di Linnio Accorroni
[Questo articolo è apparso nel blog della rivista Stilos il 27 luglio 2010].
Un grido di dolore, più o meno, ma espresso con un tono piano e raziocinante, un j’accuse sostanzialmente disperato, ma lontano da quei toni enfatizzanti e da quella magniloquenza un po’ frusta che paiono una sorta di noblesse oblige quando si utilizzano dispositivi retorici di questo tipo.
L’intervento di Silvia Ballestra pubblicato sul primo numero di Alfabeta2 e intitolato un po’ anodinamente L’industria del libro di massa merita, vista la sincerità con la quale la scrittrice di I giorni della rotonda affronta problematiche di centrale rilievo, una qualche riflessione supplementare. Non è infatti l’ennesima riproposizione di un evergreen del dejà-vu, ovverosia il lamento di un autore che, riflettendo sulla propria condizione, constata l’eclisse di un modello culturale, soppiantato dall’avvento di nuove strategie editoriali-commerciali, tese essenzialmente all’abolizione tout court della Qualità e della Ricerca, felicemente prone ai diktat di un Dio Mercato sensibile esclusivamente alle leggi dell’audience e del consumo. L’intervento della Ballestra va meditato, oltre che per il fatto che la vox clamans è quella di una che, bene o male, da un trentennio circa bazzica il milieu editoriale, anche per la gran mole di spunti e di considerazioni che indicano nitidamente a che punto sia lo stato dell’arte (o, per meglio dire) del mercato in Italia.
29 luglio 2010 alle 14:41
Il progetto e’ questo. Una cinquantina di piccoli editori “di qualita’” si consorziano, disposti a cedere i loro titoli in c/vendita a librerie affiliate. Nessun libro Einaudi o Mondadori o Rizzoli o Longanesi o Feltrinelli sugli scaffali di queste librerie. Punti vendita di grandi dimensioni, posizionati nei grandi centri, possibilmente a ridosso dei loro diretti concorrenti (Feltrinelli, Mondadori eccetera). Librerie che in questo modo non spendono un euro per rifornirsi e che percio’ possono investire su grandi superfici di vendita, eventi di contorno, sul brand “qualita’”, e unitamente alle case editrici consorziate aprire un confronto con i lettori forti e deboli.
Gli editori versano 1.000 euro l’anno per l’istituzione di un premio letterario basato esclusivamente sulla qualita’ dell’opera, 50.000 euro al vincitore, che diventano forse 100.000 con eventuali donazioni o sponsorizzazioni.
Si dichiara il popolo maggiorenne e in grado di decifrare i vari segnali. E questo e’ solo un inizio.
29 luglio 2010 alle 22:04
molto bene, molto bene, ma iniziamo, io direi, a far scivolare dalle NOSTRE TESTE tutto questo passato che ci serra la gola e ci chiude gli occhi… dunque: cerchiamo in Italia un nuovo Calvino, o un nuovo Landolfi, o Manganelli… vede Linnio già questa impostazione è “terribile”… anche se fosse solo una metafora, un modo di dire, uno stereotipo giornalistico (e forse proprio per questo)… tutto deve essere tarato sui valori del passato, su chi ha già scritto, su chi ha già dato, sui morti – “non mi chiamate il nuovo Rodari” invocava in una intervista il bravissimo Piumini, autore di una delle più straordinarie fiabe del Novecento italiano (“Lo stralisco”). Qualcuno forse semplicemente si accorgerà, per esempio, che alcuni giovani scrittori italiani attingono a tradizioni che sono altro da quella nazionale: e per esempio, bussano alla porta del Grande Rinascimento Letterario americano dei nostri tempi… ma lettori critici gente di redazione non sanno leggerli… il nuovo Calvino? Non esiste! Nenache come metafora, come modo di dire, come stereotipo giornalistico – forza! Via i veli! Un piccolo sforzo! Salutate con amore la riva che si allontana… avventuratevi nel mare aperto…
30 luglio 2010 alle 15:09
“Con Horcynus Orca si vuole lanciare un best seller di qualità, e le mosse di marketing sono conseguenti”.
[…]
“Non potendo rivolgersi a tutti per la natura stessa dello stile di D’Arrigo, la Mondadori affianca, al massiccio sforzo pubblicitario, la solleticazione di numerose e tempestive recensioni, che non si limitano a discutere il testo, ma sottolineino il “caso” di un romanzo scritto in “ventiquattro anni””.
Cadioli A., “L’industria del romanzo”, Roma, Roma, 1981
31 luglio 2010 alle 11:48
vorrei che qualcuno mi spiegasse perché e percome il romanzo monstre di D’Arrigo assuma una importanza “fantasmatica” così forte, nel cosmo di alcuni dei commentatori di “vibrisse”… mi piacerebbe