di giuliomozzi
Dentro la Repubblica delle lettere si fa un gran parlare, in questi giorni, di una certa faccenda. La faccenda è che Paolo Nori, scrittore riputato di sinistra, ha cominciato a scrivere per Libero, quotidiano indubbiamente di destra. Dentro la Repubblica delle lettere la faccenda ha fatto un certo scandalo: il quotidiano il manifesto, addirittura, ci ha dedicato una pagina intera un giorno, una pagina intera un altro, e una terza pagina intera quest’oggi. L’aspetto più divertente di questa faccenda è che Paolo Nori, avendo discusso privatamente di questa sua scelta con Andrea Cortellessa, critico letterario riputato anch’esso di sinistra, ha proposto allo stesso Cortellessa di fare un dibattito pubblico – che si è fatto, a Roma, alla libreria Giufà, il 19 gennaio scorso – e il quotidiano Libero, quello sul quale ha appunto cominciato a scrivere Paolo Nori, ha presentato il dibattito come “una cialtronesca iniziativa nella quale si voleva mettere al rogo Paolo Nori”: dando così a intendere che Paolo Nori, scrittore di sinistra collaboratore dello stesso Libero, sarebbe uno che mette su un’iniziativa cialtronesca per mettersi sul rogo da solo. La cosa interessante è che dopo questa pesante opera di disinformazione fatta da Libero sul conto di Paolo Nori, Paolo Nori – se ho ben capito – non ha cambiato la sua decisione di scrivere in Libero. A questo punto mi vien da pensare che se uno scrittore di sinistra decide di scrivere su Libero, e insiste nella decisione anche quando Libero fa disinformazione su di lui, le possibilità sono tre: o questo scrittore è un santo, o è più furbo che santo, o è più coglione che furbo. Trattandosi di Paolo Nori, propendo per la prima opzione, e gli faccio i miei migliori auguri per il suo viaggio in partibus infidelium.Un articolo di Paolo Nori su questa faccenda. Le pagine del manifesto su questa faccenda. Un articolo di Andrea Inglese in Nazione indiana su questa faccenda. Argomenti connessi: Pubblicare per Berlusconi?, di Helena Janeczek ; La scomparsa dell’alterità, di Tiziano Scarpa.
Tag: Andrea Cortellessa, Paolo Nori
28 gennaio 2010 alle 16:08
Paolo Nori fa bene a scrivere su Libero. Di più: fa benissimo.
Spero lo paghino profumatamente.
Paolo Nori dovrebbe essere LIBERO di scrivere dove cazzo gli pare, anche sul rotolo di carta igienica del Premier (nel caso in cui lo ritenesse di suo gradimento).
E i commentatori, la critica, i recensori, INVECE, doverebbero scopare un po’ di più.
Evviva l’intelligenza. Abbasso la stupidità.
28 gennaio 2010 alle 16:24
L’idea che tutto si riduca a un po’ di sesso in più è ridicola, Giovanni.
28 gennaio 2010 alle 16:24
io Nori non lo conosco, e perciò può essere benissimo che sia un santo.
E può scrivere un discorso sulla dittatura in cui dice così:
«Tutti noi, prima di tutto, abbiamo avuto e abbiamo dei genitori, nel mio caso, dei nonni, nel vostro, che dentro la dittatura ci sono nati, e che pensavano che fosse una cosa giusta, e normale, ma per forza.
Mi viene in mente quella storiella raccontata dallo scrittore americano Foster Wallace ai suoi studenti, che c’è un pesce vecchio che passa di fianco a due pesci giovani e che gli dice Ciao, com’è l’acqua? E questi si girano, lo guardano, gli dicono L’acqua? Che acqua?
E questa cosa, forse, vuol dire che rendersi conto del posto in cui siamo è difficile, e probabilmente, se qualcuno avesse chiesto ai miei genitori, o ai vostri nonni, quando loro erano piccoli, Com’è vivere in una dittatura? Loro probabilmene avrebbero risposto Dittatura? Che dittatura?»
perciò forse è un santo così santo, così perso nella contemplazione di dio, anche se è ateo, come dice, che gli sono sfuggite alcune cose che magari per lui, nella sua astratta santità sono dettagli, ma per i nonni e i genitori di qualcun altro, no.
E forse non solo è un santo, è anche un giovane pesce.
28 gennaio 2010 alle 17:39
Paolo Nori è più Libero di Libero.
28 gennaio 2010 alle 17:59
Non conosco Paolo Nori, ma se è riuscito a prendersi gli insulti da sinistra (e ci vuole poco) e diffamazioni da destra (e ci vuole meno) contemporaneamente (c’è solo una possibilità) allora è veramente una persona libera (appunto!).
Gli faccio i miei migliori auguri, l’Italia ha bisogno di persone così, sono le persone così che non hanno bisogno degli Italiani.
28 gennaio 2010 alle 18:44
Giulio, ultimamente distribuisci più patenti di santità del papa.
Non è che ci stai facendo un pensierino (al soglio pontificio, intendo)?
In tutta questa faccenda di cialtronesco c’è una serie di cose che tutti sanno e nessuno dice apertamente:
1) che le pagine culturali dei giornali di sinistra sono bloccate da conventicole dove ciò che conta non è tanto l’essere ma l’esser stati (de sinistra) mentre i giornali di destra pescano dove capita, anche perchè per loro la pagina culturale non ha un valore identitario ma ornamentale
2) che in Italia di scrittura non si campa a meno che si diventi un caso editoriale (Camilleri, Faletti, Moccia, Saviano)
3) che chi vuol vivere di scrittura deve oltre ai libri esercitare attività collaterali (traduzioni, periodici o quotidiani, corsi di scrittura)
4) ergo, molti scrittori de sinistra hanno pubblicato, pubblicano e pubblicheranno su giornali di destra, senza particolari scandali se non quelli creati con quel misto di esibizionismo e perfidia che caratterizza ormai gli ambienti di sinistra, come sempre quando la cattiva coscienza è di casa ma la si allontana da sè proiettandola sul vicino (come un tempo l’accusa di “revisionismo” quando la sinistra era cosa politica e non solo stanco costume)
Su Nori: ho letto un suo solo libro, mi è sembrato uno di quegli scrittori che puntano più al cabaret esistenziale che a sondare l’anima o addirittura la storia.
I maggiori cabarettisti italiani sono tutti su Zelig, ciò lavorano per Berlusconi. Perchè lui non dovrebbe?
28 gennaio 2010 alle 19:29
Ho letto qualche libro di Nori e l’ho conosciuto di persona. Propendo per una quarta ipotesi: è un corleonese della nicchia. Sta bene da Littorio Feltri. Così lo leggeranno anche i non emiliani.
28 gennaio 2010 alle 20:12
beh no, non è un cabarettista, è un ottimo scrittore.
28 gennaio 2010 alle 20:40
La vicenda di Libero/Nori mi fa venire in mente delle analogie (con risvolti talvolta speculari) con quella che vide per protagonisti Piero Ottone e Pierpaolo Pasolini al “Corriere della Sera” (rispettivamente nelle vesti di direttore e collaboratore).
Nel 1972, alla direzione del Corsera, vi fu l’avvicendamento tra Spadolini e Piero Ottone.
La proprietà (ed in particolare Giulia Maria Crespi) si era gradualmente disamorata della direzione Spadolini e, nel tentativo di dare una sterzata alla direzione del giornale (ossia nel tentativo di smuovere il Corriere dalla linea ormani consolidata – di tradizione moderata-conservatrice -), chiamò alla guida dello stesso Piero Ottone, repubblicano, “liberal”, straordinario professionista e formidabile innovatore.
I lettori più intransigenti e conservatori vissero la virata di Via Solferino come un affronto, tacciando Ottone di “filocomunismo”. Montanelli, di li a poco, abbandonò il quotidiano e varò il progetto “Il Giornale”.
La colpa più grande attribuita ad Ottone fu quella di essersi aperto al sindacato. La sua iniziativa più RADICALE quella di avere ospitato sulle pagine del Corsera gli interventi di Pierpaolo Pasolini (con esiti felicissimi tra cui il celeberrimo ” io conosco tutti i nomi” del 1974 e gli articoli in cui P. elaborò il mito del “palazzo”).
28 gennaio 2010 alle 21:06
I paralleli Pasolini/Nori o Ottone/Belpietro o Corriere/Libero sono insostenibili, veri falsi ideologici, storici, culturali.
Ma ormai lo ha detto inutilmente tanta gente che forse fa semplicemente comodo continuare a proporli.
28 gennaio 2010 alle 21:12
Alcor: i PARALLELI che citi (P/N, O/B, C/L) li hai visti SOLO tu.
Io ho detto (e scritto) di intravedere “delle analogie (con risvolti talvolta speculari)” tra QUESTA vicenda e QUELLA.
28 gennaio 2010 alle 21:57
hai ragione, correggo:
le analogie (con risvolti talvolta speculari) tra… e tra… sono insostenibili ecc. ecc.
28 gennaio 2010 alle 22:08
Per favore, basta gossip e steccati: giudichiamo cosa scrive la gente, non DOVE scrive. Forse che Pittalis è un giornalista provinciale e destrorso, dato che scrive per il Gazzettino? E non si dovrebbe pubblicare per Mondadori ed Einaudi e non si dovrebbero fare film per Medusa e non si dovrebbe prender casa da Caltagirone e non si dovrebbero mangiare i baci Perugina della Nestlè ?
Che mondo penitenziale e bacchettone.
28 gennaio 2010 alle 23:15
Quante storie! Che provinciali siamo! Viva la libertà! Viva il Popolo della Libertà (sottomesso al suo Leader). Mi chiedo perché Primo Levi non abbia mai scritto su “La difesa della razza”. Che meschino!
28 gennaio 2010 alle 23:34
Non mi va di essere pedante, nè di portare via spazio ad altri in questa discussione. Detesto le diatribe stucchevoli tipo la recente Candida-Angelini.
Ma Alcor, caspita, se le parole hanno ancora un senso:
“Analogia: Rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti ed oggetti, tale da far dedurre mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti o gli oggetti fisici”.
Ergo => Una cosa per definizione COSì soggettiva come l’analogia non può essere definita insostenibile.
Amen.
28 gennaio 2010 alle 23:35
PS: Devoto-Oli, Edizione 2000-2001, Le Monnier.
29 gennaio 2010 alle 04:18
Beh, per me che Nori scriva su Libero o su qualche altra testata importante, non ha importanza, soprattutto se gli è stata offerta la possibilità o l’opportunità di scrivere. L’importante è che non si venda, ossia che non tradisca la sua coscienza, ovvero che non ceda alle pressioni altrui. Certo non sarà facile, ma se è un santo…
29 gennaio 2010 alle 06:16
Una cosa da ricordare: chi lavora per il padrone di “Libero”, lavora per il padrone de “Il Riformista” – visto che si tratta dello stesso padrone.
29 gennaio 2010 alle 07:07
…oh, finalmente un editore “puro”.
Credevo li avesse in carico solo il WWF.
29 gennaio 2010 alle 09:58
Questa, tra quelle che ho letto, è la prima cosa davvero argomentata detta a Paolo Nori, è un discorso che regge, va molto più in profondità dei veti di tantissimi commentatori, è un viatico – perché mi pare evidente che Giulio invece che stracciarsi le vesti, vuole mettere in guardia Nori senza arrogarsi il diritto di decidere cose deve fare, e senza sentirsi moralmente superiore.
29 gennaio 2010 alle 11:12
@barbieri
non so se chi ha discusso in questi giorni sulla collaborazione a un giornale che, indipendentemente dalla proprietà, usa un linguaggio e metodi che io mi sento di chiamare fascisti senza distinguo alcuno pensava di poter imporre veti.
Si vieta quello che si può vietare.
Qua, poco.
E non so se si sentiva moralmente superiore.
Dire come la si pensa, anche criticamente, è l’unica forma di partecipazione che rimane al cittadino che vede mutare il paese e i suoi connazionali. Bisogna tacere, per non fare l’enorme errore di gusto di sentirsi moralmente superiori?
O non è più onorevole, per chi si sente cittadino, ricordare alcune cose?
Poi l’altro può anche non ascoltare, come mi pare che succeda e succederà in questo caso.
Ma opporre il silenzio ogni volta, è pericoloso, a mio avviso.
Avrò troppa memoria del passato? farò parte di una generazione ormai fuori uso? Mi ricorderò troppo bene di persone che hanno saputo dire molti no in condizioni molto più difficili?
E’ possibile, pazienza.
Tra l’altro la discussione è servita anche a chiarire alcuni equivoci, anch’io, come molti, e chissà perché, mi ero fatta l’idea che Nori fosse uno scrittore di sinistra, forse per le sue partecipazioni alle manifestazioni del PD, lui stesso ha detto che non lo è, è ovvio che non esprimerei più i miei giudizi con questo retro pensiero, anche se continuerei a esprimerli con il retro pensiero che un cittadino è sempre un cittadino e, di destra di centro o di sinistra che sia, deve tenere gli occhi aperti di fronte a certi slittamenti prima di tutto nel linguaggio (dei giornali, anche, che fanno l’opinione pubblica) e poi nei fatti, che si possono produrre nel paese.
Con tutto ciò, ribadisco, Nori resta un ottimo scrittore e continuo a intervenire solo perché il suo caso mi sembra il sintomo di una malattia più diffusa.
29 gennaio 2010 alle 12:36
Personalmente ho trovata eccessiva l’attenzione del Manifesto. Ovviamente l’episodio tocca nervi scoperti. Mi stupisce comunque tanta liberalità nei commenti qui presenti. Nessuno che ricordi che Libero non è solo un giornale di destra (un normale giornale di destra è Il Sole, è il Corriere, è persino Il Giornale certe volte (o almeno lo era)). Libero è semplicemente un giornale ripugnante, con titoli ripugnanti, con discorsi ripugnanti. Palo Nori scrive su un giornale ripugnante. Tanti auguri.
29 gennaio 2010 alle 15:28
@ Alcor “Bisogna tacere, per non fare l’enorme errore di gusto di sentirsi moralmente superiori?”
Assolutamente no. Mozzi non ha taciuto, secondo me ha scritto nel modo giusto.
@ Mancassola
Verissimo, Libero è quel che dici.
Aggiungo che a me causano ripugnanza anche i giornali di “sinistra” che non cercano o non pagano Paolo Nori per fare il suo lavoro, cioè scrivere.
Quindi riprendo la tua frase dal mio punto di vista:
Palo Nori scrive su un giornale ripugnante di destra perché, a differenza dei giornali ripugnanti di sinistra, il giornale ripugnante di destra lo ha messo nella condizione di fare il suo lavoro.
Dopodiché dovremmo chiederci: perché ovunque viene criticato Nori invece dei giornali di sinistra?
Ma questa domanda, chissà perché, non si legge.
29 gennaio 2010 alle 15:41
@ Alcor
“Tra l’altro la discussione è servita anche a chiarire alcuni equivoci, anch’io, come molti, e chissà perché, mi ero fatta l’idea che Nori fosse uno scrittore di sinistra […]”
Per come lo conosco è semplicemente un uomo che cerca di non tapparsi gli occhi davanti alla stupidità, cattiveria, arroganza di certe persone sedicenti “di sinistra”.
29 gennaio 2010 alle 16:14
Marco Mancassola ha centrato la questione. Io stimo enormemente Nori come scrittore (certi suoi periodi mi scatenano quasi venerazione) e a Nori chiederei: “Cosa pensi del giornale Libero?”.
Dalla risposta potrebbero sciogliersi facilmente molti nodi.
Personalmente sapere che Nori scriva per quel giornalaccio mi mette profonda tristezza.
29 gennaio 2010 alle 17:13
Sono d’accordo con Mancassola e Miozzi: il contenitore in cui Nori espone i suoi pezzi conta almeno tanto quanto il contenuto dei pezzi stessi.
E’ come se un (supposto) grande attore facesse un cameo in Giovannona coscialunga o L’esorciccio (sto citando…).
E allora va benissimo che Nori scriva su un tale giornale, ma con onestà risonosca il compromesso: devo vivere anch’io, e quindi scrivo su un tale giornale (secondo me violento e volgare).
Ognuno di noi li fa, io li faccio: la vita costringe tutti, chi più e chi meno, a fare compromessi. Sarebbe bello però non fare pantomime patetiche (accusando sinistre varie e il mondo tutto) per nasconderli.
29 gennaio 2010 alle 19:01
@ barbieri
andrea, centri bene il doppio punto della questione.
29 gennaio 2010 alle 19:22
come dice Mancassola il problema è che Libero è un giornale razzista omofobo e grottescamente fazioso, in una parola non democratico;
dire solo che è un giornale di destra, mi sembra che alteri i termini della questione;
non c’è niente di male a scrivere per un giornale di destra, scrivere per un giornale non democratico vuole invece dire collaborare con le politiche non democratiche, di una destra non democratica, che si stanno affermando in Italia, e che quei giornali sostengono;
non vedo cosa c’entri il fatto che molti giornali di sinistra, che con tutti i liniti sono e restano democratici, paghino o meno i collaboratori
29 gennaio 2010 alle 21:09
La domanda vera sarebbe: fino a che punto essere di sinistra rappresenta un’alternativa esistenziale e culturale all’andazzo di questo sistema/paese e fino a che punto invece è solo una categoria residuale, che nasconde un comportamento sostanzialmente consensuale al costume e alla cultura diffusi?
Prendendo sul serio questa domanda un sacco di verginelle smetterebbero di gridare allo stupro dei sacri valori (di un tempo che fu e ormai non è più)
E la si farebbe anche finita con questa terminologia stucchevole, che infatti chi ha meno di trent’anni nemmeno più capisce.
29 gennaio 2010 alle 23:27
Questo Nori non lo conosco però c’è un fatto: col cavolo che testate di sx ingaggerebbero ‘intellettuali’ di dx, e neppure ‘artisti’. Ora, posto che la letteratura sia un’arte (lo è) e che sia prodotto dell’intelletto, la scelta di Libero dimostra mentalità aperta ed evoluta dato che l’arte, da qualsiasi lato provenga, destro o sinistro, se è bella, positiva, costruttiva, esemplare, ecc…va riconosciuta, incoraggiata, accolta. La scelta di questo Nori non posso giudicarla perché, ripeto, di lui non ne so nulla. Magari è uno che fa propaganda all’ ‘equo e solidale’ e per questo viene considerato di sx. Come se quelli di centro-dx non potessero apprezzare l’equo e solidale. Eppure tanti sinistri, forse tutti, la pensano così, che chi non la pensa come loro sia di un’altra razza.
30 gennaio 2010 alle 12:17
@Vella:
E’ vero che un contenitore conta quanto il contenuto. Ma un contenitore come un quotidiano, è fatto prima di tutto dal suo contenuto. Quindi Libero, giornale che anche io trovo ripugnante, ora che ci scrive Paolo Nori, non è più ripugnante al 100%, ma “solo” al 98% (sono percentuali a casaccio, faccio per dire). Se la gente che compra un giornale ripugnante come Libero ha anche la possibilità di leggere quello che scrive Nori, per me è un bene. L’importante è che Nori riesca a mantenere la sua autonomia, e non è detto che ci riesca. Questo secondo me è il problema.
30 gennaio 2010 alle 14:04
@valter, anche tu con le categorie residuali, io mi chiedo cosa ha voluto dire sinistra per voi.
Per me certamente non “sacri valori” astratti e retorici, ma realtà, economiche, sociali, culturali.
I partiti del centro sinistra sono capaci di rappresentare queste nuove realtà? (nuove ma sempre vecchie, perché sempre fatte di chi ha e chi non ha: potere, sicurezza sociale, sicurezza economica, libertà, rispetto per la persona, accesso all’informazione, sempre le vecchie residuali vecchie cose) non proprio, in questo momento, si deve ripensare e magari farsi operare di cataratta.
Ma la sinistra sarà sempre quella forza, anche nei suoi momenti bui, per la quale è più forte l’esigenza di dar voce e anche risposte a quelli che le sicurezze di cui sopra non le hanno.
Cos’altro dovrebbe voler dire, sinistra?
Poi tu, senza offesa, e lo sai, sei un gran reazionario, ai miei occhi, ma questa è un’altra storia, puoi essere reazionario anche senza dire che l’idea di sinistra è “residuale”.
30 gennaio 2010 alle 14:07
manca un pezzo: realtà che sono parzialmente mutate e sembrano nuove.
ma il grosso credo che si capisca
30 gennaio 2010 alle 14:26
Io ho pensato che siccome le consorterie dei giornali di sinistra a Nori non se lo cacano proprio allora Nori provocatoriamente scrive su quella deiezione quotidiana che è Libero così magari qualche giornale tipo il Manifesto gli dice: “Non puoi cadere così in basso Nori, ci hanno detto che sei di sinistra, conosci il russo e pubblichi per Feltrinelli, piuttosto ti facciamo scrivere noi”. Così Nori facendo parlare di sè (non coi cabaret o i libri dove racconta quante volte al giorno la figlioletta ha fatto la popò) mediante canali meno intasati, riesce a raccimolare un po’ di grano per campare di scrittura senza perdere la dignità.
30 gennaio 2010 alle 15:29
io credo le cose, i versanti, le posizioni, sian due:
1- si avverte un pericolo democratico serio, una deriva palesemente razzista, omofoba, conservatrice, polpulista ecc.; capofila di questa deriva è “certa” stampa; collaborare con questa stampa, vorrebbe dire avallare la deriva.
2- oppure: la deriva è già in atto, e risulta evidente leggendo quasi tutti i giornali italiani, guardando tutte le reti televisive ecc.
per cui collaborare con quasi tutti i giornali italiani significherebbe avallare la deriva commerciale, populista e antidemocratica. cooperare, in buona sostanza, con un Sistema che si affaccia allegramente sul baratro della propria bruttezza, e ne sorride, soddisfatto.
io propendo per la seconda ipotesi, a costo di esser tacciato di qualunquismo, o di vaghezza.
troppo semplice individuare un solo nemico, secondo me.
quando si invita a non pubblicare e a non lavorare per Mondadori, io vorrei davvero chiedere: e allora per chi? chi sono i buoni?
e, tornando ai giornali, quali sono, oggi, in Italia, delle “buone” pagine cultura? quali sono dei buoni giornali? quali sarebbero, insomma, i giornali per i quali scrivere – che offrono lo spazio e l’attenzione che dovrebbero spettare alla cultura, alla narrativa, alla letteratura, alla poesia e alle idee in senso lato?
e se anche esistono giornali e case editrici che si oppongono a tutto quanto scrivevo più su: quanti autori, quanti libri, quante voci possono avere spazio in queste oasi di bellezza e cultura?
30 gennaio 2010 alle 18:13
@Alcor
“Reazionario” = categoria residuale.
Una volta chi difendeva il passato rispetto al progressismo era detto reazionario. Oggi chi difende la terra e l’ambiente rispetto alla mitologia dello sviluppo è reazionario o no? Ma lo vedi che sono parole che hanno smesso di significare quello che significavano?
“Sinistra”.
Siccome sarò anche reazionario ma non credo alle idee platoniche che dondolano nell’iperuranio, per me la sinistra esiste se ci sono uomini e donne e comportamenti che risultano realmente alternativi a questo sistema/paese. Ora, non posso dire di conoscere l’universo mondo, ma nelle situazioni e negli ambienti che conosco abbastanza bene (scuola, università, editoria, politica) dove la gente di sinistra è egemone, io non solo non vedo questa alternativa, ma addirittura vedo l’occupazione sistematica, il settarismo, il clientelismo, il mercimonio e il sotterfugio praticati più intensamente e in modo peggiorativo (perchè negati da un ostinato senso di superiorità intellettuale e morale)
La redazione Einaudi è meno esclusiva in senso ideologico delle Edizioni Paoline?
Lotta Continua era meno violenta e volgare di Libero?
Repubblica è meno asservita al padrone di quanto lo sia il Giornale?
Nazione Indiana è meno settaria di una rivista ciellina?
Gli amministratori diessini sono meno legati agli amici degli amici di quelli forzitalioti?
Attenzione: la mia conclusione non è che tutto è uguale a tutto e quindi tutto è merda, ma che si tornino a giudicare gli uomini per quello che fanno, e si smetta di attribuirgli patenti di credito per quello che dicono di essere o addirittura l’insegna che fin troppo facilmente esibiscono. Quando a essere di sinistra c’era da prenderle (almeno in casa mia) e da rimetterci, io ero comunista. Quando essere di sinistra ha significato spartirsi quote di potere (e nella cultura quasi tutto) io ho smesso di esserlo, non per passare dall’altra parte, ma per essere un uomo libero.
Sei una donna di grande cultura: devo ricordarti che in Italia da Iacopo da Lentini in poi l’intellettuale di professione è sempre stato un chierico o un cortigiano?
30 gennaio 2010 alle 19:36
@valter
ma chi lo stabilisce che è una categoria residuale?
E anche, prima di liquidare la parola e la sua storia, e con la parola la categoria, bisognerà trovarne una nuova.
Perché altrimenti il «tutto uguale» si impone da solo.
Chi «difende la terra e l’ambiente rispetto alla mitologia dello sviluppo» bisogna vedere come lo fa e quale ideologia sta dietro a questa difesa, quanto di difendibile e giusto e quanto di ottuso c’è in questa frase piuttosto generica (anche la parola ideologia, demonizziamola pure, ma cerchiamo di vedere fino a che punto siamo gestiti da ideologie magari confuse e tuttavia operanti, tortuosamente, anche oggi).
Che nella scuola, università, editoria, politica la gente di sinistra sia egemone è, scusami, una palla.
Gli “ambienti” quando togli i nomi e i cognomi, si adattano allo spirito del tempo, se sono di destra mentre lo spirito del tempo va a sinistra si mascherano, e lo stesso fanno nel caso opposto. Perciò voglio la lista delle case editrici di sinistra egemoni, dei baroni di sinistra egemoni e così via.
Perché altrimenti è tutto un sentito dire e soprattutto l’allargamento della propria singola, minuta esperienza all’universo mondo.
La redazione di Einaudi è esclusiva da un punto di vista ideologico?
Sei sicuro? O i discorsi che fai si riferiscono all’Einaudi d’antan? Che tra l’altro era qualcosa di più complesso.
Ma visto che tiri fuori Lotta Continua, morta e stramorta, di cosa stiamo parlando?
Di oggi o di ieri?
Repubblica è asservita al padrone, va bene, ma è il padrone di Repubblica, non il padrone del paese.
Nazione Indiana è settaria? Anche qui, fai i nomi. Sono tutti settari? O parli di una parte dei suoi commentatori?
Quanto alla politica, se davvero la sinistra fosse egemone, sarebbe al potere. O pensi che possa essere egemone stando all’opposizione nel paese e tra un po’ anche nella maggior parte delle regioni italiane?
Gli amministratori diessini sono meno legati agli amici degli amici di quelli forzitalioti? Va bene, sono la fotocopia gli uni degli altri.
Poi però mi devi spiegare che senso ha chiudere scrivendo: «Attenzione: la mia conclusione non è che tutto è uguale a tutto e quindi tutto è merda, ma che si tornino a giudicare gli uomini per quello che fanno».
Questi tuoi discorsi così generali e anche generici, dove fai di tutte l’erbe un fascio, sono la contestazione palese delle stesse cose che dici.
Io penso che tu sia reazionario perché opponi al caos e alla decadenza il tentativo, appassionato, di cercare un ordine antico, fondato su un’antica tradizione.
Non mi scandalizzo mica.
Se non ti piace la parola, forniscimene un’altra, migliore.
Posso anche darti una mano a definirti per negazione, i tempi berlusconiani non sono reazionari, sono, ahimè, rivoluzionari, per molti versi, e i tempi leghisti, che ci piaccia o no, ancora più rivoluzionari, davvero nuovi. E nuovi soprattutto perché intrecciano questa obiettiva novità a cose davvero vecchie e già viste e non troppi decenni fa.
30 gennaio 2010 alle 19:55
@Alcor
Discorsi già fatti e strafatti tra noi due, inutile ripeterli qui.
Chi legge giudicherà,
Io sarò reazionario, ma tu fai l’indiana.
I nomi?
Mi ricorda una barzelletta scolastica:
“Pierino, quanti garibaldini partirono da Quarto?”
“Mille, prof”
“I nomi, Pierino. I nomi!”
30 gennaio 2010 alle 20:00
@Valter
hai ragione, rompiamo inutilmente le scatole agli altri, i nomi però fammeli, per mail, e li spulciamo uno per uno.
30 gennaio 2010 alle 22:10
Quoto tutto quello che dice Binaghi a proposito della “Sinistra”.
31 gennaio 2010 alle 00:31
Condivido quanto scrive Enpi,
“la deriva è già in atto, e risulta evidente leggendo quasi tutti i giornali italiani, guardando tutte le reti televisive ecc.”
Non è qualunquistico dire che se Libero fa schifo, il resto della stampa, specie quella ancora considerata di “sinistra” non è che stia messa molto meglio.
Ci si chiede quali siano le “buone” pagine culturali e quali siano i “buoni giornali”. Sulle pagine culturali è ormai sentimento comune che siano tutte omologate al più basso livello, prive di slanci di ricerca e di volontà di battere strade nuove.
Tuttavia non ho ancora trovato, qui o altrove, un solo commentatore che abbia il coraggio di dire che anche sul versante opposto a Libero si sta messi maluccio.
Solo qualche timido accenno, e, per carità, senza fare mai i nomi dei giornali in questione, senza andare mai su un caso specifico, non fosse mai, urtare delicate sensibilità di progresso!
Al contrario, con molta disinvoltura e senza motivazione alcuna, ci si lancia a elencare queli che sarebbero i giornali di destra.
Ad esempio, per Mancassola il Corriere della Sera e Il Sole sono giornali di destra. E morta lì. Senza se e senza ma. E soprattutto senza spiegazioni.
Tralascio il Corriere perchè lo leggo raramente. Il Sole invece lo ricevo tutti i giorni nell’ufficio in cui lavoro. Nelle pause lo leggo volentieri. Bene, io non so a quale destra Mancassola pensi, ma posso assicurare che l’impostazione del Sole è quanto mai lontana dalle varie definizioni classiche della destra. A parte che il direttore è un certo Riotta, che magari non sarà simpatico a tutti i settori della c.d. sinistra, ma non è certo un uomo di destra, nè i suoi editoriali lo sono.
Vero che l’azionista del Sole è Confindustria, ma qualcuno pensa ingenuamente che Confindustria sia di destra? Ci sono industriali schierati con il centro-destra, altri con il centro-sinistra, Confindustria ha trattato tanto con il centro-destra quanto con il centro-sinistra. Quanto a Berlusconi, tranne l’ultimissimo periodo, ha sempre avuto con Confindustria un rapporto a dir poco problematico.
Per cortesia, non cediamo alla voluttà dell’assegnazione patentini, o perlomeno, se proprio volgiamo farlo, facciamolo anche sulla sponda (più o meno) opposta.
Per dire, sarei curioso di leggere il patentino assegnato da Mancassola a Repubblica.
31 gennaio 2010 alle 11:47
Io mi domando per quale ragione uno scrittore debba scrivere, venendo pagato, per un giornale.
Mi domando che lavoro faccia.
31 gennaio 2010 alle 12:16
@ Barbieri:
Scrivi che «Paolo Nori scrive su un giornale ripugnante di destra perché, a differenza dei giornali ripugnanti di sinistra, il giornale ripugnante di destra lo ha messo nella condizione di fare il suo lavoro».
Dici «il suo lavoro».
Qual è il lavoro di Nori?
Commentare sui giornali è un lavoro?
Quaranta o cinquanta righe alla settimana o anche al giorno sono un lavoro intellettuale che va retribuito?
31 gennaio 2010 alle 20:32
io invece sarei curioso di sapere che cosa ne pensano i suoi amici della “scuola emiliana”: Cornia, Cavazzoni, Bellocchio, Celati, Benati ecc.
1 febbraio 2010 alle 09:09
fede, senza rubare la risposta ad andrea barbieri, posso provare io a “spacchettare” la tua domanda?
chiedo perché trovo sempre irritante quando uno risponde per un altro.
1 febbraio 2010 alle 10:02
Il lavoro di Nori è scrivere. Scrivere un libro, un racconto, una recensione, un articolo, tradurre, insegnare la scrittura, parlare di libri in pubblico, fare il consulente editoriale o l’editor secondo me sono tutte cose che rientrano nel mestiere di scrittore, richiedono una professionalità, hanno un costo per chi le fa, richiedono un lavoro, sono utili alla società, e devono essere retribuite.
Poi se Giorgio Fontana ti risponde a me fa piacere, perché lui scrive.
1 febbraio 2010 alle 10:21
Mi ricordo quando Moresco scriveva per Fernadel. Disse, scrivo su questa rivista perché me l’ha chiesto. infatti nessun giornale, nessuna rivista, nemmeno quelle di ‘sinistra’, fino a quel momento lo aveva cercato (non che sia cambiata molto la situazione). Moresco è solo un esempio. Potrei allo stesso modo chiedere perché non posso leggere Giulio Mozzi sulle pagine culturali di Repubblica, forse non lo merita?
Sarebbe utile invece che un grande giornale ospitasse i suoi articoli che classifica ‘retoriche’. Non è possibile che mi accorga io, povero gonzo, che quegli articoli sono importanti, e non un qualche prestigioso direttore di pagine culturali.
Se succede questo significa che c’è qualcosa che si avvicina a un ‘sistema’ per preservarsi dai talenti degli altri.
1 febbraio 2010 alle 10:29
Per chi non lo sapesse ‘Fernandel’ era una rivista collegata alla omonima casa editrice, che veniva stampata in poche centinaia di copie. Quando le condizioni della distribuzione sono cambiate ha dovuto chiudere l’edizione cartacea. Esiste ancora sul web.
1 febbraio 2010 alle 12:31
ok, provo a spacchettare.
fede, scrivi:
“Qual è il lavoro di Nori?
Commentare sui giornali è un lavoro?
Quaranta o cinquanta righe alla settimana o anche al giorno sono un lavoro intellettuale che va retribuito?”
secondo me questa domanda può essere letta in tre modi:
1. da un punto di vista formale, “commentare sui giornali” equivale a riempire uno spazio su quel giornale, e dunque produrre contenuto. tendenzialmente, tale contenuto è pagato (visto che il giornale è un’azienda che fattura, e vende appunto contenuti).
certo, ci sono anche giornali che scelgono di non pagare i collaboratori esterni. e si può valutare che il contenuto di commento sia meno importante e meno pagato di, per esempio, un pezzo di cronaca (cosa molto condivisibile). ma di fondo, rimane un contenuto: esattamente come una foto, un sudoku o le previsioni del tempo. e quindi va pagato.
la produzione di qualcosa che viene retribuito è un lavoro. quindi “commentare sui giornali” è un lavoro (che si inscrive pienamente in quella brutta ma efficace espressione che è “produzione di contenuti” o “content providing”).
2. da un altro punto di vista, federica, mi sembra che tu suggerisca (ma forse leggo male) che “quaranta o cinquanta righe alla settimana o anche al giorno” NON sono, in effetti, un lavoro intellettuale che va retribuito. altrimenti non capirei la necessità della domanda, visto quanto detto sopra.
se ho letto bene (se no, mi scuso): perché a tuo avviso non è un lavoro intellettuale che va retribuito?
3. se invece la domanda è “perché bisogna pagare uno scrittore che scrive sui giornali?”, condivido che dice andrea barbieri. uno scrittore appunto scrive, e la tradizione di commento autoriale sui giornali esiste da decenni (mi vengono in mente al volo due nomi del tutto diversi fra loro: pasolini e zola). se il direttore di un giornale accetta di pubblicare un mio commento e accetta di pagarmi, non vedo cosa ci sia di sbagliato: dopotutto vengono pubblicati anche commenti di tecnici, scienziati, professori universitari…
insomma, forse non capisco bene il punto.
ciao
giorgio
1 febbraio 2010 alle 18:24
PROPOSTA PACIFICATRICE
a seguito dell’acceso dibattito
che rischia di amareggiare i cuori
e storcere gli sguardi,
in un’epoca in cui è necessario
averli dritti e luccicanti,
presento la presente
proposta pacificatrice:
Nori pubblica su Libero,
tranquillamente e liberamente,
dopo 6/7 mesi
la Manifestolibri raccoglie gli articoli
e li pubblica per le sue edizioni.
La salvezza è l’imprendibilità,
soprattutto quella di ciascuno a se stesso.
r
1 febbraio 2010 alle 20:37
((°_°))scusate se intervengo, okkei?non c’è cosa peggiore del pregiudizio e della supponenza. io non credo agli imbonitori giornalistici e alle classifiche dei libri sui giornali e diffido molto della corrente dominante e della massa.la sinistra in questi ultimi 30 anni rivuole la massa dopo che ha perso consenso. il male è tutto nell’ingordigia di chi ha precedentemente governato in quanto non si è sentito un ammistratore a conto terzi ma un regnante. silvio sta cosa l’ha capita bene e, da fanfarone, l’ha fatta in barba a tutti i fanfaronati sinistrorsi, ma la cosa grave è che la cosiddetta sinistra o supposta intellighenzia di sinistra ha perso carisma ed idee. che cosa ha fatto, ad esempio, la supposta intellihenzia di sinistra per difendere tabucchi dallo schifan? qualcuno me lo spiega?
beh, non se ne può più di questa asfissiante etichettatura perchè un intellettuale non deve e non può essere “intellet-tuguale” e diffido molto di certe consorterie letterarie che si arrogano il diritto di dire che solo la scrittura di tal dei tali è perfetta.il problema è la stanca della letteratura italiana e se da nori, che non conosco vengono idee e stimoli di onestà intellettiva non intellet-tuguale vuol dire che abbiamo avuto un punto di vista onesto e sapremo meglio chi sono i padroni del vapore e con quali treni e tematiche vogliono farci viaggiare. questo secolo andato ha fatto più guasti da destra e da sinistra che è ora di ragionare per problemi e verità.ogni male ha una radice profonda e la sinistra con infingimenti sconta quella di non aver voluto la libertà delle idee. uno scrittore vive di idee e poi di arte e ogni suo compromesso non inficierà mai la sua arte nel futuro.egli forse più di altri pur di scrivere vende per fame i suoi scritti ma non la sua anima che resta sempre protetta tra le righe perchè sa che il suo pane saprà sempre di sale perché è l’altrui pane.
1 febbraio 2010 alle 22:08
Di questo tema (e di altre cose che ci si legano, anche se incidentalmente) parlo a Cagliari, all’incontro di cui si parla qui:
http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/2454-blogosferatu.html
Semmai qualcuno dovesse ritenere che esso possa anche minimamente essere interessante, dopo l’incontro posterò il mio intervento sul blog.
Sostanzialmente, parlo dell’estromissione dei giornalisti – che hanno opposto assai poca resistenza, per dire la verità, ma spero che tutti capiamo che vista da quel punto di vista è tutt’un’altra questione, che merita argomenti a parte – dal cosiddetto “ceto intellettuale”.
Il processo storico è in atto, grazie alla concomitanza – credo – di almeno tre fattori:
a) il – potrei dir così – demerito sostanziale della categoria (ma, lo ripeto, questa è un’altra cosa, perché essa non dà affatto risposta alla domanda di base: perché uno scrittore sì e un giornalista no? E non sto dicendo che qui si sia detto questo);
b) l’indisponibilità degli editori a considerare i giornalisti come manodopera intellettuale (fattore interno al sistema dell’editoria e del mercato giornalistico); e
c) la rivendicazione di intellettuali e scrittori: scrivere – sostanzialmente su qualunque argomento, sembrerebbe, in grazia dell’eccellenza dell’argomentare o della deliziosità dello stile – sui giornali ricevendone una remunerazione (fattore esterno al sistema dell’editoria giornalistica ma sfruttato dal sistema dell’editoria giornalistica per ottenere lo scopo della proletarizzazione del giornalista).
Dal punto di vista del cosiddetto mercato giornalistico, la retribuzione ha senso, è ovvio.
Uno fa una cosa e un altro sgancia la pila.
Ma la mia domanda è un’altra: perché occorre andare sui giornali?
Visibilità?
Prestigio?
Dice: ma ci son sempre stati, gli intellettuali “esterni” sui giornali!
Sì.
Ma Internet non c’era.
E io non so veramente capire, in questo quadro, perché mai Internet debba essere il fratellino povero dei giornali.
Perché Internet sia considerato così poco da pensare che esso possa al massimo essere un trampolino di lancio per intelligenze eccezionali.
1 febbraio 2010 alle 22:50
mah.
a mio avviso, perché se intendiamo per “internet” l’autopubblicazione o la blogosfera, queste quasi sempre non pagano. e – almeno per ora, e salvo determinati casi – hanno senz’altro meno visibilità presso un pubblico vasto e variegato.
non capisco cosa ci sia di male a volere più visibilità per i propri scritti o una retribuzione. giuro, non capisco il punto sul concreto. non capisco dove stia l’errore.
certo, magari in un futuro magari anche prossimo il web soppianterà totalmente la carta e offrirà opportunità ancora più vaste di diffusione e retribuzione, ma per ora non è così.
e questo a mio avviso può valere benissimo anche per la cronaca: perché un bravo blogger che posta interventi da una zona di guerra non vorrebbe vedere i suoi pezzi pubblicati e pagati su un quotidiano?
non vedo il discrimine.
in ogni caso, non credo che uno scrittore scriva “sostanzialmente su qualunque argomento, sembrerebbe, in grazia dell’eccellenza dell’argomentare o della deliziosità dello stile”. spesso succede, ma (come dicevo rispondenti tempo fa su facebook) questa è la degenerazione dell’idea: un po’ come chiedere a cannavaro un’opinione sul lodo alfano, solo perché cannavaro è famoso. lo scrittore scrive di una cosa solo perché scrive deliziosamente.
a me sembra invece che un bravo scrittore possa dare del valore aggiunto a una pagina culturale. magari perché ha scritto un libro su x e ne può parlare con intelligenza e a ragion veduta. oppure perché è un esperto di letteratura americana (ma non un accademico palloso) e ne sa parlare in maniera vivace. eccetera.
del resto, lo stesso argomento non può applicarsi al giornalista interno della pagina di cultura?
“il giornalista di cultura scrive sostanzialmente su qualunque argomento, sembrerebbe, in grazia dell’eccellenza dell’argomentare o della deliziosità dello stile”.
suona bene.
forse basterebbe smettere di usare la parola “scrittore” e usare quella “intellettuale”?
2 febbraio 2010 alle 06:58
Dalla discussione in corso tra Giorgio Fontana e Federica Sgaggio, estraggo una frase di Giorgio: “Non capisco cosa ci sia di male a volere più visibilità per i propri scritti o una retribuzione. Giuro, non capisco il punto sul concreto. Non capisco dove stia l’errore”.
Faccio un esempio mentale ed estremo. Mettiamo che Tizio voglia fare la rivoluzione. Naturalmente la prima questione è: “Fare la rivoluzione è un lavoro, fisico e intellettuale, anzi più intellettuale che fisico”. Si mette quindi in cerca di qualcuno che lo paghi per fare la rivoluzione. Va alla Mondadori, e gli dicono: “No, grazie, in questi anni la rivoluzione vende poco”. Va al “manifesto” e gli dicono: “Bene, bene, se ci fai un po’ di rivoluzione noi la pubblichiamo, ma non abbiamo soldi per pagarti”. Eccetera. Allora Tizio si scora un po’, e a un certo punto – discutendo con un’amica che fa la rivoluzionaria di professione, ma purtroppo come dipendente di un’azienda conservatrice – gli scappa di dire: “Non capisco cosa ci sia di male a volere più visibilità per la propria rivoluzione, o una retribuzione. Giuro, non capisco il punto sul concreto. Non capisco dove stia l’errore”.
L’esempio è mentale ed estremo, e mi auguro sia preso per tale.
Tra le mie scelte personali c’è anche quella di fare certe cose senza chiedere d’essere pagato. Le ragioni per non voler essere pagato sono due, e completamente diverse:
1. in certi casi, perché mi fa piacere fare quella certa cosa, per quel certo partner, gratuitamente;
2. in altri casi, perché voglio che non mi si possa mai dire: “Noi ti paghiamo per questo, e quindi devi darci questo“.
Al di là del fatto che essere pagati per avere un’opinione e scriverla in un giornale, ossia essere pagati per esercitare un diritto di tutti e di ciascuno (avere un’opinione) in forma privilegiata (scriverla su un giornale) mi è sempre sembrato una cosa bizzarra.
A margine. C’è una ragione precisa, se i giornali “di sinistra” tendono a non pagare: hanno pochi soldi. Hanno pochi soldi perché vendono poco e perché hanno pochissima pubblicità.
giulio mozzi
2 febbraio 2010 alle 09:10
ciao giulio, non ho capito la necessità dell'”esempio estremo”.
se non era chiara la mia posizione, la ripeto: cercare di migliorare la propria posizione non significa necessariamente fare qualcosa che va contro la propria coscienza. la possibilità di un controesempio non è un controesempio.
e fare una cosa gratuitamente per il piacere di farla gratuitamente è una cosa bellissima e la faccio anch’io volentieri, ma mi sembra si discutesse di lavoro.
infine: “essere pagati per esercitare un diritto di tutti e di ciascuno (avere un’opinione) in forma privilegiata (scriverla su un giornale) mi è sempre sembrato una cosa bizzarra.”
il diritto di avere un’opinione è di chiunque. la possibilità di formulare un’opinione ben argomentata, con cognizione di causa, su un determinato argomento, non mi pare cosa alla portata di chiunque.
lo stesso argomento si potrebbe fare per i romanzi: “essere pagati per esercitare un diritto di tutti e di ciascuno (raccontare una storia) in forma privilegiata (pubblicare un libro) mi è sempre sembrato una cosa bizzarra”. eppure succede. e ci sono senz’altro libri migliori di altri.
infine: anche a me, giulio, tante cose sembrano bizzarre; ma il “mi sembra bizzarro” non è ancora un argomento di discussione.
2 febbraio 2010 alle 16:11
Vado per punti tagliati con l’accetta.
a) Scrivere commenti non è un lavoro.
Dice: «Ma solo coi libri non mi mantengo, come devo fare?».
Non lo so, ma la soluzione che a me e a migliaia di altre persone è venuta naturale è stata scegliere un lavoro con il quale ci si potesse mantenere, accettandone gli alti e i bassi, e la quantità standard di sacrificio che ogni lavoro porta con sé.
b) L’esempio dei romanzi non tiene perché c’è una cosa che si chiama diritto d’autore, ed è relativa alle opere dell’ingegno. Un commento, per quanto eccelso, non è mai considerato un’opera dell’ingegno.
c) La possibilità di formulare un’opinione ben argomentata non discende necessariamente dalla propria natura – chiamiamola così, ma potremmo dire «status», o identità – di intellettuale. Ci sono intellettuali che formulano opinioni banali e mal argomentate e cionondimeno vengono pagati. Segno che la questione non ha a che vedere né con le opinioni, né con gli argomenti, ma con altre faccende, tra le quali – giustamente – Giorgio cita la visibilità.
d) Non c’è niente di male in niente, Giorgio.
L’importante è capire in quale punto di un processo storico ci si situa.
La tua posizione – voglio commentare sui giornali perché sono uno scrittore e un intellettuale e dunque posso, e voglio essere pagato per questo – si situa perfettamente in armonia col processo storico che sta marginalizzando sempre di più la figura del giornalista come professionista di un lavoro intellettuale.
Proletarizzato lo vogliono gli editori, che hanno cominciato a pagarlo poco grazie ai contratti nazionali che, firmati anche dal mio sindacato, abbassano il costo del lavoro.
Proletarizzato merita in molti casi di essere lui, perché è venuto meno al suo dovere professionale e civile, ma questo non sposta di un millimetro il luogo del processo storico nel quale ci troviamo immersi.
E proletarizzato lo vuoi tu che ritieni di poter fare il suo lavoro meglio di lui, e venendo retribuito.
Niente di male, ripeto.
Basta sapere cosa si sta facendo, a quale processo si coopera con le proprie azioni.
2 febbraio 2010 alle 16:15
L’«esempio estremo» di cui parla Giulio è questa roba qui, Giorgio.
La rivoluzionaria di professione sono io.
Il rivoluzionario dilettante che vuol diventare rivoluzionario di professione sei tu.
E tu dici: «Capperi, vorrei venir pagato per fare il professionista, visto che sono un intellettuale».
E la rivoluzionaria professionista-dipendente che sono io ti dice: «Capperi, Giorgio: ci sarebbe già qualcuno pagato per fare questo lavoro».
E tu dici: «Non capisco il punto».
E io dico: «Il punto è che tu, sapendolo o no, stai:
– portando acqua al mulino di chi mi vuole far tacere;
– partecipando attivamente al processo storico con il quale mi si vuole marginalizzare».
2 febbraio 2010 alle 16:31
Dopodiché, naturalmente.
Non sono io che ho il potere o l’intenzione di tenerti fuori dai giornali, ci mancherebbe altro; non sono io a dar patenti a nessuno, mi pare evidente.
Tanto più che di questo processo storico io son vittima, mentre tu di esso miri ad esser protagonista.
Anzi, per dirla con le tue parole, cerchi «di migliorare la tua posizione» partecipando attivamente al processo che marginalizza me (non individualmente, questo mi pare ovvio).
2 febbraio 2010 alle 16:34
Un’epoca non può dirsi conclusa con la fine di un anno, o di un millennio. Non può dirsi conclusa per il progresso della scienza e della tecnologia. Per la fine di una guerra o l’inizio di un’altra. Per la caduta di un dittatore o per il cambio di un regime.
Le epoche sono un contenitore temporale di modi di essere, di pensare, di vestire. Le epoche sono gli abiti che vanno di moda, la politica, l’ideologia, la morale, l’etica, la tradizione e la filosofia di un periodo. La religione, la spiritualità, la cultura della famiglia e della società, il modo di costruire case o strade, il tipo di cibi, di come li si cucina. Le epoche scandiscono il tempo sulle pagine dei libri di storia. Soltanto lì hanno inizio e fine. Nella realtà te le porti dietro vivendole o sentendole raccontare da chi c’è stato prima, da chi ha vissuto l’epoca prima. Così le epoche si stratificano dentro di noi, in modo da renderci antichi e moderni ad un tempo. Presenti e passati. Vivi e morti, mentre quel tempo trascorso di cui siamo custodi per esperienza o per sentito dire, perdura. Nelle nostre azioni, nelle nostre idee. Che mutano nel trascorrere del tempo e danno vita a nuove epoche. La nostra, di chi è nato negli anni ’70, la vostra, di chi è nato tra la fine della guerra e il ’68, è ancora, e forse sarà sempre, il ‘900.
Lo si capisce dai commenti: chi è di destra…chi è di sinistra…la testata tale scrive cose di sinistra…la testata talaltra, scrive roba di destra…
Mi sembra che cantiamo ancora in troppi quella celebre canzone del grande Gaber. E io mi chiedo: dov’è la destra? E soprattutto, dov’è la sinistra? E cos’è di destra? Cos’è di sinistra? Di sicuro so cos’è uno scrittore: un artista. E l’arte è libera da schemi ideologici perché rispecchia la vita, che è di tutti allo stesso modo. Se Nori è uno scrittore, saprà essere libero. Se è un servo di partito, non è uno scrittore.
Comunque sia non mi indigno troppo per il fatto che uno sia approdato dalla letteratura al giornalismo, quantomeno, ad un giornale. Mi schifa di più assai quando dal grande fratello, dai campi di calcio, dai privé, dalle passerelle, si arriva a una casa editrice. Mi scoraggia poi constatare che alle case editrici ci si arriva anche dopo aver timbrato il cartellino in testate giornalistiche appunto, o dopo aver fatto sceneggiature, lavorato nel cinema o nel teatro, seppure professionalmente. E allora mi chiedo anche: ma cos’è oggi uno scrittore? E dove sono gli scrittori ‘puri’? E chiedendomi questo mi scoraggio e mi viene tristezza. Non ho mai timbrato cartellini nelle redazioni di un giornale. Complimenti a Giulio però che ce l’ha fatta anche senza sceneggiature, timbri e cartellini.
2 febbraio 2010 alle 17:05
Nelle testate giornalistiche non si timbra (ancora) il cartellino, e a volte succede che uno che lavora in un giornale manda un romanzo – non un articolo – a una casa editrice e una casa editrice lo pubblica.
Non lo paga preventivamente, però.
Lo paga solo se ne vengono fuori dei diritti d’autore.
I diritti d’autore vengono fuori solo se il libro vende.
(Inoltre, non credo che ci sia molto per cui scoraggiarsi se un giornalista pubblica un libro: le case editrici non sono né dovrebbero essere il luogo del controllo del potere. I giornali sì. Dovrebbero).
2 febbraio 2010 alle 17:26
federica, giuro: non so cosa dire.
mi sembra di sentire un mio ex capo quando mi diceva: “tu vuoi farmi le scarpe, eh!” e io gli dicevo: “ma no, davvero. vorrei solo qualche garanzia”.
tutto questo discorso sui corsi e ricorsi storici non mi pare porti lontano, e onestamente mi sono sentito raffigurato come, mi pare, non sono.
ero partito cercando di difendere il lavoro intellettuale, anche indipendente, senza minimamente ergermi a rivoluzionario di nessun tipo.
tu pensi che questo lavoro lo possa fare solo chi già lo fa, se ho capito bene. io no, e adduco semplicemente come motivazione non il ruolo o l’anzianità o il “già lo faccio”, ma la qualità dei contenuti prodotti – che mi sembra un criterio più etico.
comunque. visto che su certe cose pare non ci sia intesa, e visto che non voglio rubare il lavoro a nessuno, mi limito almeno a rispondere ad alcuni punti concreti:
1. “Dice: «Ma solo coi libri non mi mantengo, come devo fare?»”
non ho MAI detto questo, né mai ho voluto intenderlo in nessun modo. altrimenti si prende il mio discorso e lo si trasforma in una lamentela da romanziere bamboccione. (ad ogni modo, io ho sempre scritto e lavorato).
2.”L’esempio dei romanzi non tiene perché c’è una cosa che si chiama diritto d’autore, ed è relativa alle opere dell’ingegno. Un commento, per quanto eccelso, non è mai considerato un’opera dell’ingegno.”
falso, almeno per quanto mi riguarda. i pezzi che pubblico sulla pagina online del “sole”, ad esempio, sono pagati per diritto d’autore. quindi opera dell’ingegno.
3. ” Ci sono intellettuali che formulano opinioni banali e mal argomentate e cionondimeno vengono pagati. Segno che la questione non ha a che vedere né con le opinioni, né con gli argomenti, ma con altre faccende, tra le quali – giustamente – Giorgio cita la visibilità.”
come ho detto: non è che perché ci sono delle mele marce allora tutte le mele sono marce.
se qualcuno paga intellettuali che formulano opinioni banali, la colpa è di quel qualcuno o del sistema che l’ha messo lì. e lo stesso vale per QUALSIASI lavoro, non perché quel lavoro è intellettuale.
infine, quando dici: “voglio commentare sui giornali perché sono uno scrittore e un intellettuale e dunque posso, e voglio essere pagato per questo”, non è questo il punto.
il punto è: perché la produzione di “commenti” deve essere limitata ai soli giornalisti professionisti “interni”?
2 febbraio 2010 alle 17:47
(chiederei solo una gentilezza: di non scambiare un discorso generale con un discorso pseudo-biografico, del tipo “IO voglio scrivere perché non mi mantengo / voglio diventare famoso / voglio poter dire la mia / sono bello e bravo”. ancora una volta, non escludo che questo possa animare molta gente che scrive, ma non la anima tutta – e quantomeno non anima me, se proprio di me vogliamo parlare).
2 febbraio 2010 alle 18:00
Ci dev’essere un equivoco, Giorgio.
Non ho scritto da nessuna parte che devono scrivere commenti solo i giornalisti. Il mio punto, peraltro, tangeva la questione della retribuzione, e non dei contenuti.
Ho detto altre cose. Davvero.
E non ho mai pensato che chiunque, men che mai tu, volesse farmi le scarpe; non potrei averlo scritto perché non lo penso; e non lo penso perché penso altre cose.
Non ho niente a che spaertire con quel tuo capo.
Non ho mai pensato che tu voglia rubare il lavoro a qualcuno; strano che tu l’abbia letto.
Ho detto che partecipi di un processo storico che si muove nella direzione di togliere competenze ai giornalisti.
A me pare diverso.
Non ho scritto che tu dici che non ce la fai a mantenerti coi libri.
Il mio “dice” si riferiva a una generica ipotetica obiezione. Non c’è scritto che “tu dici”.
L’obiezione è spesso portata a motivo del fatto che gli scrittori “arrotondino” collaborando coi giornali, ma io non ho detto che l’abbia scritto tu. Tu hai solo parlato di Internet.
2 febbraio 2010 alle 19:48
benissimo.
ma non rischia di diventare un discorso un po’ hegeliano, del tipo che siamo solo forze che si scontrano, del tipo che io divento un “rivoluzionario dilettante” che vuole la fine di voi “rivoluzionari professionisti”?
ciò detto, capisco questo tuo argomento “storicistico”, ma non lo vedo come una risposta a quanto dicevo io.
mi riferisco in particolare al dialogo immaginario fra me e te, da te immaginato:
“E tu dici: «Capperi, vorrei venir pagato per fare il professionista, visto che sono un intellettuale».
E la rivoluzionaria professionista-dipendente che sono io ti dice: «Capperi, Giorgio: ci sarebbe già qualcuno pagato per fare questo lavoro».”
posto che non direi precisamente la prima frase, non capisco perché il fatto che c’è qualcuno che fa già un lavoro sia un buon motivo perché qualcun altro non lo faccia.
qui io dico: “non capisco il punto”, e tu mi rispondi che il punto è che io porto acqua al mulino di chi mi vuol fare tacere, e di chi mi vuole marginalizzare.
ma se il punto è tutto qui, potrei risponderti: be’, anche tu.
(nota: sì, so “che non hai detto che ho detto che uno scrittore non si mantiene coi libri ecc.”, ma proprio perché non l’ho detto, non capivo la cogenza della frase nella nostra discussione).
2 febbraio 2010 alle 19:59
Certo, Giorgio. Certo che col lavoro che faccio porto maledettamente il peso della responsabilità di chi porta acqua al mulino di chi mi vuol far tacere.
certo, altroché se non è così.
Altroché se non sento il peso di questa situazione.
Altrochè se non ne sento l’ambiguità.
A tal punto che da anni non firmo più assolutamente niente nel giornale dove lavoro.
Mi sono silenziata perché se la realtà è che devo tacere, tanto vale che lo faccia veramente, e fino in fondo. Evitando di portare carichi ulteriori di corresponsabilità.
Sì, il mio è un argomento storicistico.
Esatto.
Ma perché tu non accetti la responsabilità di essere corresponsabile nella marginalizzazione dei giornalisti?
E’ chiaro che chiunque ha il massimo diritto di dire, scrivere e fare quel che ritiene giusto su qualunque giornale, tanto più che è prassi normale e consolidata, e che in questo specificissimo ambito minuscolo di “storicizzazione” i “vincenti” (passami la brutalizzazione”) siete voi “esterni” e i “perdenti/tacitati” siamo noi “interni”.
Dico solo: sappiate a spese STORICHE di chi (non a spese di quali carriere, porca miseria) lo state facendo.
Così come io so a spese di chi – il lettore che vorrebbe legger notizie – sono cotretta a limitare il mio lavoro giornalistico in favore della propaganda.
E succede in tutti i giornali.
Tutti (parlo della propaganda; non esistono differenze fra destra e sinistra, in quest’attitudine a fare propaganda anziché informazione; ma questa è un’opinione mia).
E’ ovvio che il fatto che tu stia partecipando da protagonista a un processo storico di tipo (post?) capitalista in cui ci sono vittime che nello sopecificissimo ambito di cui parliamo non sia tu – non tu persona singola; tu “pezzo di mondo” – non esclude, evidentemente, che tu-pezzo di mondo sia vittima e non più protagonista di altri processi (post?) capitalisti.
2 febbraio 2010 alle 20:03
Scusate i refusi.
Sono al lavoro e non ho avuto il tempo di controllare.
3 febbraio 2010 alle 16:27
Cara Federica, in questo clima di disoccupazione, sottoccupazione e cassinitegrazione lungi da me attentare alla già precaria condizione dei giornalisti di professione.
Però. Dai un’occhiata alla pagina culturale del Corrierone di oggi: ci troverai, travestito da articolo sulle proteste dei genitori di una ragazza morta di leucemia (di queste proteste o perplessità si parla in realtà in una riga) una pubblicità sguaiata e nemmeno occulta dell’ennesima porcheria propinata da Mondadori al lettore adolescente: “Bianca come il latte rossa come il sangue”, un libro fasullo come il suo autore (sfogliato in libreria, scrive peggio di Moccia) che dopo il Giordano dei numeri primi si butta a pesce su un’altra patologia per un’altra immagine vittimistica e claudicante dell’adolescenza di cui la gioventù nostrana ha certo un gran bisogno.
E allora, se questi sono i professionisti delle pagine culturali, forse ci sarebbe bisogno di gente un po’ meno prona ai volere della bottega, almeno rifiutandosi a operazioni del genere: non so Nori, ma uno scrittore che non ha la faccia come il culo non firmerebbe mai un articolo come quello odierno di Cristina Taglietti.
Affanculo il Corrierone e affanculo Mondadori, compresi i redattori interni o esterni “de sinistra” che naturalmente non ammetteranno mai di aver partecipato a montare “casi editoriali” del genere, e che si dichiarano “liberi” e felici di lavorarci, a prescindere dalle “libere” scelte del vicino di scrivania.
3 febbraio 2010 alle 22:04
Bravo Binaghi, è così. E se vedere che le grandi (serie?) case ed. pubblicano volentieri veline, velone, valletti e giullari fa perdere fiducia nel mondo letterario, trovare anche solo una persona capace di razionalizzare che tutto ciò accade e fa schifo sia che ci si trovi a dx che a sx, rincuora. Perché si, è tutto uguale: lo schifo è schifo da tutte le parti e tutti ne sono capaci o colpevoli. Dire che non è tutto uguale è un’arma a doppio taglio; si pensa di fare chiarezza mentre le acque si intorbidano sempre più creando ‘i meglio’-‘i peggio’, ‘i giusti’-‘gli ingiusti’, insomma è la sindrome del giudizio universale. Cominciamo ad allontanarci dalle schematizzazioni dell’epoca passata, il ‘900, in cui si valutava utopicamente, ideologicamente, l’essere umano. Oggi siamo maturi abbastanza per valutarci e valutare l’essere umano per quello che fa, non solo per quello che pensa, che prega, che mangia, che veste… e questa mi sembra una grande conquista di questa nuova epoca.
Comunque a Paolo Nori gli fischieranno parecchio le orecchie, mi sa, poveraccio!
5 febbraio 2010 alle 02:37
non lo conosco, e penso non lo leggerò mai…. Non credo di perdermi proprio nulla, Libero l’ho solo visto leggere da chi lo prende “gratuitamente” in metropolitana. E quelle persone non leggono, hanno già un’opinione, danno una rapida scorsa per averne una superficiale conferma
5 febbraio 2010 alle 13:18
Appunto Binaghi. Il fatto è che giudicare Nori, come fa Cortellessa, additarlo come fanno altri, non costa molto. Nori è pure una persona civile, difficilmente si difenderebbe a colpi scorretti.
Quindi sulle pagine del Manifesto gli intellettualoni sedicenti ‘di sinistra’ trascinano Nori, non loro stessi per mettersi finalmente in discussione (la qualità di ciò che scrivono, le loro marchette, la loro coerenza, la loro moralità), e nemmeno mettono in discussione il ‘sistema’. No no, non ci pensano proprio.
5 febbraio 2010 alle 15:41
Scusate, forse ho disturbato nessuno mi legge e mi risponde? forse ho detto cose non pertinenti?saluti in lettura, Gaetano Calabrese
8 febbraio 2010 alle 00:12
Gaetano, non si può rispondere nulla a un intervento vago e confuso come il tuo.
giulio mozzi
9 febbraio 2010 alle 19:46
Grazie della risposta; è che da poco comincio a navigare nei blog; starò più attento a commentare in modo pertinente, buone e belle cose a Giulio e agli amici del blog ; vi annucio che ogni tanto leggerò sperando di imparare e offrire spunti riflessivi; oggi ho imparato a salvare “VIBRISSE” nei preferiti. (°_°)) G.C. dall’Irpinia.