La bagarre scatenata intorno alla vicenda di Eluana è emblematica. Ci sono ragioni da una parte e dall’altra; il problema, secondo me, non sono le ragioni, ma i torti. E il torto è uno: la mancanza di rispetto, il voler affermare la propria visione delle cose in una rissa in cui si smarrisce il punto di consistenza della questione: il bene di Eluana. La tragedia è che nessuno può sapere quale sia questo bene. Se cioè Eluana fosse pronta a morire, o se il cammino della malattia richiedesse ancora tempo, se ci fosse qualcosa da elaborare nelle cellule incapaci di comunicare normalmente, ma ancora presenti alla vita in modi per noi indecifrabili. A mio parere nessuno possiede gli strumenti per interpretare il codice di un malato nelle condizioni di Eluana, per cui la soluzione dovrebbe essere una sorta di sospensione di giudizio, l’accettazione della presenza enigmatica ma eloquente di una vita che non vuole esaurirsi. Parlo di un caso come quello di Eluana, in cui il respiro è spontaneo. Ma ci sono situazioni in cui il malato è sostenuto da una macchina: un mio carissimo amico è affetto da SLA: riceve l’ossigeno, ma è lucido e risponde agli stimoli. Una legge sul testamento biologico, secondo me, dovrebbe tener conto della psicologia del malato, che in condizioni di emergenza può aggrapparsi alla vita in modo imprevedibile. La soluzione è più complessa di quanto gli schieramenti ideologici possano sostenere, spesso con violenza. Il rispetto implica un’apertura all’altro senza limiti e senza riserve. Più che una legge, è necessario uno spirito: che vuol dire, appunto, respiro.
10 febbraio 2009 alle 17:12
Non ho una fede religiosa, però credo di capire che cos’è una fede religiosa. Se dovessi spiegarlo rimanderei alla prima lettera dell’epistolario di Lorenzo Milani, quella all’operaio di sinistra.
Penso anche di avere rispetto per quella forma di vita religiosa. Però non riesco a capire e mi sconcerta l’atteggiamento antiscientifico che a volte va di pari passo con la religione. La volontà di conoscere la natura dovrebbe essere un tutt’uno col sentimento di amore per un dio che ha creato quella natura.
Invece no, ci sono fedeli che alimentano un sentimento proiettivo sul mondo naturale che serve a colmare i buchi di conoscenza e soprattutto le censure.
Succede per l’omossualità, cosa che porta a dichiarazioni umilianti verso persone che per lo statuto originario della chiesa dovrebbero essere amate (quindi prima di tutto capite). Succede per il transessualismo, ancora una volta additando e condannando. Succede in questo caso, in cui – spiega la medicina,- c’è un cervello atrofizzato grande quanto un’arancia, che per il tipo di lesione e per l’atrofizzazione avanzata non potrà mai più tornare a funzioni diverse da quelle ‘primarie’, cioè quelle in cui il corpo è soltanto ‘macchina’. “Crocifissi a una macchina”, scriveva Antonio Moresco. Allora non c’è nulla che non sia chiaro. O meglio, per non essere chiare le cose, occorre chiudere gli occhi davanti alla natura, al creato. Si chiudono gli occhi. Si ascolta il respiro. Ci si convince che il respiro sostituisca la realtà, quel cervello grande come un’arancia.
10 febbraio 2009 alle 17:21
Quando dico che ‘rispetto’ il sentimento religioso, non voglio dire soltanto che lo tollero, ma penso che possa dare dei frutti ottimi per la società, come dimostra appunto l’esperienza di Lorenzo Milani, uno dei più grandi intellettuali (ma intellettuale ‘operativo’ per così dire) che abbia avuto il nostro paese.
10 febbraio 2009 alle 18:58
Credo (come Pietro Ichino, senatore del PD) che il legislatore dovrebbe definire la vita certa e la morte certa. In mezzo, lasciare la cosiddetta band of reasonableness, cioè lo spazio delle opzioni possibili, nel quale il cittadino può scegliere secondo la propria coscienza. Lo Stato deve regolare le vite degli individui senza che questi debbano mai perdere la propria dignità.
10 febbraio 2009 alle 20:16
Credo che nel “fronte avverso”, tra coloro che volevano far tenere in coma un corpo con l’alimentazione forzata, vi siano persone in buona fede, con ragioni e motivazioni degne sulla suprena sacralità della vita. Scremando, ovviamente, la classe politica nel suo insieme, che ha dato prova, quantomeno, di indegnità. Ma, io da ateo, mi pongo una domanda, forse ingenua, a cui non so dare risposta, semmai un sospetto di manipolazione politica. Se la vita umana è valore supremo, sacro, cosa faranno costoro domani, quando il dramma di Eluana sarà solo un ricordo (o, per i media, nemmeno quello, ma solo un lavoro sbrigato)? Non sanno costoro, facendo un esempio tra i tanti, che in ogni minuto che passa, muoiono un certo numero di bambini di malattie facilmente curabili (almeno qui da noi, nei paesi ricchi) o di fame? Non sono quelle vite umane vive (e non solo vegete)? Dove sta per costoro l’attenzione umana alla vita altrui? Continueranno costoro nel loro lavoro, nei loro svaghi, nei loro sport, in attesa di pronunciarsi nei confronti di un altro “caso Englaro”? Cioè la sacralità della vita si ferma alle frontiere nazionali?
10 febbraio 2009 alle 23:59
Ho vissuto molto tempo in sala di rianimazione, tra persone in coma. E’ lì che ho imparato a cogliere particolari che in situazioni più superficiali mi sarebbero senz’altro sfuggiti. A capodanno, il medico passava tra i letti con una siringa versando champagne nelle gole dei pazienti. Fuori contesto, sarebbe stato da ricoverare lui, ma in quelle condizioni era un gesto commovente. Anche l’organismo umano riserva sorprese. Pare che il 40% dei malati in stato vegetativo possa avere una certa coscienza di sé. Parti del cervello rientrano in funzione alla presenza di determinati ricordi. C’è forse la possibilità di stabilire contatti con le persone il cui cervello non riesce a dare ordini al corpo. Non sono rare le testimonianze di persone risvegliatesi dal coma che hanno riferito discorsi recepiti mentre tutti le ritenevano in stato d’incoscienza. Tutto questo ci invita alla prudenza, e a sostenere sempre più gli sforzi che la scienza fa per comprendere tali fenomeni.
11 febbraio 2009 alle 07:43
“Non sono rare le testimonianze di persone risvegliatesi dal coma che hanno riferito discorsi recepiti mentre tutti le ritenevano in stato d’incoscienza”, scrive Fabrizio Centofanti. Non so se siano rari o frequenti questi casi, so che la mia amica B. ha fatto appunto questo dopo essere stata in coma tre mesi (il suo fidanzato, che guidava, morì sul colpo; io, che ero nell’automobile dietro di lei, uscii illeso dall’incidente). Ci sarà una differenza, immagino, tra tre mesi e diciassette anni. Nel caso di B. i medici erano fiduciosi. Dopo l’incidente B. visse una decina d’anni – seguita e protetta, perché il cervello era stato leso: la memoria a breve funzionava male, le capacità cognitive erano compromesse. Ebbe una crisi epilettica mentre andava in bicicletta da casa al lavoro, un automobilista non riuscì a evitarla e la uccise.
11 febbraio 2009 alle 09:40
Fabrizio, capisco che quello che ti muove è un principio di speranza, però il caso di Eluana era dal punto di vista medico chiarissimo: nessun paziente nelle stesse condizioni si è mai risvegliato. Il cervello non poteva ‘ricrescere’.
11 febbraio 2009 alle 10:24
Andrea, non è vero che nessun paziente nelle stesse condizioni di Eluana non s’è mai risvegliato. C’è stato un caso negli Stati Uniti. Visto che poi si parla di speranza e di vita, non mi pare inopportuno ricordare il detto: “Finché c’è vita, c’è speranza”.
11 febbraio 2009 alle 15:26
Finché c’è vita c’è speranza”, “c’è stato un caso di risveglio negli USA”. Capisco questo punto di vista (ma non è affatto detto che il coma del ragazzo americano fosse dello stesso tipo: non ne sappiamo nulla quindi è inutile parlarne), ma mi viene da dire: e allora?
Un fatto è indiscutibile: Eluana ha espresso la volontà di non essere mantenuta in vita “artificialmente”. Una sentenza della cassazione ha stabilito che ciò risponde a verità. Non si è d’accordo?
Nel merito, poi, se cioè la vita di Eluana fosse “naturale” o “artificiale” i medici convergno sulla seconda ipotesi. Sbagliano?
Operarsi per il mantenimento in vita di ELuana significava:
1) sostenere che Eluana non ha detto quello che il padre e altri testimoni hanno sostenuto e che la sentenza della Cassazione è sbagliata nel merito;
1a) Beppino Englaro (e gli altri) mentono;
2) anche se fosse vero non ce ne importa che c’è una sentenza della cassazione che lo stabilisce. La sentenza è sbagliata nel metodo e, notoriamente, in uno stato di diritto ognuno fa come gli pare;
3) è vero quanto ha detto Eluana, e dunque la sentenza è giusta, ma le condizioni di Eluana lasciano speranze: la sua è vita al 100% (e ha anche “un bell’aspetto”);
3a) di nuovo: Beppino è un boia, uno che vuole sbarazzarsi di un problema (lo ha detto il Pres. del Cons.).
Di tutti gli aspetti (tutti molto gravi ciascuno nel suo ambito) quello che mi ha colpito di più sono i ragionamenti sullo stato della ragazza.
Mi sono convinto che molti dei giudizi favorevoli alla permanenza in vita di Eluana derivino proprio da una errata percezione della verità dei fatti.
Ho persino letto questa dichiarazione di Mons. Fisichella: “‘il mio rammarico e’ che e’ morta sola, completamente sola quando sarebbe bene che chi sta attraversando la soglia della vita lo potesse fare stringendo la mano di una persona cara”.
E’ un punto cruciale, secondo me, da prendere in grande considerazione.
Da quello che si è potuto apprendere, e sentendo il parere di medici, le condizioni della povera ragazza non lasciavano “alcun dubbio”: il suo era uno stato vegetativo permanente e irreversibile. Il suo cervello era in condizioni tali da non poter funzionare “mai più”.
Chi pensa che l’aver avuto nel momento del passaggio dalla vita alla morte il conforto di una stretta di mano di un proprio caro, avrebbe potuto recarle sollievo, secondo me commette una tragica elusione della realtà, finalizzata a enfatizzare l’aspetto “crudele”, non “tragico” dell’epilogo della vicenda.
Non occorre essere cinici e materialisti per dire, in tutta serenità, che, in quelle condizioni, la ragazza non avrebbe tratto alcun conforto da una stretta di mano.
Come ne sono così sicuro?
Lo dice la scienza. Lo dicono i medici. Lo dice il buon senso. Lo so, come diceva “lo so” Pasolini. E l’illusione del contrario è una debolezza umana, accettabile, commovente, ineludibile forse, ma utile a chi resta, non a chi se ne va (il che potrebbe essere un ottimo motivo per esercitarla, ma purché se ne abbia, almeno “dopo”, un minimo di lucida consapevolezza).
Allora, questa elusione, tende a costruire una realtà artificiale all’interno della quale i ruoli sono molto chiari: ci sono i buoni e i cattivi, e il più cattivo di tutti è Beppino Englaro. A me una tale mancanza di pietà devo dirlo, da credente praticante, mi rattrista enormemente.
Cito da un sito di informazione medica autorevole, Zadig:
“Infatti dopo dodici mesi è possibile fare una diagnosi definitiva e sicura di stato vegetativo permanente, ossia irreversibile. La regione superiore del cervello (corteccia), compromessa come nel caso di Eluana da un trauma oppure da un’emorragia, va incontro a una degenerazione definitiva. E con essa tutte le funzioni di cui è responsabile: dall’intelletto agli affetti, e più in generale alla coscienza.
Il limite dei dodici mesi è dato per assodato a livello internazionale. Tanto che, passato quel periodo, la British Medical Association e la American Academy of Neurology sostengono la legittimità di sospendere nutrizione e idratazione artificiale. Ma non in Italia, dove la maggior parte dei medici non si azzarda ancora a dire chiaramente che tenere in vita più a lungo questi pazienti possa essere definito accanimento terapeutico.” (http://www.zadig.it/speciali/ee/ee2.htm)
Ezio
12 febbraio 2009 alle 02:10
marco candida dice: “Andrea, non è vero che nessun paziente nelle stesse condizioni di Eluana non s’è mai risvegliato. C’è stato un caso negli Stati Uniti.”
eziotarantino dice: “Non occorre essere cinici e materialisti per dire, in tutta serenità, che, in quelle condizioni, la ragazza non avrebbe tratto alcun conforto da una stretta di mano.
Come ne sono così sicuro?
Lo dice la scienza. Lo dicono i medici. Lo dice il buon senso. Lo so, come diceva “lo so” Pasolini.”
le vostre certezze si annullano reciprocamente eppure hanno nutrito le contrapposizioni frontali e ideologiche di questi giorni, ognuno prende il frammento che più gli conviene e ne fa un racconto che vorrebbe veder prevalere sul racconto dell’altro.
centofanti sembrerebbe più prudente, ma questa prudenza va in un solo senso, mi par di capire, trattenermi dal metter fine alla mia vita, se non la trovo degna a mio modo, in attesa che la scienza mi dia una certezza. o mi sbaglio?
se è così non sono d’accordo, nell’ attesa, e quali che siano le convinzioni alle quali arriverà, vorrei poter decidere senza che altri mi dicano cosa devo o non devo fare, indipendentemente dal mio grado di abilità e coscienza
Sento questa volontà di intervenire nella mia libertà come un sopruso insopportabile.
12 febbraio 2009 alle 09:35
@ezio:
io non ho mai creduto che Beppino Englaro mentisse circa le volontà di sua figlia. Ma per quel che ho capito leggendo le dichiarazioni sui media, tutta la volontà di Eluana Englaro era condensata in una frase che lei disse nel vedere un suo amico in coma. Il mio pensiero è che quella frase, detta da una ragazzina di 16 anni (tale la sua età all’epoca, mi sembra) in una condizione di shock (vedere un amico in coma), non sia sufficiente ad essere considerata la volontà autentica di una persona circa la propria vita.
La mia posizione, insomma, è che ci si trovava in una situazione di incertezza. E per come la vedo io, nel dubbio, la vita si conserva, non si sopprime.
Per il resto sono d’accordo con te. In uno stato di diritto una sentenza è una sentenza. Quello che ha fatto il governo Berlusconi con quel DDL perpetrato in fretta e furia quando ormai non c’era più nulla da fare non riesco a definirlo in altro modo se non vergognoso.
Ma al tempo stesso riconosco il diritto a ogni cittadino di manifestare e rilasciare dichiarazioni per cercare di evitare che quella vita venisse soppressa. L’autoritarismo golpista del governo, questo no. Ma la libertà di manifestare il proprio dissenso, questo sì. Per questo motivo ho trovato irritanti i ripetuti appelli al “silenzio” fatti soprattutto dalla parte che invece voleva che la volontà di Beppino Englaro si compisse. Quasi che si avesse paura che una frase in più, un corteo in più, un’illuminazione in più potessero far cambiare idea al genitore.
Le probabilità che Eluana si risvegliasse erano infinitesimali (mi fido di quel che dice la medicina, non mi intendo di queste cose), le probabilità che Beppino Englaro cambiasse idea anche. E tuttavia sono tra quelli che ci hanno sperato fino all’ultimo.
12 febbraio 2009 alle 11:38
Per Alcor
Se esistono due schieramenti, è soltanto perché invece di cercare una base fattuale, si derubrica a priori qualsiasi fatto a ‘racconto’.
Quindi il rapporto causa – effetto è invertito, ovvero: poiché la base fattuale viene delegittimata a priori, non potremo mai ottenere un terreno comune, quindi si formano due schieramenti.
@Marco Candida, ci puoi dare delle indicazioni per informarci sul presunto caso analogo americano?
12 febbraio 2009 alle 13:14
Posto anche questa cosa:
(ASCA) – Roma, 4 feb – ”Esistono casi molto isolati di risveglio dallo stato vegetativo dopo qualche anno – qualche anno non a cifra doppia -, ma a mia conoscenza non esistono casi di risveglio dopo uno stato vegetativo permanente cosi’ prolungato. Dopo un anno le possibilita’ di risveglio sono microscopiche”. A dirlo e’ Gioacchino Tedeschi, segretario della Societa’ Italiana di Neurologia, nel corso di un’intervista all’Agenzia Radiofonica Econews sugli stati vegetativi e il caso Englaro.
12 febbraio 2009 alle 13:23
@ Federico Platania
E’ importante in questi casi la precisione massima. Ogni piccolo cascame produce incomprensioni, equivoci.
Sul punto della volontà, se si ritiene questo punto problematico, occorre prima di parlare conoscere le sentenze dei numerosi tribunali di diverso ordine e grado che si sono pronunciati riconoscendola fondata.
– La banalizzazione dell’aspetto scientifico (dati scientifici ridotti a ‘racconti’),
– le falsità,
– le imprecisioni, confusioni concettuali,
giocano un ruolo fondamentale nella formazione e nella sussistenza degli ‘schieramenti’.
12 febbraio 2009 alle 13:45
Scusate se ritorno a spizzichi e bocconi.
Se il caso a cui si riferisce Marco Candida è quello di Terry Wallis, non è affatto analogo a quello di Eluana, essendo due tipi diversi di coma, dunque l’unica possibilità di analogia è che la diagnosi del coma di Eluana (coma vegetativo) fosse sbagliata.
12 febbraio 2009 alle 17:57
riconosco di non avere certezze su tale questione. istintivamente, difendo la vita, sulla quale penso di non avere potere. ho sempre pensato che l’uomo non possa decidere sulla vita o sulla morte, nemmeno sulle proprie. il tutto però si complica a causa della tecnologia. a mio parere, il problema è quello di riflettere sui confini tra natura e sopravvivenza artificiale.
12 febbraio 2009 alle 19:34
Fabrizio, hai colto quello che per me è Il Problema.
Quando il papa dice: “la vita non è un bene disponibile” io sono d’accordo. Tutto sta a intendersi sul concetto di “vita” alla luce di quello che dici tu e che mi tormenta in questi giorni. Questo rimprovero alla Chiesa: la idiosincratica mancanza di problematizzare il presente, la modernità. Non si può parlare di “vita” come se fossimo mel Primo secolo. 50 anni fa, per non andare lontani, la povera Eluana e il provero Welby sarebbero morti subito.
La tecnologia pone dei problemi che BISOGNA affrontare, non eludere. E questo silenzio, questa semplificazione non aiuta: soprattutto i credenti.
Ciao
ezio
12 febbraio 2009 alle 19:58
Non ho mai capito perché l’uomo non possa decidere della propria morte, lo dico senza polemica, è una incomprensione profonda.
13 febbraio 2009 alle 00:14
concordo, Ezio.
Alcor, ti rispetto profondamente.
grazie anche ad Andrea, Federico, Marco, Macondo, Paolo e soprattutto a Giulio per l’ospitalità.
fabrizio