[Questo articolo di Giuseppe Genna è apparso oggi nel suo sito. Del libro di Giorgio Falco scrive oggi anche Mauro Covacich nel Corriere della sera].
Mi occuperò di tre libri, appena avrò il fiato di farlo. Si tratta di tre romanzi perforanti: Il tempo materiale di Giorgio Vasta (minimum fax), su cui da mesi rifletto; Il mio nome è Legione di Demetrio Paolin (Transeuropa); e il libro che segnalo oggi, L’ubicazione del bene di Giorgio Falco (Einaudi Stile Libero). Sono tre romanzi che mi appaiono fondamentali per il nostro tempo narrativo italiano.
Il libro di Giorgio Falco, che non c’entra assolutamente nulla a mio parere con Carver (così ho letto in giro), ma c’entra tantissimo con Cheever e con una tradizione italiana in cui vedo Volponi assai presente (congiunto obliquamente con una linea “impossibile” che da Leopardi, passando per Pascoli, attraversa Michelstaedter – ma sia chiaro: queste sono impressioni mie e soltanto mie), non è una rappresentazione mimetica e nemmeno allegorica del presente post-industriale o della faglia temporale che stiamo vivendo: è infatti un romanzo teologico e la post-industria non è un’ontologia, ma una sociologia. Se preso dal verso della rappresentazione cinica di un tempo umano spettrale, L’ubicazione del bene sarebbe un romanzo sociologico: lo sembra, in effetti, e non lo è. Se preso dal versante della meditazione sul Bene, immediatamente il Bene viene inteso come scelta morale, come opzione, come preterizione umana: e ciò anche sembra essere il libro di Giorgio Falco, ma non lo è.
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