di Davide Brullo
Questo articolo è apparso nel quotidiano Libero il 28 febbraio 2009.
Un bel cadavere su cui i giornalisti possono spadroneggiare, piluccare, divertirsi. Dentro Carlo Coccioli (1920-2003) hanno già messo il muso in molti, ed è ovvio, perché il giornalista si getta dove la notizia guizza, e Coccioli ha tutto per allietare, insalivare le mascelle della iena. Antifascista e medaglia d’argento per la Resistenza, omosessuale, Coccioli, penna prodigiosa, pubblica il primo romanzo a 26 anni, per Vallecchi, si trasferisce nel 1949 a Parigi, dagli anni Cinquanta è a Città del Messico, patria eletta, il luogo dove morirà. Nel frattempo viaggia, scrive per i quotidiani più noti d’Italia, è un convinto anticlericale con il tarlo di Dio, ondeggia, con l’ansia acuta e intellettualmente acuminata del cercatore, tra ebraismo (la madre, Anna Duranti, è di ceppo ebraico), induismo e un inquieto buddismo.
Soprattutto, scrive una turba di libri (tra cui Fabrizio Lupo, dove fa i conti con la sua omosessualità, che scandalizza mezza Europa), che, e qui sta il bello, hanno successo ovunque, dalla Francia all’Inghilterra alla Spagna, tranne in Italia, terra di eccentrici di palta ed estremamente tiepida riguardo agli eccentrici veri.
Soprattutto, e qui sta il grasso che manda in delirio il giornalista, Coccioli si conquista il marchio di “scrittore alieno” (Carlo Bo) e di “grande assente” (Pier Vittorio Tondelli). Insomma, i materiali per imbastire un articolo alla rinfusa, scansando il libro, ci sono tutti.
E infatti molti lo ignorano, limitandosi a ricalcare la cartella stampa, che ce lo annuncia “degno di essere accostato – per ricchezza storica e profondità spirituale – alle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar”, eventualmente rimandando, come faceva il risvolto Mondadori del 1989, alla “splendida tetralogia di Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli“. Finalmente, il libro: s’intitola Davide, è stato riedito da Sironi (pp. 350, euro 17: l’introduzione è un grazioso inno d’amore di Giulio Mozzi; la prima edizione è del 1976, targata Rusconi). Davide è il romanzo con cui Coccioli vince il Campiello, ed è “l’apice della mia vocazione di scrittore”, come ci avverte l’autore.
Il libro l’ho dilaniato, divorato. Mi hanno dato in dote questo nome, Davide, che vuol dire pressappoco “il beneamato”, e io ho fatto di tutto per onorarlo: fin da piccolo sono cresciuto leggendo e rileggendo le imprese del re d’Israele, raccontate da Coccioli. Davide: uomo completo, totale, adultero e omicida, temerario e compassionevole, guerriero e poeta, che uccide il mostro, Golia, e che latra, nel salmo 22, “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”.
Dio conosce l’arte di stupire, di prendere sempre in contropiede. Davide è l’ultimo dei figlio di Iesse mentre Saul è “un Beniaminita, della più piccola tribù d’Israele” e fugge l’investitura, “nascosto in mezzo ai bagagli” (1 Sam 10, 22). Mosè è un figlio abbandonato nel fiume. Giacobbe il secondogenito che vince per un piatto di lenticchie la primogenitura, e gioca d’astuzia. Insomma: Dio non elegge gli eroi, ma gli ultimi, gli inattuali e i sinistri, comunque, sbalestra sempre le opinioni degli uomini. La storia di Davide, poi, non si conclude e realizza nella sua esistenza terrena, da re meraviglioso e peccatore, essendo il progenitore del Messia, venuto (Gesù) o a venire (proprio in questo senso lo Zohar, il libro mastro della mistica ebraica, ne esaspera la figura).
Dunque, dove sta la rogna di Coccioli? Che nel suo libro, stilisticamente elaborato, c’è troppa psicologia (il dramma del romanzo moderno). C’è troppo di tutto, ed è, paradossalmente, tutto troppo poco. Lo leggo, e desidero le frasi crude e perentorie del Libro di Samuele, lo scarno resoconto delle Cronache. Me lo spiego così, come farebbe Erich Auerbach: gli eroi della Bibbia non sono tipi (come i grandi di Grecia, Ulisse e Antigone, Edipo e Oreste, netti e bidimensionali, che attendono lo scavo, la sfasatura, la pretendono), ma uomini. Respirano, sbagliano, vivono. Per questo la storia sacra (perfetta, sotto ogni frase il fedele scopre Dio) non va riscritta, ma studiata, al limite deviata altrove (come ha fatto, per esempio, lo svedese Torgny Lindgren nel romanzo Betsabea del 1984).
Forse è per questo che razziando la Bibbia gli scrittori si sono trovati quasi sempre con un pugno di sabbia in mano: le storie che sono narrate lì dentro non possono racconatarsi altrimenti che con quelle rare parole uncinate, distillate, rotte da quei fragorosi silenzi. Probabilmente, è lo strumento del romanzo, che sfonda, amplia, deflagra, a essere inefficace. Così, cavalcando Coccioli, vale la pena di ripigliare l’algida tragedia di Vittorio Alfieri dedicata a Saul (1782), il re esasperato e delirante, shakesperiano. C’è, nella sua carne, la più bella descrizione di Davide, data proprio dal suo nomico, Saul: “Inesplicabil cosa / questo Davide era per me […] / ei mi disarma, e colma / di meraviglia tanta, ch’io divento / al suo cospetto un nulla…”.
Se non riuscite a trovare il Davide di Carlo Coccioli in libreria, ricordate che potete acquistarlo presso l’editore con il 10% di sconto e la spedizione postale gratuita (vedi qui le condizioni); oppure presso una delle tante librerie in rete: InternetBookshop, La Feltrinelli, BooksOnLine, Libreria Universitaria, Hoepli.it.
2 marzo 2009 alle 11:20
Continuano i commenti anonimi. C’è chi scrive che il “Davide” di Coccioli sarebbe “un’operazione Sironi per accalappiare i gonzi”, c’è chi definisce il libro “inutile”, eccetera.
Ma nessuno di questi severi critici ha il fegato di firmare con un’email valida. E per questa ragione non pubblico i loro commenti.
giulio mozzi
2 marzo 2009 alle 12:08
Lo sto leggendo, è un bellissimo libro.
Ma perché questo recensore scrive in stile hard boiled (‘hanno messo il muso in molti’, ‘dove sta la rogna’…)?
Boh, sarà il suo modo di essere eccentrico…
6 marzo 2009 alle 16:21
A me l’unica cosa chiara, pare, è che ‘sto Brullo ha letto un po’ di cose su Coccioli, qualche comunicato stampa, qualche articolo scritto da terzi, ma non il romanzo. E infatti non ne parla, se non per dire che dentro c’è troppo di tutto (cioè per dire niente) e mettere in fila un po’ di luoghi comuni sugli studi di teologia narrativa (ma Lindgren l’avrà letto? lui sì che è psicologico, lui sì che è agli antipodi di Auerbach).
6 marzo 2009 alle 16:36
Mi stupiscono sempre le persone che sanno che cosa hanno fatto o non hanno fatto altre persone (che magari nemmeno conoscono).
Faccio notare che Brullo, nel suo articolo, non dice che gli arti recensori non hanno letto il libro: dice che nel fare l’articolo si sono largamente serviti dei materiali di contorno forniti dall’editore, e che hanno fatto il pezzo più sulla biografia dell’autore (facile e gustosa da raccontare) che sul libro stesso (bello ma arduo). Il che mi pare evidente soprattutto per gli articoli più brevi (non certo per quelli di Doninelli o Scarlini o Pegoraro, per dire): e sarà accaduto anche perché i materiali non erano poi fatti così male… 🙂
giulio mozzi