di Mario Belpoliti
[Questo articolo di Marco Belpoliti apparve nel settimanale L’Espresso dell’1 febbraio 2001. Nei prossimi giorni il libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, pubblicato nel 2000 da Einaudi, sarà reso gratuitamente prelevabile, in formato pdf, qui in vibrisse. gm]
Esiste ancora lo “scrittore civile”, quello che si fa carico di ricordare ai suoi lettori di essere parte di una comunità di cittadini, di uno Stato? Uno scrittore che tratta temi “politici”, della polis? Dopo la scomparsa di Pasolini e di Sciascia, anche la figura dello “scrittore civile” sembra essersi eclissata dal paesaggio della letteratura italiana. C’è un grande scrittore civile, Alberto Arbasino, ma anche lui appartiene a quella generazione. Lo ha ricordato di recente Franco Cordelli, gli scrittori nati negli anni Cinquanta (Piersanti, Lodoli, De Carlo, Palandri, ecc.), per non doversi misurare con le figure giganti dei Padri, hanno abbandonato il campo dell’impegno civile e sono messi a raccontare un mondo di sentimenti, una quotidianità, in molti casi, a “bassissima definizione”.
Adesso sembra che qualcosa stia cambiando, s’affaccia una nuova leva di autori, nata negli affluenti anni Sessanta, alcuni già noti, che manifesta un nuovo interesse per la letteratura civile. Ne è un esempio il libro di Giulio Mozzi, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, uscito mesi fa e passato quasi sotto silenzio. E’ un libro importante, non solo o non tanto per i suoi risultati letterari – è un poema strutturato in 13 parti, racconti in bilico tra poesia e prosa – quanto per l’atteggiamento che assume l’autore. Non a caso, tra i suoi molti modelli, c’è anche Le ceneri di Gramsci di Pasolini. La morte è un tema spesso rimosso dai discorsi quotidiani, i morti invece no. I morti fanno parte del nostro paesaggio mentale: la vita delle persone è fatta non solo dai “presenti”, ma anche dagli “assenti”. Lo stesso vale anche per la società: senza i morti, una polis è dimezzata.
Mozzi è uno “scrittore civile” perché dialoga coi morti, famosi e no, tratta del sesso, si rivolge a Dio, s’interroga sulle ragioni dei vivi in questo paese che abitiamo. Lo fa con una voce forte, a tratti ironica, sarcastica, sempre dolente. Si può essere “scrittori civili” solo se si è scrittori sentimentali ed elegiaci. Mozzi lo è.
27 febbraio 2009 alle 08:22
E’ vero, bisogna tenere vivo il dialogo coi morti, sia in quanto “nostra cultura” nel senso più ampio del termine (Foscolo, “I sepolcri”), sia in quanto combattenti di battaglie civili che ci hanno lasciato in eredità (Pasolini, Sciascia, Fenoglio ecc.)
27 febbraio 2009 alle 08:52
Che sia prelevabile è una bella notizia. Mi ha sempre interessato molto, il libro. Saluti.
27 febbraio 2009 alle 08:52
Attendiamo il pdf.
Saluti!
27 febbraio 2009 alle 09:04
ma mozzi è anche bene o male una persona conosciuta, che ha dei contatti, così come credo tutti coloro che appartengono a una generazione un pò più vecchia della mia… per loro, anche se il libro passa sotto silenzio, si riesce comunque a pubblicarlo… se mi mettessi io (che sono uno sconosciuto) a scrivere un libro “civile” e lo inviassi a una casa editrice qualsiasi, dubito che verrei pubblicato, il mio lavoro verrebbe quantomeno giudicato come invendibile e noioso, perchè nel bene o nel male i numeri fanno la differenza… certo c’è pur sempre la piccola editoria, ma lì molto spesso ti chiedono il contributo economico e allora direi che il civile può anche andare a farsi benedire, se devo pure pagare per parlare, o posso scrivere di uno pseudo-civile edulcorato nel romanzetto (così posso pure partecipare ai premi), ma l’ho sempre ritenuto un annacquare il necessario sentimento di sdegno alla base del tutto… menomale che ci restano i blog!
27 febbraio 2009 alle 11:33
Avevo trovato il libro sette anni fa. A Padova. Ospite di una signora che durante lo stesso breve soggiorno mi aveva fatto conoscere Vitaliano Trevisan… Ricordo l’emozione di allora quando ho scoperto che nel poema si accenna anche a Tortona e allo sconvolgente episodio dei sassi gettati dal cavalcavia… Quanti ricordi, se ci penso.
27 febbraio 2009 alle 20:17
Per me è il libro più bello di Giulio Mozzi, forte, potente, irradiante. Il paragone con Pasolini de “Le Ceneri di Gramsci” è perfetto nel rendere il senso e il valore della qualità poetica e civile dell’opera. Paradigmatico il silenzio che l’ha avvolta.
Approfitterò dell’ebook per farlo leggere ad amici. Io ne ho una copia, trovata casualmente in una libreria di remainders e comprata al volo, qualche anno fa.
29 aprile 2013 alle 06:06
Sempre acuto Belpoliti. Concordo con la sua definizione, oggi, di “scrittore civile”.