Carlo Coccioli, lo scrittore più dimenticato

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di Daniele Priori

[Questo articolo è apparso oggi 7 febbraio 2009 nel quotidiano Il Secolo d’Italia. L’articolo in pdf dal sito http://www.carlococcioli.com, qui]

Carlo Coccioli

Carlo Coccioli

Il coraggio della coerenza l’ha espresso con la dolcezza piana ma imperturbabile e mirata delle sue parole, espression eindelebile dei principi che ne hanno ispirato la scrittura e la vita. Ci riferiamo alle opere e ai giorni di Carlo Coccioli (1920-2003), uno scrittore affascinante, prolifico e di rilievo internazionale quanto dimenticato dalla critica politically correct del nostro Paese. E’ d’altronde recentissima la notizia, rilanciata sul Corriere della sera, con un interessante intervento firmato da Stefano Bucci, della ripubblicazione del romanzo Davide per i tipi di Sironi editore (pp. 352, euro 17). Spiritualista ma libertario (e omosessuale), credente ma contestatore dell’establishment clericale, Coccioli giunse a un interesse vivace per le tradizioni orientali, segnato da due precisi libri (Documento 127 e Davide) e, infine, per il buddhismo al quale dedicherà alcune sue ultime opere, tra cui il famosissimo Piccolo Karma.

I suoi scritti, lievi quanto intensi diluvi di pagine distribuite in quarantadue volumi, pubblicati a volte prima all’estero che in Italia (dove pure ebbe editori autorevolissimi come Vallecchi e la Rusconi diretta da Alfredo Cattabiani), hanno iniziato a stordire i benpensanti nostrani già nell’immediato dopoguerra. Uomo degli anni ’20, figlio di militare, anticomunista, seguì suo padre ufficiale in Libia, a Tripoli e in Cirenaica. A Bengasi trascorse l’infanzia e l’adolescenza. In seguito tornò in Italia per studiare, prima a Fiume e poi, all’inizio della seconda guerra mondiale, in Toscana con sua amdre. Richiamato alle armi, dopo l’8 settembre 1943 si unì alle prime formazioni partigiane sull’Appennino Tosco-Emiliano. Catturato dai tedeschi, evase dalla prigione di Bologna, episodio che a guerra finita gli valse anche una medagli al merito. Laurea in Lingue orientali a Napoli, interesse profondo per il cristianesimo, attraverso l’islamismo, l’ebraismo e il buddismo; sostenuto da Malaparte e da Palazzeschi nelle sue opere compare costantemente la traccia estetica della sua omofilia, nei toni e nelle descrizioni non lontana da altri saggi, poetici e narrativi, forniti nel secondo Novecento da autori come Sandro Penna nell’interezza del suo percorso e da Giorgio Bassani nel suo Occhiali d’oro del 1958. Saggiamente il Corriere della sera ha voluto recentemente riaccenderne la luce. Anzitutto per il fatto (scelto come titolo dalla redazione di via Solferino) che, lungi dal silenzio impostogli dalla grande editoria, il longevo “caso” lanciato dai romanzi di Carlo Coccioli “è ancora aperto”.

Impossibile, infatti non affrontare l’attualità controcorrente di un autore che, nei fatti, ha messo ruvidamente a confronto il cristianesimo, l’ebraismo e il buddhismo. E impossibile è anche non notare l’immagine messianica, da tormentato innamorato dell’amore, che Coccioli affresca addosso a ogni protagonista delle sue opere. Il suo primo “salvatore” è Rico in La difficile speranza del 1947, romanzo nel quale la sua contrastata e contrastante concezione della spiritualità inizia a scontrarsi con la quotidianità della società e persino di una fede cristiana molto borghese, della quale inizierà nei fatti a contrastare un certo oscurantismo attraverso il suo maggior successo Fabrizio Lupo, uscito in Francia nel 1952, dove, alla coscienza ormai evidente e dichiarata da Coccioli che l’amore è tale anche in tutte le sue possibili dimensioni, il protagonista, cristiano e cattolico fervente, arriva a pensare all’ipotesi del suoicidio

Bucci sul Corriere lo paragona, infatti, epicamente a un personaggio storico e letterario dall’autorevolezza e dalla bellezza forse inarrivabili come è l’Adriano dipinto da Marguerite Yourcenar. Coccioli, come annota Bucci, rresta soprattutto un esteta lontano dal suo tempo. Testimone la scelta dell’esilio volontario, compiuta nel 1953 al centro delle polemiche destate in tutto il mondo proprio dalla pubblicazione di Fabrizio Lupo. Riparò in messico, fino alla pubblicazione del libro Manuel il Messicano, nel 1956 in Francia e nel 1957 in Italia, quadro di una terra lontana e profonda, patria di sentimenti vivi nei quali, ancora una volta, il ragazzo rappresenta, nei fatti, un messia.

E proprio il Messico, vissuto come esilio dorato, è stato il palcoscenico affascinante fino a divenire protagonista della seconda parte dell’esistenza di Carlo Coccioli. Nel 1985 lo scrittore rimase addirittura coinvolto in un rapimento da cui uscì vivo per miracolo. otto anni dopo, però, dieci anni prima della morte, avvenuta a 83 anni, incontra il giovane Javier che adotterà e al quale darà il proprio cognome. Il figlio oggi, assieme a numerosi altri amici, cura il bel sito internet www.carlococcioli.com impegnato a tutelare la memoria del grande scrittore offuscata al pubblico dei lettori da un immeritato oblio editoriale. Aldo Onorati, scrittore cristiano ma, come Coccioli, più volte ritenuto eretico, ricorda i silenzi, la capacità d’ascolto come la simpatia e la saggezza di un romanziere completo che merita di essere riscoperto. Una figura complessa quanto ironica e lucida, quella di Coccioli, che emerge tutta dalla nota che egli stesso volle accludere a un’edizione italiana del 1976 di Manuel il Messicano: “Qui da noi – scriveva – dove durante una ventina d’anni taluni leaders del potere letterario hanno avuto a noia il successino di cui, forse senza esserne degno ma nemmeno senza prostituirmi per conseguirlo, godevo fuori, il libro venne bistrattato debitamente dalla critica più autorevole…”.

Scrittore poliglotta, autore di più di quaranta opere letterarie e saggistiche pubblicate in dodici lingue, Carlo Coccioli è davvero il “grande assente” del canone letterario italiano: non solo le sue opere sono da anni introvabili in libreria ma i giornali non scrivono di lui e non si vedono convegni dedicati alla sua memoria. Eppure, Carlo Bo lo defininì “scrittore alieno” e Pier Vittorio Tondelli “lo scrittore assente”. Ed era proprio questa sua “lontananza”, spirituale prima ancora che fisica, vissuta come eterna tensione verso un irraggiungibile “altrove”, a costituire, con la “diversità”, l’essenza del suo stile e del suo impegno umano. “In nessun autore italiano contemporaneo – ha annotato Tondelli – è presente una così grande tensione interiore, un’irrequietezza spirituale che poi si traduce in un nomadismo culturale e metafisico assolutamente originale, per non dire eccentrico. Tuttavia quello che affascina nell’opera di Carlo Coccioli non è solo, a ben guardare, l’incessante tormento teologico che lo ha spinto ora verso il cristianesimo ultraortodosso, poi verso l’Oriente, quindi, fra gli Stati Uniti e il ‘suo’ Messico, verso i buddhisti della Casa di Tacubaya (nel 1982), i riti indigeni, la psichedelia e, finalmente, verso le filosofie e le religioni orientali, l’induismo e il buddhismo Zen ma anche lo stile di vita appartato, l’amore per gli umili, l’assoluta fedeltà alle ragioni della propria ispirazione e della propria scrittura” che altro non sono, poi, che la ricerca ossessiva di una risposta, mai definitiva, al senso del vivere. E in tutto questo Carlo Coccioli non volle mai intrupparsi nelle facili congreghe ideologiche. Un vero e coerente non-allineato.

Se non riuscite a trovare il Davide di Carlo Coccioli in libreria, ricordate che potete acquistarlo presso l’editore con il 10% di sconto e la spedizione postale gratuita (vedi qui le condizioni); oppure presso una delle tante librerie in rete: InternetBookshop, La Feltrinelli, BooksOnLine, Libreria Universitaria, Hoepli.it.

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