[Schìcia qua sóra par lèzare l’artìco’o de República].
Gà dìto la Pàola Gòisis, ‘na deputàta de’a Léga, che i tìtoi de stúdio de Stàto no garantìsse ‘na «omogeneità de fóndo», e gnànca la «adeguatezza dell’insegnante»: ossìa no i garantìsse ‘na vérza. Anca parché, ‘a gà zontà ‘sta deputàta, «spesso i zé comprài».
Mi no dìgo gnénte, par carità. Magàri zé véro. E mi no so se ‘sta Pàola Gòisis ‘a zé una persóna intiijénte, o se ‘a zé una de que’e che ‘e dòpara el sarvèo só’o che par tignére distànte ‘e récie.
Ma compràr un diplòma zé ’na ròba da denúncia. E mi dìgo: ma ‘sta Pàola Gòisis, sàla calcòssa? Gàla ’na quàlche informassión? Gàla fàto ‘na denúncia? Un espòsto? Nómi, cognómi, soranómi, chi, cóme, quàndo, indóve?
Parché mi a gò ’eto quél che gà dìto e minìstro déi Èsteri, che chi che pàrla e no fa denúncia zé «insussistente». E mi, su ’ste ròbe qua, ghe vàgo drio, al minìstro déi Èsteri.
Tag: Paola Goisis
29 luglio 2009 alle 08:45
Mi pudaria anca fal, el test de dialett (lumbard). Son cressu cun’t i me noni, che i parlavan duma quel. Ma i me student i vegnan da tutt i part d’Italia. Alura ma toca imparà a parlà anca ‘l catanes e ‘l fugian? No, mi el test de la Goisis el fo no, e se fudess vun da qui ca cunta un coi coss a sto mund, la Goisis la mandaria da via’l cu. Inveci mi a cunti nient, e alura, cume tutt’i dì, giri la pagina del giurnal e suspiri.
29 luglio 2009 alle 10:02
Ma ce l’hanne mèje ditte, a sta squagghiachiumme, ca se ne fusse stète p’i prufessure d’u Sudde ca ce so’ jute a ffa’ nu cule accusì a u Norde, mo llà sope cata jesse manghe sapèssene legge e scrive?
Falla menì a jesse, cata me, a nzegnà, e pu’ vedìme se ce u mbère, u dialette mije.
29 luglio 2009 alle 10:14
Personalmente, io avrei un’altra idea: un test per la conoscenza perfetta della lingua italiana.
(In Pavés: mi avrìssi un’altra idea: un test ch’al garantissa ch’al prufessur al sa l’italian).
29 luglio 2009 alle 10:17
un capivu nenti, ma a mia mi pari ca a certi professuri c’avissino a fari l’esamu ri talianu, no ri dialettu! picchì si tutta a sustanza ra scola è impararisi un dialettu, i picciotti u puonno fari pi strata, o a casa, ca macari s’u insignano miegghiu. a scola unu ci va pi impararisi l’italianu, e v’assicuro ca certuni un c’arriniesciunu manco e se tu ci parri in dialettu, nu so dialetto oppure nu to dialetto, cca n’amu conclusu nenti, picchì scecchi sono e scecchi arrestano….
29 luglio 2009 alle 10:41
La Gioisis, póra cinna, l’è andèda a scóla da Bossi: an s’ pól menga pretènder c’la faga di bi rasunament. S’la cgnòss quèlcdon c’la cumprè la laurea e an la brisa denunziè, l’è na quajòuna; se invenzi la cngòss indsòn e la scòrr sol par dèr aria ai dent, l’è na quajòuna prezis.
29 luglio 2009 alle 10:51
Che invidia, io il dialetto non lo so, sono esule.
29 luglio 2009 alle 11:32
Giusto, giusto, provvedimento necessario. Io però ci metterei anche un test d’italiano per chi esce dai confini della padania visto che come guida di un gruppo di turisti veneti ho dovuto interpellare un interprete per capire le domande che mi venivano rivolte esclusivamente in dialetto.
29 luglio 2009 alle 12:20
Quindi il figlio del boss è stato ripetutamente bocciato per questo? Semplicemente non capiva le domande?
29 luglio 2009 alle 12:33
Ma MARYSTAR (la Gelmini…) non era andata da qualche parte a cattarsi una laurea?
29 luglio 2009 alle 12:54
Ma poi, quale dialetto?
Io abito a Caravaggio, provincia di Bergamo, diocesi di Cremona. A tre chilometri dalla mia città c’è Treviglio, provincia di Bergamo, diocesi di Milano. Questo territorio fu, per vari decenni, zona di confine tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia. Questo per dire quanto incasinata sia la storia, se la si vuol continuare a leggere con uno sguardo che non si evolva mai.
Tra Caravaggio e Treviglio c’era una pietra scolpita, detta «la Gatta», che segnalava il confine burocratico tra ducato e repubblica, e tra diocesi e diocesi. Per diversi decenni venne continuamente spostata avanti e indietro per allargare le pertinenze del «di qua» o del «di là». Quella pietra intorno al 1950 si trovava su una colonna nella piazza centrale di Treviglio, e quando i caravaggini vennero a sapere che era semplicemente appoggiata – una notte la rubarono. I trevigliesi si vendicarono allestendo la flotta aerea della Rat (repubblica autonoma trevigliese) formata da due aerei da turismo; su quegli aerei caricarono ortaggi e animali da cortile e bombardarono Caravaggio.
I due sindaci dell’epoca (di cui uno, quello di Caravaggio, era parlamentare della Dc) si dovettero incontrare in forma semiufficiale per dirimere la questione. Le trattative furono rese difficili da alcune differenze linguistiche… tre chilometri di distanza sono un abisso, a volte. Per dire: se un trevigliese va a nuotare, dice che «va a nüdà», mentre un caravaggino «va a squaià». E come si fa a trattare con una entità politica la cui sigla è «Rat», che tradotto in italiano significa «topo»? E in quale dialetto… cioè, lingua… (ai localismi non c’è mai fine, una volta che si comincia) doveva essere redatto il trattato di pace?
Per inciso, i due sindaci pare si parlarono in italiano – questa lingua franca recentissima, imposta con le armi dai piemontesi da nemmeno un secolo. Adesso la Gatta è tornata a Treviglio, e per sicurezza è stata murata in uno dei bar della piazza principale della città.
29 luglio 2009 alle 12:55
O forse, Mauro, lui si esprimeva correttamente in dialetto, ma i professori meridionali non capivano le risposte. gm
29 luglio 2009 alle 14:52
Guido, dalle tue parti rileggete troppo spesso la “Secchia rapita”. Vabbè l’amore per i classici, ma qui si esagera. g.
29 luglio 2009 alle 18:44
Vergognoso! Sono dell’UDC..Noi ci battiamo tanto sulla meritocrazia, sulla valorizzazione dei docenti in base alle proprie capacità e, alla fine, si rischia di non essere considerato “idoneo” perchè non si conosce il dialetto.. Bene! Bella legge!
E cosa si deve insegnare oggi? Il dialetto?? Idea assurda! In Italia molti alunni non sanno parlare correttamente l’Italiano..
Piuttosto puntiamo su questo:cerchiamo di migliorare la qualità dell’insegnamento, continuiamo la nostra battaglia per la meritocrazia, piuttosto che fermarci a queste proposte di legge..
Assurdo!
Marta
29 luglio 2009 alle 19:11
Rido, ma ci sarebbe da piangere.
L’ennesima proposta per dare un altro tocco di ridicolo alla nostra società.
Vogliono professori così,zero titoli di studio, noi studenti come usciremo dalla scuole?
Mi ci metto dentro pure io,dal 18 settembre infatti per me inizierà il quarto anno di liceo e diciamo che passando la maggior parte del tempo all’interno del mio istituto penso di sapere di cosa abbia bisogno la scuola italiana e chi siano i docenti validi e adatti a fare il loro mestiere.
I titoli di studio sono molto importanti, l’esperienza conta,ma il professore ha anche bisogno di una certa dose di sensibilità e pazienza per essere in grado di svolgere il suo lavoro,ma di certo non mi interessa un professore che sappia parlare il siciliano,certo è importante conoscere le tradizioni della propria terra ma non credo siano fondamentali per diventare docenti.
Credo che nella scuola italiana ci siano altri grandi problemi che andrebbero risolti, ma la Lega non si arrende neanche davanti ad uno scontro all’interno della maggioranza.L’udc si è sempre impegnato come partito del popolo affinchè i veri valori siamo all’interno di ogni istutuzione e come tale il mio partito non accetta una proposta di così basso livello.Le scuole,una delle prime agenzie formative per i giovani,ci insegnano il dialetto? Riflettendoci nella vita non me ne faccio niente di questa ”lingua”.Spero per il nostro paese che la Lega,essendo uno dei partiti all’interno della maggioranza,proponga qualcosa di più serio senza rendersi RIDICOLI.
30 luglio 2009 alle 13:04
Il dialetto o vernacolo ha un’altissima dignità, quando è la lingua madre. Ma trasformarlo in un pre-requisito istituzionale è non solo ridicolo: ne rappresenta l’autentica perversione paradossale. Come ordinare a qualcuno: sii spontaneo! La lingua madre s’impara dalla madre e si vive nella dimensione vernacolare della comunità. Il pubblico e il civile si fondano sull’universale. Confondere questi due livelli è solo l’ultima delle asinate di Bossi and Company.
30 luglio 2009 alle 21:37
La Lega che , secondo Bossi è un alleato fedelissimo, ha deciso di far scricchiolare il governo proprio nel momento in cui aveva bisogno di aiuto dagli alleati. Hanno pensato bene di uscire con una grave provocazione mentre Berlusconi era impegnatissimo a disbrogliare gli impossibili nodi del Sud. Non sono poi così tanto fedeli. Dall’opposizione invece il PD si schiera sempre a sfavore del PDL come ormai è storia della politica della seconda repubblica, mentre l’Udc cre un opposizione reale , argomento per argomento, trovandosi a volte a favore e a volte contraria. è questo il modo di fare opposizione. Un partito come questo cresce perchè dice veramente ciò che pensa e non schiera a prescindere contro Berlusconi!
30 luglio 2009 alle 22:49
posso dirvi una cosa che mi ha piacevolmente sorpreso? Ho letto capendole senza bisogno di tradurle tutte le missive (pardon i post) redatte nei vari dialetti dei mittenti. Non sono un particolare studisoso, semplicemente un emigrato con la passione da sempre di girare l’Italia con le orecchie (e il cuore) aperti. Alla fine vale la vecchia legge di base della comunicazione: l’accordo fra i parlanti. I dialetti contemporanei sono comunque abbastanza annacquati di una realtà comune in cui si rispecchiano e quindi a maggior ragione comprensibili anche agli allofoni. e’ possibile capirsi parlando ognuno la propria lingua, sarebbe divertente (e l’ho sperimentato) parlare ognuno la lingua dell’altro, ma è macchinoso. nella relatà si finisce per parlare tutti la lingua del posto. Ognuno con le propre inflessioni, tanto alla fine per quante evoluzioni possa avere la nostra storia linguistica alla bocca ci arriva sempre il ritmo del respiro di nostra madre.
31 luglio 2009 alle 00:15
Li milecentotrentacenque nato / foe questo tempio a San Gogio donato / da Glelmo ciptadin per so amore / Et toa fu l’opra Nicolao Sculptore.
Sao ko kelle terre, per killi fini que ki contiene, cento anni li possette santi parte benedicto
O sciur de puaret, tutti i ricchi c’han il cornet