di Fëdor Dostoevskij
[Da L’idiota, tr. Licia Brustolin, Garzanti 1990 (prima ed. 1869), pp. 379-380. Si tratta dei primi due capoversi, in forma di prologo umoristico, della terza parte del romanzo].
Ci si rammarica di continuo per il fatto che da noi mancano uomini pratici. Si dice che, per esempio, uomini politici ce ne sono a caterve, generali anche. In caso di bisogno, amministratori di vario genere ne puoi trovare a volontà, ma gente pratica non ce n’è. Per lo meno, tutti se ne lamentano. Si dice che addirittura il personale di alcune linee ferroviarie non sia affidabile e che non ci sia modo di organizzare un apparato amministrativo decente in nessuna compagnia di navigazione. Da una parte senti che dei vagoni si sono scontrati su qualche nuova linea oppure hanno deragliato su un ponte; altrove scrivono che per poco un treno non rimaneva a svernare in un campo innevato: un tragitto di appena poche ore e poi una sosta di cinque giorni nella neve. Si racconta che migliaia di pudy di merce marciscano per due, tre mesi nello stesso luogo in attesa di spedizione e che (c’è proprio da non crederci) un amministratore, o meglio un capostazione, ad un commesso di bottega che richiedeva la spedizione delle proprie merci per tutta risposta mollò due ceffoni, e si permise anche di giustificare il suo atto amministrativo dicendo che “si era un tantino accalorato”. Sembra che nello Stato ci siano tanti di quegli uffici da perdere la testa; tutti hanno prestato servizio, tutti prestano servizio, tutti intendono prestar servizio, e come non creare da cotanto materiale umano un’impeccabile compagnia di navigazione?
C’è chi dà a questa domanda una risposta estremamente semplice, tanto semplice da sembrare inverosimile. E’ vero, si dice, tutti da noi hanno prestato o prestano servizio, e sono già due secoli che si procede imitando i migliori modelli tedeschi, dai quadrisavoli ai pronipoti, ma sono proprio coloro che prestano servizio a mancare del tutto di senso pratico. Si era arrivati a un punto tale che l’astrattezza e la mancanza di conoscenze pratiche erano considerate dagli stessi impiegati come le più auspicabili e raccomandabili virtù. Comunque, ci siamo inutilmente dilungati a parlare di impiegati, mentre intendevamo parlare di gente pratica. A questo proposito non ci sono dubbi, la timidezza e la totale mancanza di iniziativa autonoma sono sempre state considerate il segno distintivo principale, il più infallibile dell’uomo pratico, e questa è tuttora opinione corrente. Ma perché gettare la colpa solo su noi stessi e perché mai considerare quest’opinione una colpa? Ovunque, nel corso dei secoli, la mancanza di originalità è stata stimata la prima qualità e la migliore garanzia dell’uomo assennato, pratico e dotato di senso degli affari, per lo meno il novantanove per cento delle persone (dico per lo meno) l’hanno pensata così, e solo uno su cento, seppure, ha avuto ed ha un’opinione diversa. […]
18 febbraio 2010 alle 19:41
speriamo almeno di essere tra quelli con l’opinione diversa.