veneto.

Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo valdobiadenese.

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26 Risposte to “Il paese che amo”

  1. Pinuccia Drago Says:

    Mi consenta… manca il sottofondo musicale. E la bandiera dell’Europa che sventola sui colli rigogliosi. L’abbiamo notato persino noi dall’Olanda!

  2. roberto Says:

    La politica ormai mi da’ la nausea. Ma Valdobbiadene non scrive con due ‘b’? E se no, da dove viene il Prosecco che ho bevuto in tutti questi anni?

  3. roberto Says:

    Correggo ‘non SI scrive’. Pardon.

  4. roberto Says:

    ………………………………………………………………………………………………

  5. vbinaghi Says:

    Però il prosecco è meglio delle reti Mediaset…

  6. Luca Massaro Says:

    Gentile signor Anonimo, anche la sua vigna (ora di suo figlio) è legata a “doppio filo” o sbaglio?

  7. Giulio Mozzi Says:

    Roberto, “Valdobbiadene” è la storpiatura del nome che fanno gli Taliani. “Valdobiadene” è valdobiadenese puro, come capirai seguendo il link che avevo dimenticato di inserire, e ora ho inserito, nell’articolo.

  8. roberto Says:

    Allora anche le etichette DOC sono sbagliate.

  9. roberto Says:

    Non c’entra nulla, ma lasciatemi un pizzico di nostalgia, penso che a questo punto della mia vita me la possiate concedere. Ho speso (bene o male, non so) trent’anni della mia vita lavorando come rappresentante di mobili, ed i miei ricordi più belli sono legati a quelle felici zone del Veneto dove andavo per lavoro. Cavalicco di Tavagnacco, Azzano Decimo, Valdobbiadene (anzi ValdoBiadene, pardon, i brutti vizi sono duri da togliere), Maniago, S. Daniele del Friuli (sempre nordest), Treviso, Padove, Este, e certamente ne dimentico tanti. Io sono meridionale, ed ho sempre pensato che se mi fossi trasferito, sarei andato in quelle zone: invece mi trovo nel Lazio, in provincia di Viterbo. Selavì! Non c’entra nulla. Saluti.

  10. roberto Says:

    @vbinaghi: è facile essere meglio delle reti mediaset, e poi il Prosecco dà allegria……………

  11. vbinaghi Says:

    Roberto, io nel viterbese ci sono stato in vacanza.
    E’ un posto meraviglioso (Orvieto, Civita, Bolsena, Montefiascone, e un bagno nelle fonti calde di Saturnia…) e soprattutto collinare, dalle colline si è più vicini al cielo.
    Se vuoi sapere cos’è la nostalgia del bello, prova a vivere a Busto Garolfo, provincia di Milano, dove la cosa più alta che c’è è una stramaledetta antenna per i cellulari che ti hanno piazzato a cinquanta metri da casa.

  12. enrico Says:

    considerazioncine:
    1) esiste una retorica politica berlusconiana “ben congegnata”
    2) esiste una fiction politica berlusconiano/leghista
    3) esiste un racconto: il passato (i parrucconi, i democristiani) è da “superare” verso il futuro nelle mani di un nuovo soggetto, un nuovo eroe finzionale: il “produttore”, l’imprenditore “che ama” il suo paese
    4) Già, l’amore! Il partito dell’amore!
    5) fatti, fatti non parole! Il governo del fare su scala nazionale e locale
    6) i berlusconcini “scendono in campo”, perché prima erano “nel campo”: e cosa facevano, “nel campo” così amorevolmente curato e poi affidato ai figliuoli? Lavoro lavoro lavoro! (mai che votassero!)
    7) La svolta (il futuro, la nuova era, l’alba dell’avvenire) è il federalismo: dal quale ci si aspetta… mirabilia?

    Nulla manca a questo copione finzional-politico… l’elemento del tempo (rottura e rinnovamento); i personaggi buoni e quelli cattivi (i profeti i parolai); la microbiografia dell’eroe con l’avvicendarsi delle generazioni… wow… e noi voi quale storia differente possiamo raccontare: forza valdobiadene di sinistra! Racconta! Talk!

  13. roberto Says:

    Caro Valter, quando vieni da queste parti mandami un messaggio, e ti porto a mangiare sul lago di Vico. Qui è bellissimo, ma i ricordi dell’età più verde hanno un sapore diverso. Ma ora dove vivi? A Busto Garolfo?

  14. mimmo Says:

    Valdobiadene in veneto si scrive con una bi come bira, che si scrive (e si pronunzia) con una bi e con una ere (ma si beve con la stessa bocca). Altrimenti si direbbe “una bbi”, come Brib(b)ano, ma così parlano i terroni, anche se emigrati da molti anni in Veneto.

  15. roberto Says:

    Pensavo che ormai l’intelligenza fosse arrivata anche negli strati più bassi della società, e quindi non si parlasse più di ‘terroni’ e ‘polentoni’, gli uni che raddoppiano certe consonanti, e gli altri che, per compensare, le tolgono. Chi ha ragione? Bah, non lo so. Quello che mi dispiace è che mi ero sbagliato. Ragazzi, l’ignoranza non ha patria, è dovunque!

  16. vbinaghi Says:

    @Roberto
    A Busto Garolfo, dove non si mangia il coregone alla piastra.

  17. roberto Says:

    @vbinaghi. Caro valter, con il coregone facciamo il ripieno dei ravioli, in salsa di coregone tricolore (almeno quella). E poi c’è il persico dorato e fritto. A proposito, io abito sui Monti Cimini. A parte l’antipasto di pesce crudo marinato. Ciao.
    P.S. Scusami, perche Valter e non Walter?

  18. mimmo Says:

    Credevo che da ormai anziano immigrato in Veneto, potessi riservarmi qualche battuta in proposito. Il problema delle consonanti che taluni raddoppiano e altri dimenticano è tuttora vivo, così come è viva la resistenza che la comunità di parlanti oppone all’omologazione della lingua, almeno quella orale. Per quella scritta nel bene e nel male per anni ci siamo sempre dovuti piegare alle perversioni delgli ufficiali di anagrafe per i nomi e i cognomi e all’a volte dubbia cultura dei funzionari dei ministeri fascisti che credo abbiano compitu l’ultima revisione dei toponimi. Valga su tutti l’esempio di una povera ormai cinquantenne a cui il padre non proprio allitterato voleva dare il nome di esotico di Katty e che grazie alla solerzia dell’alòlora impiegato all’anagrafe passerà ala storia come l’unica Cheti d’Italia, almeno per il momento.
    Pe chiudere il discorso sull’epiteto terrone, credo di non sentirmi apostrofare più così dalla prima calata di albanesi dei primi anni novanta, avevano trovato qualcuno più “negro” di me con cui prendersela.

  19. vbinaghi Says:

    @Roberto
    Perchè l’impiegato all’anagrafe era un nostalgico del regime. Come ben sai, durante il ventennio erano in disuso le lettere straniere. E così torniamo a bomba al vernacolo di Valdobiadene.

  20. roberto Says:

    @ mimmo. Di Mimmo a Bari, dove sono nato e vissuto fino a cinquantadue anni, ce ne sono tanti. E’ un nome che ho dato anche ad un personaggio di un mio romanzo (purtroppo NAP, Non Ancora Pubblicato, ma ho buone speranze). Invece terrone non usa più, e non l’ho certo tirato in ballo io. Saluti.

  21. roberto Says:

    @valter. Bellissimo il vernacolo di Valdobiadene, indicativo del carattere dei valdobiadenesi (si dice così? Giulio aiuto!), musicale e tenue nel suono, non aggressivo come (absit iniuria) il romanesco. Che nostalgìa!

  22. roberto Says:

    @mimmo. Perchè non Caterina?

  23. Feliciana Says:

    Nomi: io ho rischiato di chiamarmi Daiana (scritto così).

    … sono i piccoli sassi della vita, in cui si rischia di inciampare.

    Poi, forse quello che alla fine decide è spesso il Caso (come per Cheti 🙂

  24. Giulio Mozzi Says:

    Suvvia, Feliciana. Pensa che ho avuta una collega, tanti anni fa, che si chiamava Debora con l’acca; solo che l’acca non era nel posto giusto: Dhebora.

  25. mimmo Says:

    @roberto

    Non Carerina perché doveva essere Katty, ma pronunciato da unveneto ad un ufficiale di angrafe anch’esso veneto è diventato Cheti che in effetti è la corretta traslitterazione della pronuncia.

  26. mimmo Says:

    @roberto
    Caterina, ovviamente, non Carerina, ma quindici kilometri di trekking attorno alle tre cime di Lavaredo mi hanno un po’ annebbiato.

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