I fatti, come si dice, sono noti.
I giornali (ultimi, il Times e l’Independent) dicono che l’Italia si appresta a un terremoto politico. Forse, forse, definitivo: pare che re Silvio, sopravvissuto a bordate che avrebbero abbattuto più di un pilastro (al confronto lo scandalo Lewinsky pare fuffa), sarà costretto a dimettersi entro l’autunno per quello che mi piace chiamare il trenino-gate.
La domanda è questa. E poi? Pare, da voci di corridoio che più che di corridoio pare ormai siano di piazza, anzi, da stadio, che i suoi alleati siano pronti a ritrarsi schifati come se della gioiosa condotta del premier mai avessero saputo; come se quel pomo d’Oro che si sono trovati finora in mano e passati ridendo si fosse rivelato d’improvviso un ananas, e senza sicura. La Lega chiede tetti e non tette, Fini e i suoi hanno probabilmente impugnato e stanno adoperando un martello per le loro parti intime per essersi accollati il peso di quello che, senza il premier, rischia di diventare una carcassa mangiata dalle mosche.
Ma, ripeto, e poi? Sono anni (quindici, contati uno per uno) che Silvio imperversa. Vive, gongola, condanna, si lamenta, cornifica e corneggia. Anni di gaffes. Anni di corna, di mister Obama, di turisti della democrazia, di toghe rosse, di bandana, di non l’ho mai detto, mai conosciuto, mai visto, di non pagate le tasse, di milioni di posti di lavoro, di eletti dal popolo, di comunisti che concimano i campi coi bambini, di unti dal Signore, di lo giuro sui miei figli. Quello che credo è che, una volta partito il treno, vadano smantellate pure le rotaie, ossia quella fabbrica del consenso da lui sapientemente orchestrata e che si è prestata a portare avanti il gioco fino il fondo, oltre il fondo. Dire che sia tutta colpa di Silvio sarebbe assurdo e antistorico. E Vespa? E Fede (che, ma è un mio parere, è meno pericoloso di Ricci)? E, direi addirittura più in profondità, tutti i giornalisti che hanno appoggiato dichiarazioni senza porsi domande né porre freni? E gli Uno Mattina, i Matrix, i tg Uno, gli Striscia? Quale sarà la carriera di Mobrici, di Minzolini, di Belpietro, di Feltri, di Rossella, di Mimun? Con quale serietà si sopporterà un inviato che pone un microfono senza interporre una domanda?
Quello che credo è che dovremo fermare la nostra, di macchine del consenso. Fermarci significa capire che per anni abbiamo deriso anche noi quella donna della politica perché sembrava un maschio, o quella perché aveva la voce stridula; fermarci significa capire che la nostra sopportazione delle vallette, la nostra sopportazione delle urla televisive, la nostra sopportazione di coprofagia e coprolalia sono state strumenti del potere che ci hanno – in qualche modo – trasformati in vallette, assistenti sorridenti allo sfacelo senza diritto di parola.
Antonio Gramsci disse «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Non è male, come slogan. Forse è l’unico slogan che val la pena di salvare.
27 giugno 2009 alle 20:10
In effetti, il potere di Berlusconi è fondato (anche) su alcuni vizi italici: il conformismo nell’illegalità, l’idolatria della furbizia, l’egoismo familistico, lo scetticismo credulone e così via … l’elenco è lungo. Però, a ciascuno il suo. Il popolo non è innocente, ovvio, ma quelli che hai citato sono certamente più colpevoli. E il più colpevole di tutti un giorno si sveglierà e capirà di essere stato usato dai suoi clienti e dai suoi servi. Forse.
27 giugno 2009 alle 20:21
Fai clic per accedere a testo_anticrisi.pdf
27 giugno 2009 alle 21:43
Il problema e’ che nell’era del berlusconismo gli “slogan” di Gramsci sono stati gia’ ripresi e “lavorati” da Gelmini, Dell’Utri e Bondi. Per non parlare di Sarkozy. Non resta niente.
28 giugno 2009 alle 02:47
Carlo, El Pais dice (correttamente, per me) che gli italiani è ora che smettano di occuparsi di Silvio e tornino ad interessarsi di Antonio.
E’ un discorso complesso. Io credo che non bastino Gelmini, Dell’Utri e Bondi per mangiare e rigurgitare Gramsci. Troppo complesso.
28 giugno 2009 alle 10:26
Quello che volevo dire e’ che per un insieme di fattori non tutti riconducibili al potere mass-mediatico delle destre ma anche al lassismo delle elites culturali del paese, viviamo ormai in una terra di confine dove ogni pensiero o azione si risolve in una sorta di meticciato ideologico senza direzione precisa o spinta propulsiva. Il “gramscismo liberale” tanto caro ai Sarkozy e ai Dell’Utri e’ solo un esempio. Forse, mi dico, e’ piu’ opportuno a questo punto ripartire dal niente, o meglio dalla definizione di nuovi sistemi, che non abbiano riferimenti culturali precisi, e in cui pero’ ognuno possa riconoscersi in maniera evidente e pratica. Penso per cominciare a una filiera della produzione e della distribuzione dei beni su base associazionistica e di puro volontariato, che abolisca il profitto e si regga sul mutuo scambio. Ma forse le mie sono solo farneticazioni.
28 giugno 2009 alle 11:31
Non mi paiono farneticazioni, ma pensieri – sensati – che però non possono attecchire in Italia.
Ridiamo della burocrazia, per dire, ma entra in un Comune o in un consorzio e vedrai lavoratori alacri accanto a lavoratori che senza un bollo minacciano un colpo apoplettico. Siamo il paese del “Per colpa di qualcuno credito a nessuno”. E’ da lì che dobbiamo ripartire.
28 giugno 2009 alle 14:55
dal blog di aldo busi segnalo questo interessante articolo che bene evidenzia la tara originaria dell’ Italia, ciò che la distingue dagli altri paesi europei più avanzati: la paterna comprensione della chiesa cattolica (e della classe dirigente che ad essa fa riferimento) nei confronti dei lestofanti, in cambio di un “omaggio formale” e di un obolo consistente.
http://altriabusi.wordpress.com/2009/02/14/il-colore-dei-soldi-in-vaticano/
28 giugno 2009 alle 18:02
complimenti per l’articolo.
http://riflessioniquotidiane.wordpress.com