Il cielo

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di giuliomozzi

[Lo so, sono in ritardo. Il quarantesimo anniversario dell’allunaggio era il 20 luglio. Ma per qualche giorno – come si sarà notato – varie forme di comunicazione mi sono state precluse (la serie della donna ideale va avanti da sé, vive di vita propria). Questo pezzo è dal libro Sotto i cieli d’Italia, al quale hanno partecipato Dario Voltolini, Massimiliano Nuzzolo e Carlo Dalcielo. Se la Luna vi intriga, frugate un po’ nel blog di Cletus. gm]

Per me il cielo è sempre stato qualcosa che stava molto in alto. Da bambino abitavo in una cittadina di mare, d’estate c’erano solo turisti in giro, il cielo era sempre molto sereno e le nuvole, quando c’erano nuvole, erano cirri lontanissimi e sottili.

Solo ogni tanto il cielo si abbassava, diventava nero e si abbassava fino alle cime delle case. A volte eravamo in spiaggia e da lontano vedevamo il cielo che si abbassava, diventava nero e sembrava srotolarsi sopra il mare come un grosso panno di feltro. Scappavamo dalla spiaggia in fretta e già in mezzo al vento, con la sabbia che ci entrava negli occhi e gli ombrelloni che ci correvano dietro rotolando e saltando.

«Svelti! Svelti!» diceva la mamma. «Dobbiamo sbrigarci, prima che arrivino le trombe d’aria».

Le trombe d’aria a volte le vedevamo davvero, quando il cielo basso arrivava così in fretta che non ce la facevamo a rifugiarci a casa. Allora ci schiacciavamo tutti dentro al Gran Caffè del Mare, che aveva grandi vetrate e grandi porte a vetri. Le trombe d’aria arrivavano e passeggiavano sulla spiaggia, erano grandi colonne nere che succhiavano la sabbia e lasciavano dei solchi profondi fino a mezza gamba.

Perché poi andavamo a vederli, naturalmente, i solchi. Erano una grande meraviglia. La mamma diceva che se fossimo rimasti in spiaggia la tromba ci avrebbe portati via. «Via dove?» domandavamo. «Via», diceva la mamma. «In cielo».

Ma queste cose succedevano raramente. Per quasi tutto l’anno il cielo era altissimo e non si avvicinava agli uomini.

Il mio spavento più grande fu quando andammo in montagna, dal nonno, a Lozzo di Cadore. Ci furono giorni di sole e poi all’improvviso un giorno di nuvole. E le nuvole – io le vedevo benissimo – erano più in basso di noi.

Mi ricordo che piansi tanto per lo spavento. La mamma non riusciva a capire, il nonno neanche. Quando il papà telefonò dalla Romania, la sera, stavo piangendo ancora. Mi ricordo che mi disse: «Non preoccuparti, anch’io per andare in Romania ho preso l’aeroplano, sono passato attraverso il cielo e non mi è successo niente di male».

Quando il papà tornò dalla Romania mi costruì un aeroplanino ritagliando il legno sottile delle cassette da frutta. L’elica funzionava con l’elastico. Mi spiegò tutto, mi ricordo ancora la parola portanza. Andavamo in spiaggia a farlo volare e lo perdevamo sempre in mezzo agli ombrelloni. Quando lo raccoglievamo mi sembrava una cosa magica, perché quell’aeroplanino era stato nel cielo, e perché sopra un aeroplano quasi uguale a quello, però molto più grande, mio papà era volato fino in Romania per lavorare.

Mi ricordo che la Romania era lontanissima.

Fu l’anno dopo che il papà mi disse, un giorno: «La prossima notte ci saranno degli uomini che voleranno fino alla Luna». Quando venne buio andammo tutti sulla terrazza, e il papà e la mamma ci parlarono a lungo della Luna. Dicevano che sulla Luna forse vivevano degli animali strani, magri e pallidi; oppure forse non ci viveva nessuno: non si sapeva bene. Gli uomini andavano lì per saperlo.

La notte dopo andammo tutti al bar Nido d’oro, proprio sotto casa. Avevano portata fuori la televisione e messe le sedie tutte intorno. Noi andammo giù presto e così ci potemmo sedere. A un certo punto però il papà si alzò per lasciare il posto a una signora, e poi la mamma mi fece sedere sulle sue ginocchia per lasciare il posto a un altro signore anziano.

Io mi addormentai. La mamma mi svegliò al momento giusto. Dalle immagini dentro la televisione non si capiva tanto. La mamma mi spiegava parlandomi sottovoce nell’orecchio, ma la gente intorno gridava e batteva le mani. Ogni tanto al posto delle immagini confuse facevano vedere un uomo con gli occhiali grossi e il ciuffo – era Tito Stagno, adesso lo so – che raccontava tutto in un modo semplice. Io comunque avevo molto sonno e ogni tanto mi cadeva la testa. Però mi ricordo benissimo quando l’uomo si alzò in piedi battendo le mani e gridando forte: «Gol! Gol!».

Dopo quel giorno stavamo spesso fuori sulla terrazza, la sera, e pensavamo a quegli uomini che erano così lontani. Il papà costruì un cannocchiale con un tubo di cartone e delle lenti, e diceva che quel cannocchiale avvicinava la Luna di cento volte. Anche guardandola col cannocchiale, però, la Luna restava lontanissima. Gli uomini che c’erano sopra non si vedevano.

Poi, un giorno successe che venne un vento fortissimo. Restammo chiusi in casa per tre giorni e c’era la paura dell’alluvione. Era inverno, e l’anno dopo l’alluvione venne veramente. Quell’anno il vento durò tre giorni e poi non ci fu più. Smise di notte, ce ne accorgemmo tutti perché finì di colpo il rumore. Io mi svegliai e andai in camera della mamma e del papà. Avevo sognato che il vento portava via le cose e le persone, e mi era venuta paura. Allora il papà mi mise il cappotto sopra il pigiama, se lo mise anche lui, mi prese in spalla e mi portò a fare il giro dell’isolato, perché vedessi che era tutto a posto.

Io guardai le cose e vidi che erano tutte a posto. Poi guardai in alto e vidi che il cielo era tutto bianco. Anche il papà guardò in alto, e si fermò ammirato. C’erano tantissime stelle, non avevamo mai viste così tante stelle. Sembrava che avessero gettato dello zucchero addosso al cielo. E facevano tantissima luce. Restammo a guardare tutte quelle stelle, anche se avevamo freddo. Il papà mi disse: «Vedi, vicino a ognuna di quelle stesse c’è un pianeta proprio uguale alla terra, e su ognuno di questi pianeti c’è il mare. Vicino a tutti i mari ci sono dei paesi, e in tutti i paesi vicino ai mari, in questo momento, è notte. È notte, è passato il vento, e in ogni paese c’è un papà che va in giro nella notte, con il suo bambino sulle spalle. E il papà e il bambino guardano le stelle».

È per questo, e in onore di mio padre, che ho deciso: da grande voglio fare l’astronauta e viaggiare nel cielo.

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4 Risposte to “Il cielo”

  1. cletus Says:

    il brano è delicatissimo.Non lo conoscevo.

    Resta il fatto: possiedi o no, a tutt’oggi, questi benedetti super-otto di (dell’) EPOCA ?

  2. vibrisse Says:

    Li ha mio padre, da qualche parte. gm

  3. cletus Says:

    …somewhere, over the rainbow ?

  4. vibrisse Says:

    No, più probabilmente in garage. gm

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