[Questo articolo di Francesca Mazzucato è apparso in Cabaret Bisanzio].
E’ un libro feroce e doloroso questo primo romanzo di Patrizia Patelli. La perdita della madre, la malattia che fiacca un corpo che un tempo è stato indomabile, fortissimo, esagerato nel suo spendersi per mostrarsi corpo-guerriero, corpo di lavoratrice, corpo che non conosce sosta. Una figlia lontana, con cicatrici che sanguinano ancora, cicatrici che arrivano dalle microviolenze subite dell’infanzia, piccole cose, piccole sciatterie, indelebili momenti di distrazione, di distanza: sanguinano con un niente e con un niente monta la rabbia, la violenza per l’ingiustizia subita, questa perdita troppo precoce e veloce per aver permesso una pacificazione. Sono dettagli che compongono ricordi, cose che paiono insignificanti ma non lo sono, episodi che affiorano, che emergono ora adagio, delicatamente, ora violenti come un rigurgito acido. E, in qualsiasi modo si presentano, occorre aprirsi, accoglierli, pensarli in varie ipotesi diverse, riscriverli, vomitarli lontano, coccolarli come cuccioli indifesi. Occorre, per arrivare a una forma di riconciliazione. E’ l’unico modo, la scrittura, è necessità e urgenza. Un romanzo intessuto di materia viva e di dolore che si sente dentro le pagine, raccontato con un linguaggio stratificato, composto, originale. Linguaggio che cambia, che si sveste e si traveste. E’ ora lettera, ora monologo febbrile, visionario, tachicardico.
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