Qualcuno mi dica, per piacere, se lo scenario prospettato qui dal quotidiano La Repubblica è o non è uno scenario da colpo di stato. gm
Tag: Democrazia
Qualcuno mi dica, per piacere, se lo scenario prospettato qui dal quotidiano La Repubblica è o non è uno scenario da colpo di stato. gm
Tag: Democrazia
17 settembre 2009 alle 08:53
Da colpo di stato direi di no – quantomeno, non da parte delle cosiddette forze avverse a Berlusconi.
Scenario apocalittico, questo sì. Ma Berlusconi è un animale politico complesso, non riducibile a piccoli schemini (e questo è stato uno degli elementi che lo hanno tenuto al potere).
Mi ricorda la peste nera di metà 1300: gli abitanti delle città si premevano il fazzoletto sulla bocca, temendo l’aria, e convivevano coi topolini.
E’ il topolino che va rimosso, perbacco.
17 settembre 2009 alle 08:54
Sì, lo è.
Non rassicura affatto, il fatto che lo scenario – fantastico o no – preveda la partecipazione di gente del cosiddetto altro schieramento.
17 settembre 2009 alle 09:09
E’ la lenta, inesorabile agonia della democrazia!!!
il problema credo sia nel fatto che se personaggi dei due opposti schieramenti si uniscono non lo faranno in nome di ideali e progetti condivisi, ma solo per andare contro Berlusconi… non credo sia un buon auspicio…
17 settembre 2009 alle 09:22
No, non lo è.
Un capo di governo scelto dal presidente della repubblica, e un governo approvato dal parlamento eletto, non costituiscono un colpo di stato, qualunque gioco politico ci sia dietro. Un colpo di stato, secondo Wikipedia, prevede “un atto violento o comunque illegale, posto in essere da un potere dello Stato, diretto a provocare un cambio di regime”. Qui non vedo né violenza né illegalità.
A me ricorda piuttosto il 25 luglio, e non mi pare che quella data sia passata alla storia come colpo di stato…
17 settembre 2009 alle 09:35
No, non mi sembra. Teoricamente – e sottolineo teoricamente – troverei quasi… “positivo” che alcune forze parlamentari, pur appartenenti a schieramenti diversi, si stiano cercando per pensare a come organizzare il dopo. Cioè ad accaparrarsi i pezzi del potere attuale quando questo – mettiamo il caso – non ci sarà più. E’ il loro mestiere: cercare il potere. Non so se riusciranno a gestirlo peggio dell’attuale premier. Molto probabilmente, conoscendo i tipi citati da Giannini, sarà la solita sbobba italiana riscaldata, di sapore leggermente meno nauseante di quella che si sorbisce oggi.
17 settembre 2009 alle 09:57
Dal punto di vista tecnico, ovviamente, non lo è.
Quel che però mi sembra è che «conquistare» il governo del Paese in questo modo, e soprattutto volerne fare un governo «politico» che – cito dalla repubblica – vuole «riforma del sistema politico, con abbattimento del numero di parlamentari, consiglieri regionali e comunali; riforma del Welfare, con radicale riforma dei contratti di lavoro sul modello Ichino-Boeri; riforma della spesa pubblica, con massicci tagli e dirottamento di risorse verso la scuola, la ricerca e l’innovazione» implica la considerazione che Berlusconi se ne potrà pure andare, potrà pure venire cacciato da quest’insolita alleanza, ma il berlusconismo ha vinto, altroché.
E che chissà quanti anni ci vorranno prima che un governo NON si ponga l’obiettivo di fare, per esempio, una «radicale riforma dei contratti di lavoro, sul modello Ichino-Boeri».
Il colpo di Stato, insomma, non è quello dei cosiddetti «salvatori». Ma è il colpo di coda di Berlusconi, che pur venendo cacciato – in ipotesi – ci riconsegna un’Italia in cui perfino i suoi avversari (fatta eccezione per quel vago accenno al «dirottamento di risorse verso la scuola, la ricerca e l’innovazione») diventano continuatori un po’ eccentrici della sua linea politica.
17 settembre 2009 alle 10:09
Appunto, non si tratta di colpo di stato, ma di un “escamotage” fortemente connotato dall’imprinting culturale berlusconiano. E’ persino superfluo stare qui a ricordare come la cultura berlusconiana abbia stravinto, ormai da anni, nel nostro Paese. Come uno degli “anelli” (mi sembra) di cui parla l’articolo sia D’Alema, che voleva fregare l’Innominabile con la Bicamerale e ne è stato fregato, che ha avuto ed ha varie indagini della magistratura a suo carico, che ha – come dire?… – “propiziato” la caduta del primo governo di centrosinistra in Italia assieme a Bertinotti… Ah sì!, che ha definito – con l’acume e la lungimiranza politica che lo contraddistingue – la Lega “una costola della Sinistra”. Per non parlare del Casini/Cuffaro pensiero… Devo andare avanti?
P.S. Di governi “tecnici” o “di unità nazionale” o “bi-tri-quadri-partisan” è piena la storia della Prima Repubblica (dico “prima” per abitudine: come ce ne fosse realmente stata una “seconda”, una “terza”, ad libitum…)
17 settembre 2009 alle 11:22
federica, non capisco: tolti i contratti di lavoro, la “riforma del sistema politico, con abbattimento del numero di parlamentari, consiglieri regionali e comunali”, e la “riforma della spesa pubblica, con massicci tagli e dirottamento di risorse verso la scuola, la ricerca e l’innovazione”, sono in linea con la politica attuale? la prima riforma è stata sempre agitata in campagna elettorale ma non mi pare mai nemmeno presa in considerazione dopo; la seconda nell’italia di oggi sarebbe rivoluzionaria. non capisco nemmeno perché considerare berlusconi così centrale in tutto questo discorso. il berlusconismo mi pare un sistema di comunicare, più che di governare, e berlusconi un ottimo uomo immagine: in questi anni la faccia ce l’ha messa lui, ma il paese è stato governato dalla destra tutta intera. forse è più comodo pensare che siamo il paese dei balocchi in cui berlusconi è sovrano, che una delle poche democrazie occidentali in mano all’estrema destra. e questo problema non si risolve mandando a casa berlusconi a colpi di scandali sessuali…
17 settembre 2009 alle 11:28
p.s.
“dal punto di vista tecnico, ovviamente non lo è”, ma mi pare che giulio sia una persona molto attenta alle parole: se scrive “colpo di stato”, io capisco colpo di stato, putsch, golpe o come lo volete chiamare. per cui vorrei capire in che modo questo ribaltone ipotizzato dalla repubblica si potrebbe considerare un “colpo di stato”.
17 settembre 2009 alle 11:50
Scusate, a proposito di D’Alema, di rapporti potere/stampa, di prima-seconda-penultima Repubblica ecc., ho appena ricevuto un articolo di Pansa sul suddetto, che vi girerei:
«I GIORNALI? È UN SEGNO DI CIVILTA’ NON LEGGERLI»
di Giampaolo Pansa
Chi ha sentenziato così? Il maledetto Caimano, ossia Berlusconi? Macché, è stato il democratico D’Alema. Max ha anticipato tutte le ire del Cavaliere nei confronti della carta stampata. Con assonanze sorprendenti. Compresi i maxi risarcimenti danni.
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – «I giornali? È un segno di civiltà non leggerli. Bisogna lasciarli in edicola». Chi ha sentenziato così? Il maledetto Caimano, ossia Silvio Berlusconi? Macché, è stato il democratico Massimo D’Alema. Max ha anticipato tutte le ire del Cavaliere nei confronti della carta stampata. Con assonanze sorprendenti. Compresa la strategia di darci dentro con le cause civili e le richieste astronomiche di danni.
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La prima scena risale al 31 ottobre 1992. Aeroporto di Lecce. Incontro D’Alema che aspetta il volo per Roma. È mattina presto, ma lui già schiuma di rabbia contro una masnada di pessimi soggetti. I giudici di Mani Pulite. Gli editori. I giornali e i giornalisti. Primo fra tutti, Eugenio Scalfari, direttore di “Repubblica”. Ringhia: «Scalfari ha leccato i piedi ai democristiani che stavano a Palazzo Chigi, da Andreotti a De Mita. E adesso fa il capo dell’antipartitocrazia».
Quarantotto ore dopo, intervistato dal “Giorno”, Max si scaglia di nuovo contro “Repubblica”: «Che cosa si vuol fare? Cacciare deputati e senatori, per lasciare tutto in mano a Scalfari?». Un vero figuro, Barbapapà. Anche perché è in combutta «con quell’analfabeta di andata e ritorno che si chiama Ernesto Galli della Loggia». “Repubblica” prova ad ammansire D’Alema. Però il 13 novembre lui replica: «Ormai i giornali sono un problema in Italia, esattamente come la corruzione».
La rabbia dalemista ha un motivo: siamo in piena Tangentopoli e la stampa dà spago al pool di Mani Pulite. In un’intervista a “Prima Comunicazione” che in seguito citerò, Max dirà parole di fuoco sui giornali: «Si sono comportati in modo fazioso, scarsamente rispettoso dei diritti delle persone.
Hanno alimentato una circolazione impropria di segreti giudiziari e il narcisismo della magistratura. La loro responsabilità morale è stata enorme: verbali, pezzi di verbali, notizie riservate sono diventati oggetto di uno sfrontato mercato delle informazioni. Uno spettacolo di iattanza indecente. Ha ragione la destra quando dice che c’è un circuito mediatico-giudiziario che ha distrutto delle persone».
Il 13 aprile 1993, la rabbia di Max sembra al culmine. Dice: «In questo Paese non sarà mai possibile fare qualcosa finchè ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la Seconda Repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano». Ossia nello stile del comunista Pol Pot, capo dei khmer rossi, il sanguinario dittatore della Cambogia.
Ma la nuova Repubblica nasce sotto un segno che a Max non piace: la vittoria di Berlusconi nel marzo 1994. Achille Occhetto si dimette da segretario del Pds e a Botteghe Oscure s’insedia D’Alema. Per qualche mese, il nuovo incarico lo obbliga a un minimo di cautela. Ma la sua avversione per i giornali non è per niente svanita.
Nel giugno 1995, intervistato da Antonio Padellaro per “L’Espresso”, riprende a ringhiare contro «l’uso spesso selvaggio dell’indiscrezione giudiziaria». E conclude che le cronache su Tangentopoli hanno «consumato quel poco di rispetto per lo stato di diritto e di cultura liberale esistente da noi. Il danno prodotto è stato enorme. Provo fastidio per il comportamento dei giornalisti: non aiuta di certo l’immagine dell’Italia».
Il 1995 sarà un anno terribile per D’Alema e per Veltroni, direttore dell'”Unità”. Però Max non presagisce nulla. Il suo giornalista preferito è un televisionista: Maurizio Costanzo. In luglio, la Botteghe Oscure incaricano Costanzo di “stilare le nuove regole” dell’informazione. E D’Alema lo vuole accanto a sé nella Festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia. Insieme presentano il primo libro di Max, “Un paese normale”, stampato dalla Mondadori di Berlusconi.
La tempesta scoppia alla fine di agosto. È lo scandalo di Affittopoli, sulle case di enti pubblici ottenute dai politici a equo canone. Più saggio di Veltroni che strilla, ma resta dov’è, D’Alema trasloca. E sceglie la trasmissione di Costanzo per annunciare il passaggio in un altro appartamento.
Ma il suo disprezzo per la carta stampata resta intatto. Arrivando a coinvolgere politici incolpevoli. In quell’autunno dice di me: «Pansa si fa leggere sempre, ma ha un difetto: non capisce un cazzo di politica. C’è uno solo in Italia che ne capisce meno di lui: Romano Prodi».
Nel dicembre 1995, Max affida a “Prima comunicazione” il suo lungo editto contro i giornali. Intervistato da Lucia Annunziata, spiega di sentirsi una vittima: «Due giornalisti mi tengono e il terzo mi mena». «Il livello di faziosità e di mancanza di professionalità è impressionante». «Non esiste l’indipendenza dell’informazione: i giornali non sono un contropotere, ma un pezzo del potere. E come tali sono inattendibili». «Il loro compito è la destrutturazione qualunquista della democrazia politica». «Gli editori si contendono a suon di milioni i giornalisti più canaglia».
Al termine del colloquio con l’Annunziata, prima dell’invito a non acquistare i giornali, D’Alema annuncia come si comporterà in futuro: «Se dovrò dire qualcosa di importante, lo dirò alla gente, non ai giornali. Andrò alla televisione. Mi metto davanti a una telecamera con la mia faccia, con le parole che decido di dire, senza passare per nessun mediatore. Se parli con la stampa, sei sicuro di perderci».
Per coerenza, il 5 aprile 1996, alla vigilia delle elezioni politiche, D’Alema va in visita ufficiale a Mediaset. Accanto a Fedele Confalonieri, dice: questa azienda «è una risorsa del Paese». E rassicura i dipendenti: «Se vincerà l’Ulivo, non dovrete temere nulla. Mediaset è un patrimonio di tutta l’Italia!».
L’Ulivo vince. Max spiega a Carlo De Benedetti: «Hai visto? Abbiamo vinto nonostante i tuoi giornali!». Ma D’Alema si sente prigioniero del Bottegone. Vorrebbe stare lui al governo. Prodi e Veltroni non gli piacciono. Sono «i due flaccidi imbroglioni di Palazzo Chigi». Poi la sua ostilità torna verso la stampa. In luglio tuona contro «il giornalismo spazzatura». E alla fine del mese, alla Festa dell’Unità di Gallipoli spiega: «Ormai c’è qualcosa di più che il normale pettegolezzo giornalistico, tendente ad alterare la verità. Ci sono lobby, interessi, gruppi che pensano spetti a loro dirigere la sinistra italiana».
Il 2 agosto, durante la bagarre parlamentare sul finanziamento pubblico ai partiti, D’Alema ringhia ai cronisti: «Scrivete pure quello che vi pare, tanto i giornali non li legge nessuno. E anche voi contate poco: prima o poi vi licenzieranno». A imbufalirlo è sempre il ricordo di Affittopoli e quel che ritiene di aver subito dalla carta stampata: «Giornalismo barbarico, cultura della violenza, squadrismo a mezzo stampa».
Perché Max si comporta così? In un’intervista citata dal “Foglio”, Veltroni prova a spiegarlo: «Io sono gentile con i giornalisti. Dovrei fare come D’Alema che li chiama somari per ottenere la loro supina benevolenza». Ma forse esiste un problema nascosto: una forma inconsapevole di autolesionismo che spinge Max a cercarsi sempre dei nemici.
Una sera del novembre 1996, dice a Claudio Rinaldi, direttore dell’ “Espresso”: «Fate una campagna sguaiata contro di me. Vi mancano solo Michele Serra e Curzio Maltese, poi sarete al completo. L’unica critica fondata che potreste farmi è di aver messo Prodi a Palazzo Chigi». Quindi spara su Berlusconi: «Mi sta sul cazzo come tutti i settentrionali. È un coglione ottuso. La sua stagione è finita».
Il 1997 si apre con la causa civile che Max intenta all'”Espresso”. Per aver rivelato la piantina della sua nuova casa, ci chiede un miliardo di lire. Non lo frena neppure l’onore di presiedere la Bicamerale. Il 5 maggio scandisce a Montecitorio un anatema globale: «L’ho detto una volta per tutte, con validità erga omnes, con valore perpetuo: quello che scrivono i giornali è sempre falso».
Alla fine di novembre si scatena contro l’Ordine dei giornalisti. Bisogna abolirlo, dice Max, visto che non garantisce la correttezza professionale. Poi nel gennaio 1998 annuncia di aver scovato l’arma finale per sistemare la carta stampata. È di una semplicità elementare: niente più processi penali ai giornalisti, bisogna instaurare «un sistema che consenta una rapida ed efficace tutela in sede civile e che preveda consistenti risarcimenti patrimoniali».
Detto fatto, ecco in data 10 febbraio 1998 la causa civile di Max al “Corriere della sera” per quanto ha scritto «su un fantomatico piano D’Alema per il sindacato». Richiesta: due miliardi di lire. La sinistra non va in piazza a protestare. Eppure Max pretende dal «convenuto Ferruccio de Bortoli» anche il giuramento decisorio. Vale a dire che deve giurare di aver scritto la verità a proposito delle intimidazioni dalemiane sugli azionisti di via Solferino.
Quale sorte ebbe questa causa? Confesso di non ricordarlo. Ma che importanza ha scoprirlo? D’Alema aveva tracciato un solco che, anni dopo, anche l’odiato Cavaliere avrebbe seguito.
17 settembre 2009 alle 12:34
Se è un colpo di stato, allora ne abbiamo già avuti di simili in questo paese.
E sul confronto che vedo fare spesso con D’Alema – e altri come lui -D’Alema non possiede televisioni o giornali, non è un dettaglio da poco.
Quanto alla Lega, non sarà una costola della sinistra, ma ha saputo attrarre moltissimi voti che una volta andavano alla sinistra, e per parecchio tempo è stata incerta sul colore da prendere. Xenofobia e dio Po a parte, che all’inizio D’Alema l’abbia definita così, non mi sorprende, cercava di intercettarla, e questo fa parte della politica.
Credo che bisognerebbe ripensare molte cose, molte vecchie definizioni.
17 settembre 2009 alle 12:55
Per creare un parallelo, bisognerebbe chiedersi se fu colpo di stato il fuoco, mediatico e parlamentare, aperto contro Bill Clinton all’epoca dell’affare Lewinsky.
17 settembre 2009 alle 12:59
Non c’è paragone tra l’Innominabile e D’Alema, così come tra l’I. e il resto del mondo. Per questo è innominabile. D’A. non possiede tutto il ben del diavolo che ha quello: tiene “solo” una fondazione (segno che fare l’ex premier ha una certa sua ricaduta economica). Il “confronto” è tutto sulle attitudini dei personaggi e sul disprezzo, variamente manifestato in svariate occasioni e da diversi pulpiti, verso alcune regole del vivere democratico. Oltre a una concezione acutamente leaderistica del fare politica.
In secondo luogo, se vuoi “intercettare” la Lega – in un periodo storico in cui la Lega aveva già detto tutto di sé in termini di razzismo e di populismo – lo fai con più… politica, e non cercando di svenderle – manco fosse roba sua – la… Sinistra!
17 settembre 2009 alle 13:42
Paolo, non posso che ribadire quel che ho detto. A te sembra che alcune di queste – chiamiamole – idee dei nostri nuovi ipotetici «salvatori» siano addirittura rivoluzionarie; a me sembrano la prosecuzione delle politiche berlusconiane, eventualmente edulcorate e «centrizzate».
Credo che il berlusconismo non sia affatto solo un sistema di comunicazione, ma proprio ed effettivamente di governare, fino in fondo.
Considerarlo solo un sistema di comunicazione mi sembra che lo sminuisca veramente troppo, giacché il suo governo le decisioni le ha prese, eccome.
Non faccio parte del gruppone che dice che questo governo non ha fatto niente.
Ha cambiato l’Italia attraverso nuove vulgate, nuovi costumi e nuove leggi (nuove leggi) dopo che il berlusconismo politico-televisivo gli ha consentito di arare il terreno.
Sono perfettamente d’accordo con te sul fatto che questo paese è in mano all’estrema destra. Figurati: vivo a Verona e so benissimo cosa significa, so decifrare le coordinate di questo tipo di politica.
Ma ancora una volta: non è che Berlusconi ci mette la faccia perché è un fantoccio. Berlusconi è a pieno titolo un pezzo di questo processo.
Infine, Giulio parla di «scenario» da colpo di Stato.
17 settembre 2009 alle 13:43
Mi correggo: «un sistema di governo».
17 settembre 2009 alle 14:24
Mah, a me pare che lo scenario dei primi anni ’60 fosse uno scenario da colpo di stato. E infatti ci fu il Piano Solo. Con il generale De Lorenzo. Che comunque fallì.
17 settembre 2009 alle 18:04
Non mi sembra uno scenario da colpo di stato per carenza del requisito di illegalità. Mi sembra, invece, uno scenario da eutanasia per eccesso di imbecillità, spero del cronista.
Mi auguro, con tutto il cuore, che non avvenga nulla di simile, perché sarebbe veramente l’inizio della fine.
18 settembre 2009 alle 08:32
Ricordo che i commenti firmati con indirizzi elettronici falsi (o, peggio, con indirizzi altrui) non vengono pubblicati. gm
18 settembre 2009 alle 09:02
Per il momento solo ammuina.
(Scusa Giulio, sono stufo di stare in quarantena)